L'Iran è ormai lanciato: l'onda della riconciliazione globale investe
anche l'Arabia Saudita, altro nemico storico di Teheran e ora target
della nuova politica moderata del presidente Rowhani. Ieri dal Kuwait
dove si trova in visita ufficiale, il ministro degli Esteri iraniano,
Javad Zarif, ha detto che il regime è alla ricerca di una nuova e forte
cooperazione con l'alleato sunnita statunitense, l'Arabia Saudita, in prima linea in passato contro la sciita Teheran.
"Guardiamo all'Arabia Saudita come ad un importante e influente Paese
della regione e stiamo lavorando per rafforzare la cooperazione per il
bene dell'area". Un annuncio che potrebbe aprire la strada ad una visita
ufficiale, dopo l'accordo raggiunto dall'Iran con il 5+1 e che l'Arabia
Saudita - insieme ad altre petromonarchie - aveva accolto con non pochi
timori. Ma già la scorsa settimana è giunta la prima apertura: il
ministro degli Esteri degli Emirati Arabi, Sheikh Abdullah bin Zarif, ha
parlato di una possibile partnership con Teheran, primo Paese a fare
facendo visita all'Iran dopo la firma dell'accordo.
Quello che i sei membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo
intendono fare è regolare e gestire la nuova influenza che Teheran
eserciterebbe una volta riconosciuto come partner credibile: per
decenni, l'Iran è stato trattato come Stato pariah, forte dell'asse
sciita con Siria ed Hezbollah, ma colpito da sanzioni e boicottaggi da
parte dei ricchi e potenti Paesi del Golfo. Il nuovo corso intrapreso
dal regime di Rowhani scombina le carte in tavola: Teheran è oggi
rientrato nell'arena della comunità internazionale e le petromonarchie,
le vecchie nemiche, non possono permettere che eserciti un'influenza
eccessiva sulla regione.
Soprattutto in vista del pieno rientro dell'Iran nella compagine OPEC:
le dure sanzioni economiche imposte a Teheran hanno provocato negli
ultimi anni un calo drastico della produzione e delle vendite, a favore
di Iraq e Arabia Saudita, i principali produttori mediorientali. Adesso
i "negoziatori petroliferi" iraniani tornano in prima fila per ridare
all'Iran un posto di rilievo all'interno dell'organizzazione, dopo le limitazioni alle vendite dovute alle sanzioni internazionali.
La ripresa delle esportazioni iraniane modificherebbe considerevolmente
il mercato petrolifero, a scapito di Arabia Saudita e Iraq, e il prezzo
al barile non potrebbe che scendere. Un'opzione che a Riyadh non va
certo a genio: parola d'ordine, contenere il nuovo Iran. La stessa del
premier Netanyahu che da Roma oggi torna a ribadire l'assoluta
contrarietà di Israele all'accordo tra 5+1 e Iran. Durante l'incontro con il premier italiano Letta, Bibi è tornato a tuonare contro l'apertura all'Iran:
"Non starò zitto. Togliere le sanzioni all'Iran per il suo programma
nucleare farà crollare tutti gli sforzi di questi anni. Basta con le
illusioni: l'Iran cerca la bomba atomica, è un regime che sostiene il
terrorismo. Noi non permetteremo che l'Iran abbia l'atomica da usare
contro di noi".
Insomma, Tel Aviv non si fida di Teheran. O meglio, non vede di buon
occhio la nuova immagine del regime iraniano: senza la minaccia Iran,
Israele - come l'Arabia Saudita - perderebbe un importante strumento di
propaganda e la giustificazione ai milioni di dollari per la sicurezza
che piovono ogni anno da Washington.
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