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15/10/2013

Iran: "Mai il nostro uranio all'estero"

"E' certo che negozieremo sulla forma, la quantità e sui vari livelli di arricchimento dell'uranio, ma il trasporto di materiali fuori dal Paese è la nostra linea rossa". L'Iran, stando alle parole del suo viceministro degli Esteri Abbas Araghchi e negoziatore per il nucleare nel vertice che inizierà domani a Ginevra, tenderà la mano alle potenze del 5+1, ma rimarrà fermo sulla questione più spinosa che riguarda il suo programma nucleare: l'invio di alcune scorte del proprio uranio altamente arricchito all'estero, una delle richieste delle potenze occidentali sin dalla ripresa dei colloqui all'inizio del 2012.

Il nodo della questione risiede in quel 20 per cento di arricchimento dell'uranio che costituisce la soglia-limite per costruire un'arma nucleare. L'uranio cosiddetto "a gradazione per le armi" (weapon-grade) - quello cioè necessario per ottenere un potente ordigno atomico - deve essere arricchito almeno all'85 per cento: le strutture in possesso di Teheran permettono invece un arricchimento al 20 per cento, troppo poco per ottenere un'arma efficiente, ma comunque una minaccia per la comunità internazionale che diffida delle dichiarazioni sempre più rassicuranti della Repubblica islamica.

"Vogliamo cambiare l'approccio degli ultimi sei anni, che non ha dato risultati" ha scritto ieri sul suo profilo Facebook il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. E in effetti, dal riavvio dei colloqui tra Iran e potenze occidentali il mese scorso per la preparazione di nuovi negoziati, la posizione di Teheran si è mostrata sempre più morbida: in vista dei colloqui, i funzionari iraniani avevano persino ventilato l'ipotesi di poter fermare l'arricchimento dell'uranio al 20 per cento e di essere pronti a dare agli esperti Onu più supervisione sul programma nucleare, in cambio di un allentamento delle sanzioni economiche imposte al Paese.

Eppure alla comunità internazionale non basta. Come spiega un'analisi dell'Associated Press, le potenze occidentali lavorano per fissare un tetto al numero e al tipo di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio presenti nella Repubblica islamica, ora a quota 10 mila. Oltre alla spedizione all'estero di tutto l'uranio arricchito di cui non ha bisogno per scopi civili - una grande riserva, teoricamente, potrebbe anche servire per costruire armi - si chiede anche la chiusura del sito di Fordow, il più piccolo dei suoi due impianti di arricchimento noti: secondo l'analisi dell'AP, infatti, l'area è così ben fortificata che sarebbe difficile da distruggere nel caso in cui Teheran decidesse si usarla per produrre ordigni atomici. E infine, l'Europa e gli Stati Uniti vogliono fermare la costruzione di un reattore che produrrà plutonio.

Non è ancora chiaro quanto tempo ci vorrà - se ciò dovesse realmente accadere - per giungere a un accordo. Araghchi azzarda sei mesi: "Se (le potenze del 5+1, ndr) avranno buona volontà - ha dichiarato in un'intervista alla tv di Stato Channel 2 - i negoziati porteranno risultati anche prima, e il nostro programma è tale che non avranno alcun pretesto per respingerlo». Zarif, dal tono fiducioso, auspica che "si riesca a raggiungere una road map entro mercoledì", anche se "occorrerà tenere poi una riunione ministeriale" come quella svoltasi il mese scorso a margine dei lavori dell'Assemblea Generale dell'Onu, che ha visto il capo della diplomazia iraniana sedere fianco a fianco con il Segretario di Stato Usa John Kerry e stringersi addirittura la mano dopo più di 30 anni di relazioni interrotte.

Pronta la risposta negativa di Mosca che, timorosa di perdere il suo ruolo di mediatrice nelle questioni spinose della regione "per colpa" dell'avvicinamento improvviso di Washington e Teheran, giudica "prematura" l'ipotesi di una riunione ministeriale: "E' necessario - ha spiegato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov - preparare il terreno e stabilire gli ambiti di discussione meritevoli dell'attenzione di un ministro e della sua posizione. Riteniamo pertanto che per adesso i negoziati proseguiranno secondo il formato già utilizzato negli anni precedenti". E' ottimista, invece, Kerry, per il quale "la finestra diplomatica sul nucleare iraniano si apre sempre di più", ma ci tiene a ricordare che "alle parole devono seguire gli atti" da parte della Repubblica Islamica.

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