“In pratica si risolve nel fatto di dover distruggere e ammazzare almeno la metà dei due milioni che sono presenti nella striscia di Gaza”.
Il generale Fabio Mini in un’intervista a l’AntiDiplomatico condotta da Clara Statello commenta l’operazione militare di Israele e quella che definisce la “mattanza” in corso contro la popolazione della striscia.
I reali obiettivi di Israele a Gaza – Fabio Mini (23 novembre) – YouTube
“È una situazione tristissima. Ed è anche una situazione che non ha nessun senso dal punto di vista militare. Non esiste nessuna dottrina militare in campo occidentale, ma neanche in quella orientale che può spiegare quello che Israele sta facendo a Gaza”, prosegue il generale.
Qual è l’obiettivo finale per il quale si possa dire che l’operazione si è conclusa con successo? “Non c’è, o almeno quello che gli israeliani attualmente considerano come un successo è di ammazzare tutti quelli di Hamas. E se per ammazzare tutti quelli di Hamas bisogna ammazzare anche tutti quelli che non c’entrano niente e che semmai lo subiscono Hamas non importa”, prosegue.
Non è soltanto il diritto umanitario o il diritto internazionale bellico che non lo consente. È proprio anche una questione di logica militare secondo Mini. Nel ricordare un suo libro del 2017 pubblicato da il Mulino, Mini sottolinea molto bene come la “dottrina Dahiya” spiega quello che sta accadendo oggi a Gaza.
Dahiya è il nome del quartiere sciita di Beirut che fu praticamente raso al suolo “senza nessuna discriminazione tra civili, combattenti, non combattenti da Israele”. E Dahiya è la dottrina che prevede, proprio “papale papale”, che un avversario di Israele non può attribuirsi nessun tipo di innocenza “né di razza, né di età né di condizione sociale, niente”.
E la risposta che sia contro Hamas, Hezbollah o palestinesi, “doveva essere sproporzionata”. E qui Mini spiega un concetto che è fondamentale per comprendere lo sterminio in corso a Gaza: “Ad un attacco di qualsiasi tipo doveva seguire una reazione di assoluta sproporzione che avrebbe prima di tutto eliminato tutti quelli che erano di fronte in quel momento, ma soprattutto avrebbe dovuto fare da deterrente. Deterrenza per punizione, così come si classifica in tutti i manuali militari”.
Ed è una deterrenza che gli Stati Uniti hanno applicato decine di volte – Mini ricorda diversi esempi tra Iraq e Afghanistan – e che non funziona perché purtroppo nel momento in cui si è attuata la punizione, “siamo sicuri che l’avversario rinuncia a una contropunizione? È un circolo vizioso”.
Con la dottrina Dahiya, prosegue Mini, i morti civili non sono solo “danni collaterali”. “Guardate i danni collaterali, quelli che sembrano non intenzionali con questa dottrina in poi, sono diventati intenzionali e l’obiettivo fondamentale non è stato più tanto quello di colpire i combattenti è stato proprio quello di colpire la popolazione civile”.
E ancora: “Io l’ho scritto anche in un libro, nessuno mi crede, ma comunque è così. Il danno collaterale è un eufemismo, il danno collaterale è diventato un danno intenzionale del quale non si può controbattere”.
I ‘danni collaterali’, ricorda Mini, sono un’invenzione della Nato durante la guerra in Kosovo. “E dopo con la dottrina Dahiya la ritorsione sproporzionata non è più sproporzionata ma una pianificazione. Attaccare in maniera sproporzionata senza nessuna remora perché non esistono innocenti dall’altra parte, non esistono persone perché col diritto umanitario le persone hanno dei diritti insiti nel fatto di essere persone”.
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