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21/11/2023

Argentina contesa, tra Yuan e Dollaro

di Guido Salerno Aletta

Il nuovo presidente Javier Milei, definito anarcoliberista, ha sconfitto al ballottaggio il peronista Sergio Massa, in carica come Ministro dell'Economia. Nella campagna elettorale, il neo-eletto aveva battuto su due aspetti: da una parte, sullo smantellamento completo dello Stato sociale e sulla privatizzazione delle imprese pubbliche, carrozzoni che assorbono immense risorse senza riuscire a risolvere il problema della povertà diffusa, e dall'altra sulla eliminazione della Banca Centrale, colpevole della inflazione al 140% annuo per via della continua stampa di nuova moneta. Il Peso argentino va sostituito col dollaro.

Il paradosso dell'Argentina, che il peronismo non ha mai saputo risolvere, sta nel contrasto tra l'immensa ricchezza delle sue risorse naturali, minerarie, agricole e dell'allevamento, e la diffusa povertà della popolazione. Un contrasto che si acuisce per via di una legislazione sempre più invasiva: per finanziare il bilancio pubblico si impongono tasse sulle esportazioni, soprattutto quelle di cereali e di carne, rendendole così meno convenienti sui mercati internazionali, e si controllano in ogni modo gli acquisti di dollari per contrastare la costituzione di riserve di valuta all'estero.

Ci sono regole strettissime sui cambi, con i prezzi del dollaro che variano a seconda che questa valuta serva per finanziare le importazioni, che si debbano convertire in peso gli importi incassati in dollari con le esportazioni, oppure che si chiedano dollari per fini personali: in questo caso ci sono contingenti fissi, come tassi specifici per gli acquisti all'estero sulle piattaforme di e-commerce.

Inoltre, la gran parte dei capitali argentini sono detenuti in dollari e depositati in Uruguay, che è una sorta di "Svizzera": gli stessi prestiti pubblici contratti in dollari sono in larga parte finanziati dai capitali degli stessi argentini ma che sono detenuti all'estero. È questo un modo per proteggersi sia dalla inflazione del peso che dai default sul debito, visto l'alto grado di protezione giudiziaria che viene garantito ai prestiti internazionali.

Ed ancora, poiché le entrate fiscali non sono mai sufficienti per finanziare le spese pubbliche che crescono in continuazione per corrispondere alle esigenze della popolazione e soddisfare le promesse populiste dei peronisti, la Banca centrale finanzia direttamente il governo stampando la moneta occorrente per coprire il deficit: questa inflazione della moneta ne scoraggia la detenzione, e così chiunque abbia risparmi o una qualsiasi attività cerca rifugio nel dollaro. Anche questa continua domanda di dollari in cambio di peso contribuisce a svilire il valore di quest'ultimo.

C'è un ultimo aspetto: visto che il mercato dei cambi è da sempre una fonte di arricchimento, e visto che c'è tanta richiesta di dollari, anche attraverso questo meccanismo si drenano risorse dall'economia reale al settore finanziario.

In pratica, l'Argentina spolpa continuamente se stessa: chi può, si difende col dollaro.

Il commercio internazionale dell'Argentina, che ha sempre avuto come riferimento principale il Brasile, si è andato sviluppando verso la Cina a mano a mano che i dazi posti dall'Amministrazione Trump alle importazioni americane dalla Cina vedevano come ritorsione l'imposizione di dazi cinesi sulle importazioni dagli Stati Uniti. Così facendo, le importazioni in Cina di prodotti agricoli dagli Stati Uniti sono divenute artificiosamente più care, rendendo più convenienti quelle dall'Argentina e dal Brasile. Questo flusso crescente di esportazioni ha fatto sì che ormai la Cina sia il secondo partner commerciale dell'Argentina, dopo il Brasile.

Rimaneva un paradosso, sul piano valutario, visto che il commercio bilaterale tra Argentina e Cina continuava ad essere effettuato in dollari. A questo aspetto è stato posto rimedio, con un accordo di swap tra le due Banche centrali, quella del Popolo cinese e quella dell'Argentina: la prima riforniva di yuan la seconda, che a sua volta riforniva di peso la prima, ad un tasso di cambio e per un tempo prestabilito. Le due banche centrali, per il tramite dei rispettivi sistemi bancari, prestano la valuta estera di cui sono state rifornite ai rispettivi importatori che non devono più ricorrere ai dollari per pagare le merci: in questo modo, gli yuan ritornano in Cina ed i peso in Argentina. Alla fine del periodo convenuto per lo swap, se il commercio bilaterale è stato bilanciato, le valute scambiate sono già rientrate nei rispettivi Paesi; in caso contrario, le due Banche centrali regolano la sola differenza residuata, pagando gli interessi convenuti.

Non solo i rapporti commerciali tra Argentina e Cina sono stati "dedollarizzati", ma la stessa Argentina ha visto accolta la domanda di far parte del Gruppo dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) a partire dal prossimo 1° gennaio. Il Gruppo sarà così composto di 11 membri, visto che ai fondatori si sono aggiunti l'Argentina, l'Arabia Saudita, l'Egitto, gli Emirati Arabi, l'Etiopia e l'Iran.

Qui sta il nodo.

Da una parte l'Argentina ha perseguito la "dedollarizzazione" degli scambi commerciali con la Cina che è ormai il secondo partner, ed è pure entrata a far parte del Gruppo dei BRICS; dall'altra parte, il neo Presidente Milei ha sbandierato la completa "dollarizzazione" dell'Argentina, sostituendo il peso ed eliminando la Banca Centrale.

Milei viene conteso: mentre ha ricevuto congratulazioni calorosissime sia da Donald Trump che da Jair Bolsonaro, che nell'ambito delle rispettive Presidenze degli Usa e del Brasile sono stati entrambi assai severi verso la Cina, Pechino a sua volta ha ostentato tranquillità: "Siamo pronti a lavorare con Buenos Aires per portare avanti la nostra amicizia, rafforzare lo sviluppo e la rivitalizzazione dei nostri Paesi con una cooperazione vantaggiosa per tutti, e per promuovere lo sviluppo costante e a lungo termine delle relazioni Cina-Argentina".

Da ultra liberista quale si professa, Milei ha già dovuto dare prova di equilibrismo: mentre ha affermato che non è sua intenzione intrattenere rapporti con i "Paesi comunisti", sottintendendo con questo termine la Cina di Xi Jinping ed il Brasile di Ignazio Lula, allo stesso tempo ha confermato che i rapporti commerciali sono decisi autonomamente dai privati.

Milei sa bene che per le esportazioni argentine è impossibile trovare mercati di sbocco alternativi al Brasile ed alla Cina. Anche "dollarizzare" l'Argentina è un sogno ricorrente, sin dai tempi di Domingo Cavallo.

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