Giovedì 1 febbraio è stato il giorno del summit UE in pratica dedicato completamente all’Ucraina: il tema cardine è quello dei 50 miliardi di euro (dei 64,4 previsti nella variazione di bilancio) da elargire a Kiev per i prossimi quattro anni.
Formalmente, l’ordine del giorno del vertice non menziona affatto l’Ucraina: nell’unico punto previsto si parla di correttivi da apportare al bilancio pluriennale (Multiannual Financial Framework, MFF) 2021-2027, che include anche la creazione di un “Fondo ucraino”, volto ad assicurare la stabilità a lungo termine dell’Ucraina.
Ma il grosso delle nuove spese è previsto proprio a favore di Kiev. Come recita il sito web del Consiglio europeo, «di fronte a sfide inaspettate e senza precedenti, tra cui la guerra d’aggressione della Russia contro l’Ucraina, la pandemia globale del Covid-19 e l’aumento dei tassi di interesse, è necessario rafforzare il bilancio a lungo termine UE».
Nello specifico della parte di nuovo bilancio da elargire a Kiev (il 78%), si parla di 17 miliardi di euro di sovvenzioni e 33 miliardi di prestiti. Gli altri 14 miliardi sarebbero così suddivisi: 2 miliardi per politiche migratorie e rafforzamento delle frontiere, 7,6 miliardi per la politica di vicinato con i paesi del mondo, 1,5 miliardi per il Fondo europeo per la difesa nell’ambito del nuovo strumento della Piattaforma delle tecnologie strategiche (STEP), 2 miliardi di euro per gli strumenti di flessibilità UE e 1,5 miliardi di euro per la riserva di solidarietà e di assistenza emergenziale.
Secondo la Reuters, nella bozza di dichiarazione finale del vertice rimane in sospeso una questione importante: cioè se i leader della UE prevedano di destinare ulteriori 5 miliardi al “Fondo europeo per la pace”, utilizzato per finanziare le forniture di armi a Kiev. Alla vigilia, si diceva che su quest’ultimo punto ci fosse la contrarietà di Berlino.
In realtà, il tema all’ordine del giorno sull’aumento del MFF era già stato presentato il dicembre scorso, ma si era scontrato col veto ungherese; così che si è arrivati all’attuale vertice, di nuovo tentando di convincere Viktor Orban a recedere dal veto sugli aiuti alla junta.
A detta del primo ministro polacco, l'europeista Donald Tusk, Orban è rimasto l’unico leader della UE a conservare un atteggiamento ostile nei confronti dell’Ucraina; per di più, in contrasto con il “comune sentire” del popolo ungherese che, sostiene Tusk, sarebbe ben felice di aiutare l’Ucraina.
Per ovviare al problema del possibile veto ungherese sugli ulteriori aiuti alla junta di Kiev, la liberal-democrazia UE, impersonata dalla Commissione europea, aveva minacciato di togliere a Budapest il diritto di voto: in questo modo, sarebbe stato bellamente aggirato l’ostacolo dell’unanimità, prevista dagli stessi atti fondativi UE.
Lo scorso 27 gennaio Budapest aveva presentato un progetto di compromesso: gli ulteriori finanziamenti a Kiev sarebbero stati elargiti alla condizione che «ogni anno si decida se continuare o meno il finanziamento» e che tale decisione dovrà esser adottata all’unanimità.
Dopo che Bruxelles aveva parlato di “ricatto di Orban”, il britannico Financial Times (FT) – citando un documento del Consiglio d’Europa – rivelava che la UE stava elaborando un piano per minare l’economia ungherese, nel caso Budapest si fosse rifiutata di concordare il nuovo pacchetto di aiuti a Kiev: Bruxelles farebbe crollare il tasso di cambio del fiorino ungherese, riducendo l’attrattiva degli investimenti, con l’obiettivo di danneggiare «occupazione e crescita» dell’economia del paese.
Di fatto, se Viktor Orban non avesse fatto concessioni, la UE avrebbe potuto annunciare pubblicamente la completa cessazione dei finanziamenti a Budapest, con l’obiettivo di «spaventare i mercati».
Vista la reazione ungherese sulla «necessità di cambiamenti nella UE», forse a Bruxelles ci si è resi conto di aver esagerato. Così, il 31 gennaio, ancora il FT, titolando «La UE porge un ramoscello d’ulivo a Viktor Orban per sbloccare gli aiuti all’Ucraina», scriveva che Bruxelles avrebbe fatto un’offerta al primo ministro ungherese nel tentativo di ottenere il suo benestare sui 50 miliardi a Kiev, accondiscendendo alla “revisione annuale”, per i prossimi quattro anni, proposta da Budapest.
Tuttavia, osservava ieri Oleg Khavic su Ukraina.ru, contrariamente alle richieste di Orban, dopo ogni revisione nessun paese UE potrà porre il veto alla continuazione degli aiuti. «Il Consiglio europeo terrà dibattiti annuali sull’attuazione di questo meccanismo, con l’obiettivo di fornire raccomandazioni sull’approccio UE alla situazione derivante dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina», era detto nella bozza di comunicato finale.
Alla vigilia, era ancora incerta la posizione ungherese. Così, secondo il FT, una possibile soluzione avrebbe potuto essere la continuazione nel 2024 dell’attuale programma di prestiti, che può farsi con un voto a maggioranza qualificata, aggirando così il requisito dell’unanimità.
I 26 della UE dovrebbero creare due schemi intergovernativi separati, per trasferire sovvenzioni e prestiti all’Ucraina durante il restante periodo. Una soluzione oltremodo laboriosa.
In ogni caso, pur con Viktor Orban pronto a votare l’elargizione a Kiev di un quarto dei 50 miliardi di euro (cioè 12,5 miliardi) per il 2024, Bruxelles stanzierà comunque 21,2 miliardi solo di aiuti militari.
Questo è quanto emerge da un documento interno preparato dalla Commissione europea e dall’organo diplomatico UE, di cui parla l’edizione di Bruxelles del portale POLITICO. Il documento sottolinea che la cifra di 21,2 miliardi di euro per quest’anno è una stima “preliminare” basata sui dettagli forniti da un «numero limitato» di paesi UE.
Quantomeno curioso, osserva ancora Khavic, che all’incirca la stessa somma di 21 miliardi di euro, sia quella destinata all’Ungheria nel bilancio e nei fondi UE, ma ora congelata col pretesto della violazione del principio della supremazia del diritto nel paese.
In definitiva, pare che alla fine Viktor Orban si sia lasciato convincere: forse proprio in ragione di quei 21 miliardi di euro.
In generale, per conferire un aspetto “democratico” alla decisione UE, si assicura che i 50 miliardi in quattro anni alla junta di Kiev verranno elargiti alla “condizione” del rispetto, da parte dei nazigolpisti, dei diritti delle minoranze nazionali (un’affrettata concessione formale a Budapest, per la forte minoranza ungherese in Ucraina occidentale), della supremazia del diritto e delle norme democratiche.
La democrazia, come è noto, attraversa vari stadi storici; quello attualmente in uso tra i golpisti ucraini fa tutt’uno con l’ipocrisia guerrafondaia della UE.
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