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17/11/2023

Un “pacchetto sicurezza” che trasuda paura e infamia

Premessa necessaria. In questo periodo storico, in questo paese, siamo in presenza del minimo storico per quanto riguarda la conflittualità sociale, i fatti di criminalità, rivolte sociali e carcerarie.

Di questi tempi la principale causa di morte violenta è... andare a lavorare. I morti di lavoro del 2023 sono fin qui 1.068 (aumenteranno di certo entro sera, persino in una giornata di sciopero generale). Sul lavoro sono 823, in itinere 245, per una media quotidiana di 3,3. Un “diluvio di Al Aqsa” che si ripete ogni anno...

Se poi andiamo a guardare le statistiche sugli omicidi, in drastico calo da decenni, possiamo facilmente notare come la “tipologia principale” siano ormai i femminicidi: 103, finora, nel solo 2023. Quasi tutti avvenuti “in famiglia”, commessi da chi si conosceva bene, non “per strada nella notte” ad opera di sconosciuti.

Potremmo dunque dire che di tutto si sentiva il bisogno tranne che di un nuovo “pacchetto sicurezza”. Ma un governo para-fascista non ha molti altri argomenti nel suo piccolo “campionario delle idee”, e dunque ha approvato ieri un insieme di norme di dubbia coerenza giuridica, ma “fedeli” ad una mentalità preistorica.

Data la gravità di alcune di esse, sarà però bene prima analizzarle una per una e poi tracciarne un giudizio sintetico.

Occupazioni di case

«Chiunque, mediante violenza o minaccia, occupa senza titolo un immobile destinato a domicilio altrui ovvero impedisce il rientro nel medesimo immobile del proprietario o di colui che lo detiene legittimamente, è punito con la reclusione da 2 a 7 anni».

La stessa pena è prevista per chi «si appropria di un immobile altrui, con artifizi o raggiri, ovvero cede ad altri l’immobile occupato».

Le occupazioni abitative, storicamente, sono la conseguenza di due fattori convergenti: a) la povertà sociale (bassi salari, disoccupazione, marginalità, ecc.), ovvero lo “stato di bisogno” di avere un tetto sulla testa; b) l’inesistenza, da almeno 40 anni, di una “politica della casa”, ovvero della disponibilità di immobili di edilizia popolare ad affitto calmierato o addirittura simbolico.

“Il mercato”, come si legge anche sui media mainstream, è spietato persino con chi ha un reddito più che dignitoso, ma è mortale per chi sta sotto una certa soglia. E parliamo di milioni di persone.

Logica vorrebbe che si costruissero o requisissero abitazioni per affrontare il bisogno, prima di – eventualmente – preoccuparsi di reprimere chi occupa.

Tanto più che le occupazioni, storicamente (basta guardare i dati), riguardano quasi esclusivamente: a) il patrimonio edilizio pubblico non più utilizzato (palazzine, uffici, ecc.), b) palazzine private costruite a fini speculativi e rimaste invendute.

Va da sé dunque che “impedire il rientro del proprietario o di chi lo detiene legittimamente” non è una pratica rivolta contro “privati cittadini”, che vanno perciò difesi dalla legge, ma contro enti o società che non hanno domicilio in quegli edifici. “Persone giuridiche”, insomma, non “fisiche”.

Di fatto si scrive una norma contro i poveri utilizzando una “narrazione” secondo cui “il cittadino onesto” rischierebbe ogni giorno di uscire di casa senza avere la certezza di non ritrovarla occupata al suo rientro.

Qualche episodio del genere è anche avvenuto, in tanti anni, ma si conta sulle dita di una mano sola. E ha riguardato le aree più degradate e abbandonate delle vecchie palazzine popolari, di cui a volte i Comuni più grandi hanno smarrito persino la mappa delle assegnazioni, delle “volture”, dei “cambi”. Episodi risolvibili anche con severità, ma puntualmente, non “fenomeni criminali” di portata così vasta da richiedere nuove leggi.

Non contenti di aver alzato le pene, i ministri hanno approvato anche due dispositivi che definiscono – ci mancherebbe... – “innovativi”.

Primo. È prevista una causa di non punibilità per l’occupante che collabora all’accertamento dei fatti e lascia volontariamente l’immobile occupato (una specie di “legge sulla dissociazione”, insomma).

Secondo. Viene disciplinato un procedimento veloce per ottenere la liberazione dell’immobile e la sua restituzione a chi ne ha diritto. In via ordinaria su questo continuerà a provvedere il giudice, ma nei casi “urgenti” è prevista la possibilità che la liberazione/restituzione dell’immobile sia effettuata direttamente dalle forze di polizia che hanno ricevuto la denuncia. Al giudice, in quel caso, non resta che confermare o meno.

Inutile dire che trasferire un potere così invasivo – sfrattare una famiglia e buttarla in mezzo alla strada – dal magistrato all’ultimo dei poliziotti che si improvvisa “giudice” (sui “titoli di proprietà, possesso e usufrutto”!) non può che dar luogo ad una serie di tragedie facilmente immaginabili.

Riassumendo: la nuova norma si limita ad alzare le pene previste per le “occupazioni” in genere, dare alla polizia poteri che non possono competerle, senza preoccuparsi minimamente di far fronte al bisogno sociale di alloggi popolari.

Misure anti-borseggio e detenute madri

Qui c’è forse la parte più infame e razzista del nuovo “pacchetto”.

Il Questore potrà disporre il divieto di accesso nelle metropolitane, nelle stazioni ferroviarie e nei porti per chi è già stato denunciato o condannato per furto, rapina o altri reati contro il patrimonio o la persona commessi in quei luoghi.

Nei processi penali per tali reati, se compiuti nelle metropolitane e nelle altre aree del trasporto pubblico, il giudice, ove la legge consenta la sospensione condizionale della pena, dovrà comunque prevedere il divieto di accesso a tali luoghi.

Si introduce, inoltre, una norma per sanzionare chi impiega minori nell’accattonaggio.

Fin qui, com’è evidente, si tratta di un codice ad hoc per “gli zingari”. Ed è chiaro anche che si potrà verificare soltanto ex post, dopo averli fisicamente fermati, se “potevano o non potevano”... prendere la metropolitana, ecc.

È tutto da vedere se questo “codice etnico” passerà il vaglio della Corte Costituzionale, visto che incide direttamente sulla libertà di circolazione dei cittadini in generale (ai “condannati” verrebbe di fatto vietato di utilizzare quegli stessi mezzi di trasporto pubblici a tutela dei quali il ministro Salvini ha disposto la precettazione dei lavoratori).

Ma la cosa più grave riguarda le ‘detenute madri’. Attualmente, per le neo-mamme con figli fino a tre anni di età, la legge prevede come obbligatorio il rinvio dell’esecuzione della pena (andranno in carcere dopo, a figli cresciuti). Tale possibilità rimane, ma solo come “facoltà” e in presenza di nuovi requisiti di legge.

Il giudice dovrà infatti valutare se c’è “la recidiva” (nel caso di borseggiatori e taccheggiatori è ovviamente la norma, perché si tratta di reati commessi anche più volte al giorno).

Anche in questo caso l’obiettivo non dichiarato sono “le zingare”, perché ci sembra difficile che una neo-madre “amministratore delegato” possa finire in carcere con la sua prole anche in caso di numerose “recidive” per evasione fiscale o falso in bilancio...

Esplicite le parole con cui il ministro Piantedosi ha rivendicato la paternità dell’idea. “C’è questo fenomeno un po’ sgradevole dell’utilizzo della condizione di maternità come esimente in caso di commissione di reato. La norma riguarda reati ricorrenti come quelli commessi dalle borseggiatrici nelle infrastrutture di trasporto”.

Per i “reati ricorrenti” commessi in ufficio o in banca vale evidentemente un altro codice penale, molto più “umano”...

Porto d’armi

Lascia esterrefatti per il livello di follia la norma che consente agli agenti di polizia, già autorizzati al porto di un’arma da fuoco di servizio, di detenere un’arma da fuoco privata, diversa da quella di ordinanza, senza altra licenza.

Era questa un’esplicita richiesta dei sindacati di polizia, apparentemente priva di senso: poter tenere addosso, fuori servizio, un’arma più leggera al posto di quella d’ordinanza.

Un poliziotto (carabiniere, ecc.) fuori servizio è un cittadino qualsiasi, senza poteri particolari. Se vuole avere un’arma “non di servizio” (quella di proprietà dello Stato, e di cui è responsabile il singolo), non ha che da chiedere una licenza, pagare le tasse relative e possibilmente evitare di atteggiarsi a ispettore Callaghan anche quando va al bar o a lavare la macchina.

E invece spunta “l’autorizzazione per gli agenti di pubblica sicurezza a portare senza licenza fuori servizio per impedire la commissione di un reato o in borghese un’arma diversa da quella di ordinanza“. Insomma, l’agente dovrebbe essere attivo 24 su 24.

Dev’essere per questo che – fuori “pacchetto”, ma contemporaneamente – il governo ha annunciato un aumento salariale per le sole forze dell’ordine, nella misura media di 180 euro mensili, per un totale di 1,5 miliardi

Come ha spiegato direttamente Giorgia Meloni ai vertici del personale di polizia, “Non è una formula di rito ringraziare chi quotidianamente presta il suo servizio per difendere la nostra sicurezza e la nostra libertà. È qualcosa di molto di più. È qualcosa che tocca il nostro stare insieme, il nostro essere comunità. Perché senza sicurezza non c’è libertà, non c’è protezione sociale, non c’è crescita economica“.

Una comunità che ha bisogno della polizia per stare insieme è una comunità così diseguale e ingiusta da risultare intollerabile, alla lunga ingestibile. Confondere “sicurezza” (nel senso sbirresco del termine) e “libertà” significa che l’unica libertà davvero ammessa, in questo sistema di vita, è quella delle imprese.

Per questo i poliziotti devono essere pagati sempre di più e poter andare in pensione molto prima dei lavoratori “civili”. Ma un paese che ritiene più importanti i poliziotti che i maestri o i medici, è un paese in punto di morte.

Rivolte nelle carceri e nei Centri di permanenza per il rimpatrio

Non poteva manca l’introduzione di un nuovo reato (se si vuole essere “innovativi” è un must). Chi organizza o partecipa a una rivolta in un carcere con atti di violenza, minaccia o con altre condotte pericolose rischia una pena supplementare da 2 a 8 anni (per chi organizza la rivolta) o da 1 a 5 anni (per chi partecipa).

Un’ulteriore fattispecie di reato punisce chi “istiga la rivolta”, anche dall’esterno del carcere, con “scritti diretti ai detenuti”. Commentate voi quest’ultima cosa, abbiamo finito i termini...

Piantedosi ha voluto anche l’introduzione di “rivolta organizzata all’interno della struttura di trattenimento per migranti irregolari”. Si tratta di strutture diverse dagli istituti penitenziari, ha spiegato, ma che “hanno in qualche modo ambienti assimilabili”.

Non si è insomma nemmeno reso conto di ammettere – ora – quello che era stato sempre negato in precedenza (i Cpr cono galere, e basta),e addirittura lo rivendica con qualche orgoglio.

Blocchi stradali

La norma attualmente in vigore (“decreti Salvini”) punisce già con una sanzione amministrativa chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa “con il proprio corpo”.

Com’è noto, si tratta storicamente della più antica forma di lotta non violenta, usata in tutto il mondo, soprattutto dal movimento dei lavoratori.

Il provvedimento approvato stabilisce che questa fattispecie diventi ‘reato’ nel momento in cui risulti “particolarmente offensiva e allarmante sia per la presenza di più persone” sia per il fatto che “sia stata promossa e organizzata preventivamente”. Difficile immaginare un blocco stradale fatto da una persona sola o senza un briciolo di organizzazione collettiva.

Perciò la nuova norma è rivolta contro tutti i blocchi stradali possibili e immaginabile (ultimamente ne erano stati messi in atto parecchi, dai movimenti ecologisti). “La norma ha previsto l’elevazione a delitto dell’illecito amministrativo per chi fa il blocco stradale da sei mesi a due anni se il fatto è commesso peraltro da più persone che sono riunite” ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Truffe ad anziani

Prevista anche una stretta sulle truffe commesse ai danni degli anziani e delle persone più fragili. Viene aumentata la pena di reclusione da 2 a 6 anni e viene prevista, per quest’ipotesi, anche la possibilità per le forze dell’Ordine di procedere all’arresto in flagranza.

Che questo fenomeno di sciacallaggio sociale verso i più deboli vada contrastato è indubbio. Che basti aumentare le pene per riuscirci è una fesseria.

Semmai, bisognerebbe prevedere nella fattispecie anche le truffe commesse verso le stesse figure da “soggetti legalizzati” come banche, assicurazioni, gestori, ecc. Altrimenti non si sta “difendendo i deboli”, ma semplicemente “contrastando un concorrente” dei truffatori su larga scala.

Violenza a pubblico ufficiale

Qui è tutto molto più chiaro. La “Violenza a pubblico ufficiale” è un classico reato “autocertificato”. Non solo viene denunciato da chi lo subisce (come tutti i reati, in genere), ma viene anche “refertato” da chi dice di averlo subito. Non è di fatto ammesso contraddittorio, né verifica da parte di un terzo (la magistratura)...

Un po’ come i soldati israeliani dentro un ospedale, insomma: “io dico che c’è stata violenza e lo certifico anche; guai a chi dice il contrario”.

Anche qui è previsto un aggravamento di pena. E infine – non c’è limite al ‘vittimismo aggressivo’ tendente al ridicolo – viene aumentata la pena per chi imbratta “beni mobili o immobili in uso alle forze di polizia o ad altri soggetti pubblici”.

In questo caso “i nemici” sono molti: dai graffitari solitari agli attivisti tipo “Ultima generazione”. La logica non cambia.

In conclusione

Un insieme di “norme ad hoc”, univocamente scritte secondo la logica dell’aumento delle pene, ma senza coerenza con il resto del codice penale. È del resto il marchio di fabbrica di tutti i governi degli ultimi 40 e più anni, che ha portato a una profonda incoerenza sistemica della legislazione penale.

Per esemplificare: un governo può anche decidere di punire con l’ergastolo il furto dell’autoradio, ma è evidente che a quel punto qualsiasi reato può o dovrà prevedere la stessa pena. E questo aumenta la violenza sociale, invece di diminuirla, perché se tutto è “ugualmente grave”, allora tanto vale fare le cose più gravi per arricchirsi di più...

Ma oltre alla critica giuridica appena fatta, c’è l’infamia politica di un governo incapace di affrontare e risolvere qualsiasi problema sociale.

Mancano le case? Bastoniamo chi le occupa...

Il cataclisma climatico è alle porte? Bastoniamo chi lo denuncia...

I salari non bastano per vivere? Bastoniamo chi protesta per chiedere un aumento (ai poliziotti glielo diamo spontaneamente, è ovvio)...

La norma per mandare di nuovo in carcere anche le neo-mamme è quella forse più indicativa dell’ideologia dominante in questo esecutivo: contro la vita umana, in condizioni degne di un essere umano.

In questa logica i problemi sociali oggettivi – povertà, fame, disoccupazione, emergenza abitativa, ecc. – NON ESISTONO.

Esistono solo i singoli prodotti di quei problemi – poveri, affamati, disoccupati, senza casa, ecc.

Ma questi devono accettare la propria condizione e soprattutto tacere. Non protestare mai altrimenti l’ira funesta di un governo mentecatto scatenerà contro di loro un esercito di contractor con salari crescenti, per di più liberi di interpretare il proprio ruolo come meglio credono.

Viene da pensare che almeno una cosa, in questo governo, l’abbiano intuita: sanno che quel che stanno facendo (tra legge di stabilità, pensioni, divieto di salario minimo, e infinite altre cose) solleverà prima o poi una rabbia sociale proporzionale.

Se persino Cgil e Uil hanno riscoperto lo sciopero generale vuol dire che nel fondo della società questo malessere va montando.

Lo sanno, e ne hanno paura. Ma non sanno come fare per risolvere anche soltanto uno di quegli infiniti problemi.

Ogni soluzione vera richiederebbe di “disturbare gli imprenditori”. Ma questa è l’unica cosa che davvero non passa per le teste ministeriali.

E dunque preparano le truppe militari per affrontare un popolo arrabbiato. Che ancora non si fa vedere, ma nell’aria comincia a sentirsi...

Fonte

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