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28/11/2023

Ucraina - Se gli Usa sono per una “tregua” è solo per continuare con la guerra

A leggere le dichiarazioni ufficiali, enfatizzate poi da un sistema mediatico mai come ora “arruolato” con il potere politico e militare, Joe Biden e i vertici della Nato sarebbero diventati quasi “pacifisti”. Non passa giorno che non filtrino segnali o “consigli” verso Israele (soprattutto) e l’Ucraina (appena un po’ meno) perché si raggiungano soluzioni politiche in grado di mettere quanto meno in freezer gli attuali conflitti.

Non mancano peraltro robusti argomenti a favore di una pesante “stanchezza” dell’establishment euro-atlantico per le conseguenze di quelle guerre (riduzione drastica degli sbocchi commerciali e delle catene di rifornimento, auto-inflitte con le “sanzioni”, crescita zero e recessione alle viste, ecc.).

Aggiungiamoci le elezioni presidenziali statunitensi, che attualmente vedono Donald Trump in pole position per sostituire Biden e gli stessi “democratici” dubbiosi sull’opportunità di ripresentare “Sleeping Joe”, sempre sull’orlo della caduta diplomatica o deambulatoria.

Ma è certo che risulta comunque sorprendente vedersi presentare gli eterni incendiari come “volenterosi pompieri”. Qualche dubbio è perciò doveroso.

Per saperne di più vengono in soccorso diversi team di analisti statunitensi, compreso quel Simplicius The Thinker che pure alterna puntuali disamine militari con goffe scivolate no vax...

E qui compaiono documenti di think tank solitamente in grado di produrre anticipazioni ragionate sulle future mosse dell’esecutivo Usa (quelli europei contano un tubo, quando si tratta di muovere guerra oppure no).

Il quadro, in questi scenari, cambia completamente non appena si passa dall’osservare i dati congiunturali (la guerra va effettivamente malissimo per gli ucraini e i loro supporter occidentali) e si cominciano a delineare gli “obiettivi strategici di fase” (il prossimo decennio, grosso modo).

Su questa ampiezza storica il conflitto dell’Occidente neoliberista con la Russia degli oligarchi non finisce affatto con la prevedibile, o auspicata, smobilitazione ucraina. La quale, anzi, viene considerata solo un “primo tempo” di una guerra di lunghissima durata, che coinvolge in pratica tutto l’est europeo (e in parte anche il resto della UE).
“Il capo logistico europeo della NATO, il tenente generale Alexander Sollfrank, ha chiesto alle nazioni europee di alleggerire le regolamentazioni a livello nazionale per consentire il rapido movimento di truppe, equipaggiamenti e munizioni in caso di guerra con la Russia.”
Di fatto, viene sollecitata una sorta di “Shengen militare” che eviti le lungaggini burocratiche attualmente in vigore (avvertire un paese di transito che si stanno inviando armi e munizioni, o altri sistemi di guerra tecnologica, destinate al fronte con la Russia), per efficentare i rifornimenti. Presenti e futuri.

La spiegazione della “strategia” viene decritta da un canale Telegram, questa volta russo, Starshe Edda.
“Anche l’ammissione dell’Ucraina nella NATO non può cambiare nulla. Se la NATO volesse combattere direttamente la Russia in Ucraina, avrebbe già combattuto. La guerra continuerà finché la Russia non vincerà.

Allo stesso tempo, penso che l’intensità della guerra aumenterà. La Russia non sarà in grado di fermare questa guerra senza raggiungere i suoi obiettivi.

Se parliamo della comprensione europea della guerra, qui vediamo due tendenze principali. La NATO si affida apertamente alla “barriera sanitaria” come carne da cannone, dato l’accumulo di eserciti dell’Europa orientale, principalmente polacchi, e di fatto lascia il ruolo di forze di riserva e di supporto agli eserciti dell’Europa occidentale.

La ragione è semplice: l’accumulo di forze armate da parte dei paesi dell’Europa occidentale, nel loro attuale stato economico, si rivelerà magari brillante ma richiederà un enorme quantità di tempo. Risulta più facile sostenere la crescita di Polonia, Romania, Finlandia e altri attori più piccoli in queste condizioni.

L’idea di una “Schengen militare”, cioè un piano per semplificare il trasporto militare in Europa, deve essere vista attraverso la stessa prospettiva.

Affinché la barriera possa svolgere il suo compito, avrà bisogno di supporto – e qui la NATO ha bisogno di avere un meccanismo funzionante per questo supporto, non dipendente dal famigerato ‘articolo 5’, nel contesto del quale non è ancora chiaro come si comporterà chiunque nelle condizioni di un possibile conflitto diretto con la Russia.

Logicamente, il sistema ricostruito dovrebbe apparire così: gli eserciti di Polonia e degli altri dell’Europa orientale, dispiegati al di là dei limiti immaginabili per le loro economie, ricevono logistica e supporto da contingenti limitati dall’Occidente, trasferiti nel contesto di ‘Schengen militare’. E tutto questo è controllato da un generale americano.

Dove è l’UE e l’idea dell’Euroesercito in questo progetto? Da nessuna parte, l’UE non è necessaria, è inclusa dagli americani e dai loro protetti nella NATO.”
L’idea statunitense, secondo questa lettura, con cui concorda anche l’analista Usa, sarebbe quella di favorire la
“lenta trasformazione del fronte russofobo dell’Europa orientale in una sorta di avanguardia della carne da cannone da schiacciare perpetuamente contro la Russia in modo sequenziale, dopo la caduta dell’Ucraina”.
Visti i risultati dell’“avanguardia” (Kiev) si potrebbe anche dubitare che il resto della pattuglia voglia ancora farsi avanti. Ma gli Usa dispongono sicuramente di molti argomenti “convincenti”, oltre che dell’abitudine al regime change di chi esita ad allinearsi.
“D’altra parte, bisogna ricordare che questo è un piano a lungo termine. Nel corso dei prossimi anni, possono sicuramente racimolare abbastanza denaro per continuare ad armare i vassalli “in linea successiva”, come Polonia, Baltici, Finlandia, ecc.

Per gli Stati Uniti è uno scenario win-win non solo perché mantiene costante la divisione tra la Russia e i suoi vicini e alleati naturali più stretti, ma mantiene l’Europa povera e gli Stati Uniti al vertice del raggruppamento del ‘mondo occidentale’.”
I problemi, per gli Usa, comunque non mancano. A partire dalla loro attuale debolezza economica (non bisogna guardare solo all’andamento del Pil, ma soprattutto al crescere del “mondo multipolare” intorno ai Brics e alla nascita di piattaforme interbancarie alternative allo statunitense Swift, ecc.) fino ad arrivare all’erosione della propria stessa credibilità militare (la fuga dall’Afghanistan ha segnato un limite).

Soprattutto se si guarda da vicino alle “nuove idee” messe in campo dai vertici Nato si scopre che in realtà sono un riciclo di vecchi progetti non andati in porto.
[…] “un po’ di tempo fa, quando c’era un grande trambusto attorno all’annuncio di Stoltenberg di una forza di reazione rapida da 300.000 unità ai confini della Russia, avevo rivelato che questa stessa ‘forza da 300.000’ era un piano di cui si era a lungo parlato fin dai primi anni 2010, e messo in campo all’inizio dell'“operazione militare speciale’, apparentemente di nuovo senza effetto”.
Ed è così anche per la “Schengen militare”, che è stata discussa a partire dal 2017 senza peraltro arrivare in porto. Si può riproporla, certo, ma l’ambiente europeo sta velocemente mutando pelle. La stessa crescita delle forze apertamente nazionalista, ultima la vittoria di Wilders in Olanda, può temporaneamente disturbare un forte accentramento delle decisioni in capo alla Nato e alla stessa Unione Europea.

E proprio per evitare futuri intoppi sarebbero state immaginate alcune soluzioni “istituzionali” che vanno tutte nella direzione di togliere il potere di veto ai paesi (temporaneamente...) in disaccordo.
“Ad esempio, ci sono state recenti chiamate e spinte per l’abolizione del potere di veto nell’UE, e lo stesso vale per istituzioni come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.”
La conclusione sembra inevitabile:
“c’è una sorta di concentrazione del potere in corso: mentre figure ‘nazionaliste’ o anti-establishment assumono lentamente il controllo dei paesi europei, la nomenklatura fascista dell’UE cerca di abolire la capacità di quei paesi di avere una voce reale o un ruolo in qualsiasi cosa.

Ecco perché iniziative come i piani della NATO per una ‘Schengen militare’ sono incerti, poiché tutto dipenderà da quale parte guadagna il predominio in questa escalation della lotta di potere.”
Riguardo alle istituzioni europee probabilmente lo sguardo “americano” di alcuni analisti porta a sopravvalutare il grado di “incompatibilità” di alcune formazioni para-fasciste con la definizione di una strategia euro-atlantica sottratta ai vincoli delle politiche locali. Il governo Meloni è probabilmente l’esempio più chiaro di come la velocità nel genuflettersi al “grande capo di Washington” sia la vera dote dell’estrema destra europea.

Come provvisoria conclusione, però, deve valere l’avvertenza a non prendere per buono l’improvviso e molto apparente “buonismo” statunitense.
“Potrebbe sembrare controintuitivo che gli Stati Uniti vogliano ora congelare il conflitto ucraino, dato quanto discusso in precedenza, ma congelarlo è esattamente ciò che può permetterne la continuazione.”
In tempi di guerra, la normalità è la guerra. Anche negli schemi di ragionamento. E, come in ogni guerra, una “tregua” può tornare utile per ricostruire le proprie forze (quelle ucraine sono agli sgoccioli), far affluire le riserve, migliorare lo schieramento sul terreno e nei rifornimenti.

La pace è un’altra cosa. E a Washington non sanno cosa sia perché la identificano col proprio incontrastato potere di fare come hanno sempre fatto.

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