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17/05/2023

“I piani di pace cinese e del Papa sono gli unici che possono fermare la guerra”

Intervista a Michela Arricale, Giurista, co-presidente del Cred (Centro Ricerche e Democrazia), firmataria dell’appello “Fermare la guerra, imporre la pace”.

Insieme ad altri giuristi, scienziati, docenti, hai promosso il documento “Fermare la guerra, imporre la pace”. Nel documento, diversamente da altre iniziative, affermate che vadano sostenuti apertamente i piani di pace avanzati dalla Cina e dal Vaticano. Puoi spiegare questa scelta?

Sono le uniche ipotesi sul campo che prevedono un cessate il fuoco, che danno esplicitamente importanza alle necessità della popolazione civile. E sono le uniche due ipotesi in grado di disinnescare veramente la guerra per procura che la NATO sta combattendo per conto degli USA in Ucraina.

I Paesi in Via di Sviluppo, compresa la Cina, portano avanti un’altra idea di relazioni internazionali, multipolare e cooperativa, fondata sul rispetto della legalità internazionale a partire da una nuova centralità dell’ONU. A differenza dei membri dell’Alleanza Atlantica, che si prefigurano di conquistare un ordine internazionale fondato sulle regole. Regole o legalità internazionale, sembra una differenza da poco, ed invece rappresenta l’abisso di differenza che esiste tra il pensiero democratico e quello liberale.

Nonostante una invasiva informazione massmediatica, praticamente al servizio della causa guerrafondaia, la maggioranza della popolazione continua ad essere contraria alla guerra. Come spieghi questa autonomia e impermeabilità dell’opinione pubblica a tale campagna di propaganda?

Per fortuna i nostri anticorpi democratici si confermano ancora solidi! Evidentemente il processo di distruzione del nostro sistema scolastico non ha ancora avuto la meglio sulla nostra coscienza popolare.

Credo che gran parte dell’opinione pubblica, inoltre, abbia perso fiducia nella pubblica informazione mainstream a causa di quanto successo durante la pandemia, quando si è fatta pieno strumento di governo della popolazione nelle mani delle classi dirigenti: censura, demonizzazione o delegittimazione di ogni opinione contraria, gogne mediatiche. Per cui rimane una certa resistenza popolare alla narrazione cosiddetta ufficiale, che rimane aperta ai nostri temi e messaggi.

Il voto in Parlamento e le scelte degli ultimi due governi hanno coscientemente coinvolto l’Italia in una escalation bellica di cui tutti gli indicatori rivelano la negatività per il paese. Possiamo parlare di avventurismo bellicista delle classi dirigenti?

Certo, possiamo definirlo così. Ma attenzione: non è mera pulsione di morte a guidarli, ma un disegno politico ben preciso. Siamo in una fase di profonda ristrutturazione del capitalismo globale. La guerra serve a questo, a ridisegnare gli spazi di potere.

Noi marxisti, in realtà, è un po’ che ce lo dicevamo. La pandemia ha accelerato un processo che era già in corso: la fine del globalismo finanziario. L’emergere sulla scena internazionale di soggetti in grado di confrontarsi ad armi pari con gli USA, sia sul piano militare che economico, ha stizzito gli statunitensi. Questi ultimi, infatti, hanno predicato le glorie della globalizzazione solo fino a quando hanno potuto sentirsi i più forti, in grado di decidere dei destini dell’intero mondo.

E non solo, un’altra cosa su cui stanno facendo dietro-front è l’idea dello “Stato fuori dal mercato”: nessuno parla più di Stato minimo, ma si fa un passo in più, lo Stato al servizio del profitto delle imprese private. Ma solo di quelle molto grandi, quelle competitive. Vogliono che lo Stato assuma i rischi, e diriga il mercato in favore di una economica regionale, il cosiddetto friend-shoring. La NATO, in questo nuovo universo del discorso, diventa la testa d’ariete delle necessità economiche dei Paesi membri, con il preciso compito di favorire l’acquisizione di nuovi mercati e sostenere un modello di sviluppo fallace e morente.

Non è un cambiamento avvenuto all’improvviso. Ricordiamo, ad esempio, che il golpe Euromaidan in Ucraina del 2014 fu scatenato proprio quando l’allora presidente – legittimamente eletto e legittimamente in carica – decise di non sottoscrivere gli accordi di cooperazione commerciale tra Ucraina e Unione Europea, ma certamente è stato accelerato dalla pandemia. Tale accelerazione ha reso necessaria una ristrutturazione politica che ne tenesse il passo, ed eccoci alla guerra mondiale.

Il delirio bellicista è necessario a mantenere l’opinione pubblica nello Stato d’animo necessario a fargli digerire grossi cambiamenti, e niente fa prevedere che questi siano in meglio.

L’adesione dell’Italia ai Trattati internazionali come la Nato e la Ue confermano come il “vincolo esterno” impedisca qualsiasi scelta di indipendenza nella politica internazionale. È possibile immaginare un futuro in cui questo vincolo non sia più un automatismo che ti porta dentro la guerra?

Le alleanze militari vanno smantellate, la loro stessa esistenza è un pericolo per la pace. La NATO andava smantellata insieme al Patto di Varsavia, ed oggi tale esigenza rimane intatta, se non rafforzata dalla trasformazione che l’Alleanza ha impresso a se stessa, da ultimo con lo strategic concept 2021: si è trasformata in un vero e proprio foro politico, con ambizioni di profonda ingerenza nelle scelte di politica interna dei Paesi membri, e non solo in campo militare.

Attenzione però, in attesa di smantellarla possiamo capire come “neutralizzarla”: la NATO adotta decisioni formalmente non vincolanti per gli Stati membri, e prova ne sia il fatto che la Truchia – ad esempio – non manda armi agli ucraini. Inoltre le decisioni della NATO – oltre a non essere vincolanti – vengono assunte per consenso, il che implica che una sola contrarietà resa esplicita impedisca del tutto la formalizzazione della decisione.

Nonostante le condizioni materiali del nostro presente rendono difficile immaginare che, all’attualità, uno degli Alleati possa agire in tale direzione (anche se la Turchia, e per certi versi la Francia, potrebbero essere i candidati ideali in tal senso), ciò non vuol dire che nel futuro debba essere sempre così. Pensiamo a quanto ha pesato il cambio di governo, in Brasile, sulle politiche di quel Paese. Dobbiamo auspicare una svolta simile anche nei nostri Paesi.

Inoltre, per quanto riguarda l’UE, se è vero che alcune decisioni sono effettivamente vincolanti per l’Italia, non è il caso di quelle sull’invio di armi. Mi spiego con un esempio di immediata comprensione: un “obbligo” giuridico è : 1) valido contemporaneamente per tutti gli Stati membri, e 2) necessariamente produttivo di conseguenze in caso di violazione. Al contrario, Austria e Ungheria – pur essendo Stati UE – non mandano armi agli ucraini senza patire alcuna conseguenza formale da parte delle istituzioni europee.

Insomma, il vincolo esterno è un giogo che la nostra classe politica ha deciso volontariamente di portare, ed appesantire, e non deve mai essere usato come scusa per deresponsabilizzare chi, in Italia, ci ha – nel tempo – scientificamente reso al servizio di interessi altri e portato ad entrare in questa guerra. Sarà difficile liberarcene, ma non certo impossibile.

In Italia si stanno muovendo anche altre iniziative per la pace. C’è stata la Staffetta, è in corso la raccolta di firme per due referendum contro l’invio di armi all’Ucraina. Come firmatari del documento, pensate di confrontarvi con queste iniziative?

Credo che sia assolutamente necessario provare a far convergere tutte le iniziative, ed in particolare i referendum: credo che questi ultimi siano un ottimo strumento per veicolare i nostri messaggi di pace, che la stampa mainstream per lo più ignora. Inoltre rimane l’unico strumento formale in campo, l’unica iniziativa concreta che prova a dare voce effettiva ai cittadini, traditi da tutti i propri attuali rappresentanti che stanno facendo carta straccia della Costituzione.

Ed anzi, credo che sia necessario provare a coinvolgere anche tutte le vertenze che riguardano i diritti sociali, perché sia chiaro che più continuiamo a spendere soldi, energie e intelligenze in questa guerra, meno ce ne saranno per l’effettività di tutti i nostri diritti. Pensiamo solo a quello che sta succedendo con il PNRR: sono stata sempre critica e non ho mai pensato potesse essere strumento di riscatto dei popoli per come era strutturato, ma addirittura decidere di destinarlo alle armi è una follia!

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