Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

30/11/2023

L’autunno del disgelo

Veniamo da alcune giornate che negli anni scorsi avremmo tutti definito “straordinarie”. E in effetti lo sono state, al punto da farci considerare “normale” che si possa fare anche di più e meglio.

Il primo segno tangibile si era avuto il 28 ottobre, con l’imprevisto, grande, successo della mobilitazione per la Palestina, contro il massacro in corso a Gaza.

Ci si era ripetuti il 4 novembre, in una manifestazione più direttamente politica, contro le guerre e il governo post-fascista della Meloni, con ancora molta attenzione e spazio per la Palestina.

Persino Cgil e Uil, dopo decenni di concertazione complice, sono state spinte a mettere in campo uno sciopero generale, pur se in forme talmente frammentate da azzerarne l’impatto politico e favorire il “contropiede” governativo.

Non citiamo tutte le molte altre manifestazioni avvenute un po’ in tutta Italia, gli scioperi settoriali del sindacalismo di base, ma è indubbio che l’ultima, quella del 25 novembre a Roma, sia stata di dimensioni tali da costituire un fatto politico di prima grandezza.

Se ne sono accorte anche le forze reazionarie al governo, che hanno immediatamente provato a strumentalizzare la semplice contestazione alla sede del cosiddetto movimento “Pro Vita” – molti slogan, qualche scritta sulla saracinesca – con una escalation di definizioni da guerra civile: “assalto”, “vandalizzazione”, “irruzione” e via strillando. Oppure con dichiarazioni isteriche contro la presenza di bandiere palestinesi nel corteo.

Tutto e di più, per provare ad azzerare quel mezzo milione di donne e uomini che, dopo anni, sono tornati a far sentire la propria voce in piazza.

Se consideriamo insomma l’insieme di queste mobilitazioni, e non ognuna di esse singolarmente, è impossibile non vedere che qualcosa si è smosso all’interno di vasti settori sociali. Impossibile non sentire l’indignazione generale finalmente tornare sentimento di massa.

E quando “le masse” tornano in gioco, il gioco cambia.

Troppo ottimisti? Certo, se ci si ferma alle singole dichiarazioni di questa o quel protagonista, di questa o quell’organizzazione, e le si analizza con il microscopio della propria personale visione politica ideale, si possono trovare mille debolezze e altrettante contraddizioni non risolte.

Certo, si può dire con qualche ragione che l’eccezionale rilievo dato per giorni, da tutti i principali media, al brutale femminicidio di Giulia, ha “stimolato” indirettamente la partecipazione.

E altrettanto certamente si può dire con molte ragioni che quell’“eccezionale rilievo” era fondato sul tentativo di nascondere mediaticamente il genocidio in corso a Gaza, e persino il totale fallimento della “controffensiva” della giunta ucraina.

Ma proprio queste tre considerazioni convergono nel delineare lo stato di profondo malessere sociale che attendeva soltanto l’occasione giusta per sfondare la lastra di ghiaccio dell’atomismo sociale, dell’individualismo rancoroso e sordo che ognuno di noi può vedere sui social.

Di fatto, persino i continui tentativi di “distrazione di massa” messi in atto attraverso i media hanno finito per mettere in collegamento oggettivo, ed in parte anche soggettivo, temi mobilitanti che apparivano prima diversi e distanti: la violenza di genere, la violenza colonialista, la violenza dello sfruttamento, gli omicidi sul lavoro, la miseria del salario, ecc.

Il malessere sociale si è insomma messo fisicamente in marcia e ha cominciato a verificare che molti steccati tra le diverse sofferenze erano del tutto artificiali, costruzioni e narrazioni create per “separare e regnare” più comodamente.

Le tante bandiere della Palestina del 25 novembre, la loro partecipe accettazione da parte del corteo, stanno lì a dimostrare che si comincia a riconoscersi tra oppresse/i, sfruttate/i, violentate/i.

È un fatto, ed è costituente per la progressiva formazione di un fronte sociale che chiede cambiamenti radicali ad ampio spettro e mette in discussione i pilastri del comando sulle persone. Su tutte le persone, di qualsiasi colore, età, genere, lingua, etnia, tradizione culturale o religiosa.

È un fatto sconvolgente per chi, nel corso degli ultimi 30 anni almeno, aveva condiviso il comandamento politico, teoricamente “unitario”, dell’evitare le questioni e gli argomenti divisivi.

Le piazze dell’ultimo mese ci dicono, con i linguaggi che sono loro propri, che sono proprio le questioni divisive quelle su cui ci crea l’unità vera. Perché sono quelle che “naturalmente” fanno schierare tutte e tutti gli sfruttate/i, le/gli oppresse/i, le/i violentate/i, dalla stessa parte.

E ci riescono perché consentono di identificare con certezza lo sfruttatore, l’oppressore, il violentatore. Ossia le figure con cui mai, mai, mai, ci potrà essere “unità”, perché sarebbe l’accettazione del loro potere su di noi. Com’è stato, in fondo, negli ultimi quasi 40 anni.

Un annuncio di disgelo, certo, non ancora la primavera piena o l'“autunno caldo” dei tempi ormai lontani. Ma che proprio per questo va accolto e protetto, con tutta la saggezza e la forza di cui ognuno di noi è capace. Anzi, di più.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento