Le celebrazioni si svolgeranno il 26
all’interno della Caserma Vannucci, probabilmente con la presenza di
qualche ministro e con l’appoggio delle istituzioni locali.
Il 27 le celebrazioni continueranno alla Rotonda di Ardenza con l’esposizione di mezzi da guerra, armi e carri armati.
Per alcuni anni è stata data la
disponibilità dello stadio A. Picchi in particolare quando l’evento
coincideva con il ritorno dei paracadutisti da qualche missione di
“pace”. Lo scorso anno si è svolto a Pisa, per la prima volta.
Questo evento, ogni anno, ha sollevato grandi polemiche e contestazioni in città, per vari e validi motivi.
Vogliamo porre all’attenzione alcune
riflessioni che ci vengono spontanee pensando a questo evento, le stesse
che hanno gettato le basi per presidi di contestazione e veri e propri
cortei contro le spese militari e contro il revisionismo storico, in
occasione della commemorazione di El Alamein negli anni passati.
Cos’è la battaglia di El Alamein
La battaglia di El Alamein si svolse in
Egitto tra il 23 ottobre e il 3 novembre del 1942 durante la seconda
guerra mondiale. Questa battaglia, molto cruenta e sanguinosa, fu
combattuta tra le truppe italo-tedesche, quindi nazi-fasciste, (i
famigerati “Afrika Korps”) e gli Alleati (anglo-americani).
L’anniversario della battaglia viene
celebrato ogni anno dalle Forze Armate, in primis i paracadutisti della
Folgore, con l’appoggio dello Stato e delle istituzioni locali. Le
ragioni di una celebrazione ufficiale dipendono dal fatto che, in
quell’occasione, 17000 soldati italiani persero la vita. In particolare,
la brigata Folgore fu annientata dopo aver combattuto contro il loro
nemico, che in questo caso erano gli Alleati i quali stavano liberando
l’Europa dal nazi-fascismo.
Fermo restando l’umano e naturale dolore
che porta all’interno di molte famiglie la morte di tante persone
durante una guerra, durante questa ricorrenza, l’“eroismo” e il
“sacrificio” di quei soldati vengono esaltati senza mai contestualizzare
storicamente l’avvenimento. Non si ricorda mai che quelle truppe
italiane combattevano al fianco dei nazi-fascisti, e la loro sconfitta
ha significato la libertà di cui oggi godiamo, e la fine della minaccia
hitleriana per tutti i popoli del mondo.
Pensiamo che sia arrivato il momento che
le istituzioni prendano parola sull’argomento. Puntualizzare che
vengono commemorati i morti, ma che si prende distanza dal nazi-fascismo
e dalle follia che causò la seconda guerra mondiale e tutte le guerre
di aggressione come quella, sarebbe doveroso. Un atto di chiarezza.
Sarebbe gradito dire che tutti gli
italiani morti evidentemente erano dalla parte sbagliata, e che il loro
sacrificio ha significato un tassello in più verso la sconfitta del
nazismo e del fascismo e di tutti gli orrori che avevano generato, dalle
leggi razziali, alle deportazioni, alla soppressione di ogni libertà.
Questo per evitare che la commemorazione
sia, come in effetti è, un ritrovo di nostalgici fascisti e di
militanti dell’estrema destra.
Le celebrazioni per la commemorazione
Purtroppo senza questi distinguo, ogni
anno, centinaia di militari, accompagnati da altrettanti nostalgici
fascisti, invadono Livorno; saluti romani e provocazioni varie sono
all’ordine del giorno. E’ l’ora di dire basta.
Inoltre durante la giornata “pubblica”
vengono addirittura impiantati veri e propri accampamenti bellici con
mezzi blindati alla Rotonda d’Ardenza, o allo stadio, dove persino i
bambini sono spinti ad “ammirare” gli strumenti di morte utilizzati in
guerra. Purtroppo, anche l’amministrazione della nostra città,
concedendo spazi pubblici, è complice di questo brutto esempio di
pedagogia infantile. Forse sarebbe il caso che i festeggiamenti
avvenissero solo il 26 in forma privata e non in luoghi pubblici. Basta
concedere spazi pubblici all'esposizione e all'esaltazione della guerra!
Inoltre ogni volta, i governanti di
turno, insieme ai capi dell’esercito, non si lasciano sfuggire
l’occasione per giustificare e ammantare di retorica e gloria le attuali
missioni di “pace” dei nostri ragazzi, sfruttando la commozione di una
platea di parenti e discendenti dei caduti di oggi e di ieri.
Peccato che oggi, nel 2013, anche i
bambini sappiano benissimo che in Afghanistan e in Iraq siamo e siamo
stati in guerra, difendendo interessi economici e geopolitici, così come
praticamente tutti gli italiani sono stufi di vedere spendere miliardi e
versare sangue in inutili occupazioni militari, quando invece
nell’indifferenza generale, ogni giorno ci sono almeno 3 morti sui posti
di lavoro. Senza contare i tagli alle spese sociali in favore del
finanziamento delle missioni di guerra e per l’acquisto di mezzi da
guerra, come gli aerei F35.
Ma gli autori di questa disonesta quanto
abile distorsione della Storia contemporanea non si limitano a questo:
chiunque provi a riportare il senso delle cose alla giusta
interpretazione dei fatti, qualunque voce critica viene aggredita e
tacciata di antipatriottismo, di disumanità per i caduti, di spirito
anti-italiano. Compreso chi cerca di ricordare alle masse inebetite
dalla pompa magna mediatica che, in una democrazia nata dalla sconfitta
del nazifascismo, attraverso una Costituzione scritta dai protagonisti
della Resistenza, non ha senso commemorare con “dolore” la sconfitta
delle truppe nazi-fasciste di Hitler in una battaglia strategica per la
vittoria finale degli Alleati.
Se riportare chiarezza sull’argomento
significa essere anti-patriottici o anti-italiani, probabilmente è
perché siamo internazionalisti, e ci schieriamo dalla parte di ogni
popolo oppresso, e mai dalla parte dell’oppressore. Se in questo caso
gli oppressori erano gli italiani, da che parte schierarsi viene
spontaneo, senza ombra di dubbio.
Un po’ di storia
Ad esempio pochi sanno che ci sono state
due battaglie di El Alamein. Durante la prima, avvenuta alcuni mesi
prima, i soldati italiani si distinsero per “eroiche” gesta, descritte
nel diario del generale Olivaride Mouhamed, capo della resistenza
beduina:
“Nella battaglia al fianco dell'Africa
Korps si fecero notare 3 valorosi soldati italiani la cui popolazione
locale non dimenticò facilmente, difatti vennero ricordati per la loro
crudeltà e tenacia; […] Si trattava di Garbarinit Gianluca […] che si
mise in luce per la sua abilità di cecchino, […] si racconta che
nascosto su un altopiano uccise quasi 11 nemici e seminò la zona di
terribili Bouncing Betty (mine a pressione) che negli anni seguenti
uccisero altrettanti civili; Cirili Nicola […] si fece ricordare per il
triste primato di crimini di guerra di 8 indigeni […]; Borgi Leopoldo
che in un solo giorno uccise 14 ribelli”
Ma basterebbe ricordare anche che ci
sono stati grandi patrioti e martiri della libertà che, negli stessi
anni, non solo hanno contributo a cacciare l’invasore tedesco dal nostro
paese, ma che sono andati a combattere l’esercito di Mussolini in
Africa, a fianco di popoli lontani ma uniti a noi dall’oppressione del
regime fascista. Chi tra questi eroi partigiani è sopravvissuto, ha poi
scritto la nostra Costituzione, sulla quale gli attuali governanti e
ministri spergiurano durante la cerimonia dell’insediamento.
Un eroe livornese: Ilio Barontini in Africa
Questo tipo di commemorazione oltretutto
offende la memoria di un nostro amato concittadino, Ilio Barontini, che
in quegli anni era in Africa, dalla parte degli oppressi. Vogliamo
ricordare la sua difficile missione in Somalia, nazione martoriata da
una storia difficile fatta di invasioni, dominazioni sanguinarie e
stragi civili. Somali, Etiopi ed Eritrei, purtroppo, a causa di queste
vessazioni, ad oggi non trovano ancora pace.
Ilio Barontini, nel 1938, decise di
andare laggiù, insieme allo spezzino Bruno Rolla e il triestino Anton
Ukmar per aiutare questa gente a liberarsi dall’ “impero” fascista.
Malgrado il pugno di ferro di Graziani, l’Etiopia era ben lontana
dall’essere sottomessa. Barontini, Rolla e Ukmar avevano un
lasciapassare del Negus e lettere di accompagnamento per gli alleati
dell’imperatore. I tre erano chiamati i “tre apostoli”, Barontini era
“Paulus”, Rolla era “Petrus” e Ukmar “Johannes”. C’è di più. Il Negus
dette a Barontini il ruolo di consulente del governo provvisorio alla
macchia e il titolo di vice imperatore. Barontini e gli altri due
“apostoli”, che agivano in zone diverse, predicavano l’unità delle razze
e delle coscienze. Riuscirono ad infondere il senso dell’unità. Non era
mai accaduto nell’Africa tribale. C’era una fame terribile anche
allora, in Etiopia. Per non pesare sulle tribù, Barontini faceva
mangiare ai partigiani i coccodrilli. La polizia italiana seppe di
Barontini e presto si sparse la voce di questo capo bianco che dirigeva
la resistenza. Misero una taglia sopra la sua testa e fecero circolare
la sua foto. Ma “Paulus” aveva una gran barba. Era irriconoscibile.
Comunque andarono vicini alla sua cattura. Un capo tribù arrivò al
comando di “Paulus” con i suoi uomini e chiese di entrare fra i
partigiani. Poche ore dopo tentò di saltare addosso a “Paulus”, ma
“Paulus”, che stava sempre in guardia e non dormiva due notti di seguito
nel medesimo posto, evitò la trappola e le suonò al traditore. Anche
qui ci sono degli italiani che combatterono contro gli italiani. Oggi è
chiaro che la spedizione in Etiopia fu un errore, un dispendio inutile
di vite, di capitali. Che poi gli italiani agli ordini di Graziani e
quelli che scesero laggiù per lavorare, fossero quasi tutta “brava
gente”, è un altro discorso. Tanto è vero che Barontini non volle mai
che fosse torto un capello ai soldati italiani caduti prigionieri. E
tanti italiani sono rimasti nelle tribù, di loro volontà, dopo essere
stati fatti prigionieri.
QUINDI COME OGNI ANNO LO SLOGAN E’ SEMPRE LO STESSO:
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