Banche, uffici e mercati aperti e una notte meno insonne per la gente
che ha timidamente cominciato ad affacciarsi per strada dopo tre giorni
consecutivi di strascichi violenti e colpi di arma da fuoco che hanno
continuato a rimbombare e a fare vittime ancora dopo le dimissioni
forzate - su forte pressione regionale e internazionale - dell'ex
presidente ad interim Michel Djotodia e del primo ministro Nicolas
Tiangaye al vertice in Chad di venerdì scorso.
Appariva così ieri mattina Bangui - città spettrale che si difende da se
stessa - con i sopravvissuti per settimane rintanati in casa nel
terrore di ulteriori violenze o di ritrovarsi travolti dagli scontri tra
le opposte fazioni dei combattenti Seleka e delle milizie cristiane
anti-balaka.
Prove generali molto timide di normalità per la ex colonia francese dopo
gli ultimi colpi di coda di una barbarie inaudita degenerata in episodi
di cannibalismo oltreché di saccheggi contro moschee e negozi di
musulmani e i regolamenti di conti delle ultime ore che, secondo quanto
riportato dal responsabile della Croce Rossa locale Antoine Mbao-Bogo,
avrebbero fatto durante lo scorso fine settimana almeno 13 morti e 60
feriti: "Tra i morti abbiamo trovato guardiani notturni, bambini di
strada e vittime di pallottole vaganti". Nonostante le strade fossero
pattugliate dai 1,600 soldati francesi dell'Operazione Sangaris e i
4,000 peacekeepers dell'Unione Africana.
A cercare di formalizzare questo apparente stato di calma, è stato ieri
il capo del Consiglio nazionale di transizione (CNT) e nuovo leader ad
interim della Repubblica Centrafricana - fino alla nomina prevista entro
le prossime due settimane di un nuovo Presidente - Alexandre Ferdinand
Nguendet, durante una cerimonia al quartier generale della polizia a
Bangui davanti a centinaia di ufficiali militari: "I saccheggi sono
finiti. Il caos è finito. La gente deve riconquistare il suo onore".
Sono almeno 400 i soldati per le vie della capitale con l'ordine di
sparare a vista dispiegati da Nguendet che ha anche annunciato il
ridispiegamento nel giro di 72 ore delle forze di polizia chiamate a
riprendere le posizioni nelle unità di appartenenza disertate nelle
scorse settimane per paura di rappresaglie da parte dei ribelli Seleka.
Le Nazioni Unite stimano che dieci mesi di combattimenti nella ex
colonia francese abbiano spostato circa 1 milione di persone, o poco più
di un quinto della popolazione. Più di 1.000 sarebbero state uccise nel
solo mese di dicembre - secondo quanto riportato da Amnesty
International - mentre si teme una catastrofe umanitaria a Bangui dove
in circa 500.000 sono ammucchiate in campi di fortuna senza acqua
corrente e servizi igienici necessari.
Intanto è previsto per oggi l'inizio delle consultazioni tra Nguendet, i
rappresentanti dei partiti politici e quelli della società civile in
vista - entro il termine di due settimane stabilito dalla Corte
Costituzionale - dell'elezione del successore di Michel Djotodia - da
sabato in esilio a Cotonou, capitale del Benin - ex leader dei ribelli
Seleka e primo Presidente musulmano in un Paese a maggioranza cristiana
salito al potere a marzo 2013 con un colpo di stato che rovesciò
l'allora presidente François Bozizé.
A conti fatti, una pantomima quella a cui si assiste in queste ore per
dare un leader a uno Stato che non c'è in un Paese senza strutture
amministrative, senza un esercito e risorse monetarie, ma in balia delle
forze militari straniere e al soldo di Hollande.
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