“Conoscevo Calabresi perché era vicedirigente della Digos e seguiva gli anarchici. Per aprire un locale servivano i permessi, diciamo che fu una sorta di scambio. Tu mi dai delle informazioni, io ti faccio avere le licenze”.
Enrico Rovelli, ex manager di rockstar e organizzatore di eventi musicali, festeggia i suoi 80 anni con una compiacente (eufemismo) intervista al Corriere della Sera.
Rovelli afferma di essere ancora anarchico anche se in pratica smentito dalle sue stesse parole con cui ricostruisce il ruolo che ebbe ai tempi della strage di piazza Fontana e della morte per defenestramento di Pino Pinelli.
“Di notizie importanti non ne ho mai date, se lo avessi fatto non sarei qui a raccontarlo – spiega in un colloquio col giornalista per dire e non dire – nell’area anarchica milanese eravamo in due a tenere i rapporti con Calabresi, io e Pino Pinelli. Pino aveva un rapporto speciale con Calabresi, ogni Natale si regalavano un libro”.
Gabriele Fuga avvocato anarchico autore insieme a Enrico Maltini di “La finestra è ancora aperta” sulla morte di Pinelli tiene a precisare: “È gravemente offensivo per Pinelli e la sua famiglia l’accostamento quasi in ‘simbiosi’ che fa con Pino in merito alla fondazione del circolo del Ponte della Ghisolfa e rapporti con Calabresi. Lui Rovelli dava informazioni e Pino… libri”.
Poi Gabriele Fuga aggiunge: “Si sono dimenticati Rovelli e soprattutto il suo intervistatore di Anna Bolena (nome d’arte di Rovelli n.d.r.) che era al servizio di Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’ufficio affari riservati”.
D’Amato, noto anche per una rubrica culinaria sul settimanale L’Espresso, fu uno dei personaggi chiave nella storia della strategia della tensione. Anna Bolena era il nome in codice nei rapporti con i servizi segreti che ebbero un ruolo importante sul quale la magistratura non indagò nel nascondere la verità sulla fine di Pinelli.
Via Fatebenefratelli, sede della questura vide un via vai di 007 arrivati da Roma subito dopo che Pinelli volò dal quarto piano.
Le parole di Rovelli sono significative del modo in cui Luigi Calabresi faceva il commissario, scambiava permessi quantomeno in violazione dei doveri di ufficio in cambio di informazioni sugli anarchici che Rovelli, adesso a 80 anni, punta a ridimensionare ma sulle quali non sapremo mai la verità.
È una intervista da leggere soprattutto per chi santifica Calabresi che quella notte famosa era il più alto in grado a contatto con l’interrogatorio dell’anarchico e l’ufficio dove si svolgeva era il suo.
È da lì, secondo la testimonianza di Lello Valitutti – in questura anche lui perché fermato – Calabresi non si mosse. Anche se il dettaglio non è importante. Il ruolo recitato per nascondere la verità appare fuori discussione. Al di là della sentenza creativa sul malore attivo con cui la magistratura se ne lavava le mani.
Enrico Rovelli, ex manager di rockstar e organizzatore di eventi musicali, festeggia i suoi 80 anni con una compiacente (eufemismo) intervista al Corriere della Sera.
Rovelli afferma di essere ancora anarchico anche se in pratica smentito dalle sue stesse parole con cui ricostruisce il ruolo che ebbe ai tempi della strage di piazza Fontana e della morte per defenestramento di Pino Pinelli.
“Di notizie importanti non ne ho mai date, se lo avessi fatto non sarei qui a raccontarlo – spiega in un colloquio col giornalista per dire e non dire – nell’area anarchica milanese eravamo in due a tenere i rapporti con Calabresi, io e Pino Pinelli. Pino aveva un rapporto speciale con Calabresi, ogni Natale si regalavano un libro”.
Gabriele Fuga avvocato anarchico autore insieme a Enrico Maltini di “La finestra è ancora aperta” sulla morte di Pinelli tiene a precisare: “È gravemente offensivo per Pinelli e la sua famiglia l’accostamento quasi in ‘simbiosi’ che fa con Pino in merito alla fondazione del circolo del Ponte della Ghisolfa e rapporti con Calabresi. Lui Rovelli dava informazioni e Pino… libri”.
Poi Gabriele Fuga aggiunge: “Si sono dimenticati Rovelli e soprattutto il suo intervistatore di Anna Bolena (nome d’arte di Rovelli n.d.r.) che era al servizio di Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’ufficio affari riservati”.
D’Amato, noto anche per una rubrica culinaria sul settimanale L’Espresso, fu uno dei personaggi chiave nella storia della strategia della tensione. Anna Bolena era il nome in codice nei rapporti con i servizi segreti che ebbero un ruolo importante sul quale la magistratura non indagò nel nascondere la verità sulla fine di Pinelli.
Via Fatebenefratelli, sede della questura vide un via vai di 007 arrivati da Roma subito dopo che Pinelli volò dal quarto piano.
Le parole di Rovelli sono significative del modo in cui Luigi Calabresi faceva il commissario, scambiava permessi quantomeno in violazione dei doveri di ufficio in cambio di informazioni sugli anarchici che Rovelli, adesso a 80 anni, punta a ridimensionare ma sulle quali non sapremo mai la verità.
È una intervista da leggere soprattutto per chi santifica Calabresi che quella notte famosa era il più alto in grado a contatto con l’interrogatorio dell’anarchico e l’ufficio dove si svolgeva era il suo.
È da lì, secondo la testimonianza di Lello Valitutti – in questura anche lui perché fermato – Calabresi non si mosse. Anche se il dettaglio non è importante. Il ruolo recitato per nascondere la verità appare fuori discussione. Al di là della sentenza creativa sul malore attivo con cui la magistratura se ne lavava le mani.
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Redazione. L’importanza “pedagogica” di storie come questa dovrebbe essere registrata con grande evidenza da ogni nuova generazione di attivisti. Il modo più antico e semplice di cercare di “controllare” i movimenti è quello di infiltrarli con propri agenti (nel gruppo anarchico d’allora, neanche il principale, infilarono il fascista Mario Merlino e un poliziotto sotto copertura, Salvatore Ippolito).
Ma anche quello di “comprare confidenti”, come questo Enrico Rovelli, piccolo-medio “imprenditore culturale” che risolve i problemi di burocrazia che gli si presentano spifferando informazioni al Commissario.
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