"E' certo che negozieremo sulla forma, la quantità e sui vari livelli di
arricchimento dell'uranio, ma il trasporto di materiali fuori dal Paese
è la nostra linea rossa". L'Iran, stando alle parole del suo
viceministro degli Esteri Abbas Araghchi e negoziatore per il
nucleare nel vertice che inizierà domani a Ginevra, tenderà la mano alle
potenze del 5+1, ma rimarrà fermo sulla questione più spinosa che
riguarda il suo programma nucleare: l'invio di alcune scorte del proprio
uranio altamente arricchito all'estero, una delle richieste delle
potenze occidentali sin dalla ripresa dei colloqui all'inizio del 2012.
Il nodo della questione risiede in quel 20 per cento di arricchimento
dell'uranio che costituisce la soglia-limite per costruire un'arma
nucleare. L'uranio cosiddetto "a gradazione per le armi"
(weapon-grade) - quello cioè necessario per ottenere un potente ordigno
atomico - deve essere arricchito almeno all'85 per cento: le
strutture in possesso di Teheran permettono invece un arricchimento al
20 per cento, troppo poco per ottenere un'arma efficiente, ma comunque
una minaccia per la comunità internazionale che diffida delle dichiarazioni sempre più rassicuranti della Repubblica islamica.
"Vogliamo cambiare l'approccio degli ultimi sei anni, che non ha dato
risultati" ha scritto ieri sul suo profilo Facebook il ministro degli
esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. E in effetti, dal riavvio
dei colloqui tra Iran e potenze occidentali il mese scorso per la
preparazione di nuovi negoziati, la posizione di Teheran si è mostrata
sempre più morbida: in vista dei colloqui, i funzionari iraniani
avevano persino ventilato l'ipotesi di poter fermare l'arricchimento
dell'uranio al 20 per cento e di essere pronti a dare agli esperti Onu
più supervisione sul programma nucleare, in cambio di un allentamento
delle sanzioni economiche imposte al Paese.
Eppure alla comunità internazionale non basta. Come spiega un'analisi
dell'Associated Press, le potenze occidentali lavorano per fissare un
tetto al numero e al tipo di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio
presenti nella Repubblica islamica, ora a quota 10 mila. Oltre alla
spedizione all'estero di tutto l'uranio arricchito di cui non ha bisogno
per scopi civili - una grande riserva, teoricamente, potrebbe anche
servire per costruire armi - si chiede anche la chiusura del sito di Fordow, il più piccolo dei suoi due impianti di arricchimento noti:
secondo l'analisi dell'AP, infatti, l'area è così ben fortificata che
sarebbe difficile da distruggere nel caso in cui Teheran decidesse si
usarla per produrre ordigni atomici. E infine, l'Europa e gli Stati
Uniti vogliono fermare la costruzione di un reattore che produrrà
plutonio.
Non è ancora chiaro quanto tempo ci vorrà - se ciò dovesse realmente
accadere - per giungere a un accordo. Araghchi azzarda sei mesi: "Se (le
potenze del 5+1, ndr) avranno buona volontà - ha dichiarato in un'intervista alla tv di Stato Channel 2
- i negoziati porteranno risultati anche prima, e il nostro programma è
tale che non avranno alcun pretesto per respingerlo». Zarif, dal tono
fiducioso, auspica che "si riesca a raggiungere una road map
entro mercoledì", anche se "occorrerà tenere poi una riunione
ministeriale" come quella svoltasi il mese scorso a margine dei lavori
dell'Assemblea Generale dell'Onu, che ha visto il capo della diplomazia
iraniana sedere fianco a fianco con il Segretario di Stato Usa John
Kerry e stringersi addirittura la mano dopo più di 30 anni di relazioni
interrotte.
Pronta la risposta negativa di Mosca che, timorosa di perdere il suo
ruolo di mediatrice nelle questioni spinose della regione "per colpa"
dell'avvicinamento improvviso di Washington e Teheran, giudica
"prematura" l'ipotesi di una riunione ministeriale: "E' necessario - ha
spiegato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov - preparare
il terreno e stabilire gli ambiti di discussione meritevoli
dell'attenzione di un ministro e della sua posizione. Riteniamo pertanto
che per adesso i negoziati proseguiranno secondo il formato già
utilizzato negli anni precedenti". E' ottimista, invece, Kerry, per il
quale "la finestra diplomatica sul nucleare iraniano si apre sempre di
più", ma ci tiene a ricordare che "alle parole devono seguire gli atti"
da parte della Repubblica Islamica.
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