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12/01/2014

Renzi, il job è molto boss

Per capire, e contrastare, il Jobs Act di Renzi (l'inglese è una concessione a Obama) non bisogna prendere le singole misure ma leggere le premesse. Che sono due. Una obbligata, di merito. "Questo non è un documento chiuso, ma aperto al lavoro di chiunque. Anche vostro". Per un segretario di un partito "democratico" la disponibilità all'ascolto si impone. La premessa "di merito", invece, è quella decisiva, quella che informa l'intero progetto, quella da contestare. "Non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro - scrive Renzi - ma gli imprenditori. La voglia di buttarsi, di investire, di innovare. L’Italia può farcela, ma deve uscire da questa situazione di bella addormentata nel bosco. Deve rompere l’incantesimo. Per farlo c’è bisogno di una visione per i prossimi anni e di piccoli interventi per i prossimi mesi".

A questo punto, la vecchia "mano invisibile", la cieca fiducia nelle forze rigeneratrici del mercato, prende il sopravvento e costituisce la "visione per i prossimi anni" mentre la politica è confinata nella cura "dei piccoli interventi". Il Jobs Act sta tutto in queste righe, com'era prevedibile, chiaro, ma come è giusto sottolineare. Il resto è una elencazione di cose concrete, quelle relative alla "visione" e di cose fumose quando, invece, si riferiscono al lavoro in carne e ossa. Per questo la presentazione della "bozza" renziana non ha incontrato particolari resistenze. Nessuno scontro con la Cgil, con la Fiom, nemmeno con i Cinque stelle. Pesa, certamente, il fatto che il sindaco di Firenze abbia il vento in poppa e nessuno se la sente, ora, di sfidarlo. Dovrà sbattere il muso su qualche ostacolo, prendere qualche cantonata, farsi, politicamente, del male. Accadrà anche questo, ma non ora, non qui.

L'elencazione renziana, però, è double face. Quando ci si riferisce alle imprese, in virtù della loro taumaturgica capacità di creare lavoro, si propongono soluzioni concrete. In fondo, recita il documento "l’obiettivo è creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando la voglia di investire dei nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri". E allora, ecco la riduzione dei costi dell'energia e dell'Irap, entrambi del 10%. Parliamo di tre-quattro miliardi facilmente individuabili per compensare i quali, però, si fa riferimento a un generico aumento di costi per "chi si muove in ambito finanziario". Quanto e come non viene precisato.

Ma è su quello che dovrebbe essere il cuore del progetto che il fumo si fa più denso. Per creare "nuovi posti di lavoro" individua sette settori:

a) Cultura, turismo, agricoltura e cibo;
b) Made in Italy (dalla moda al design, passando per l’artigianato e per i makers;
c) ICT;
d) Green Economy;
e) Nuovo Welfare;
f) Edilizia;
g) Manifattura

per ognuno dei quali "il Jobs Act conterrà un singolo piano industriale con indicazione delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro". Tutto coniugato al futuro. Al futuro è anche il varo del nuovo Codice del lavoro, da presentare in "otto mesi" che, però, durante la campagna elettorale delle primarie erano tre e ora si sono allungati. E nel linguaggio oscuro della politica è presentata anche l'altra principale proposta del piano, la riduzione della precarietà tramite la "riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40, che hanno prodotto uno spezzatino insostenibile". Il contratto di inserimento a tempo indeterminato e a tutele crescenti che Renzi ha sposato - si tratta della proposta avanzata a suo tempo da Tito Boeri e Pietro Garibaldi - avverrà tramite "un processo", cioè un percorso per nulla precisato.

Molti titoli anche sugli altri dossier caldi del lavoro. Si parla di "assegno universale" per chi perde il posto di lavoro, "anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro". Non è chiara la differenza con l'attuale Aspi o mini-Aspi che già prevede norme analoghe, salvo l'idea di voler intaccare gli ammortizzatori sociali, cassa integrazione in primis, per rivedere tutta la struttura del sostegno a chi perde il lavoro. Ma toccare la cassa integrazione significa introdurre un mutamento strutturale passando da un welfare che difende il posto di lavoro a un sistema che fa di quest'ultimo un optional. Anche l'Agenzia Unica Federale che dovrebbe coordinare i Centri per l'impiego non è ben specificata. Apertura a Fiom e Cgil sulla Legge sulla rappresentanza sindacale - che però è già in discussione alla Camera, basta appoggiarla - e massima confusione sull'idea di cogestione alla tedesca. Lì, il sistema prevede i consigli di sorveglianza che incidono anche sulle decisioni aziendali ma non prevedono la presenza dei lavoratori nei Consigli di amministrazione delle grandi aziende come propone Renzi. Va bene che l'idea di fondo è la centralità dell'impresa ma addirittura costringere i lavoratori a diventare proprietari delle imprese forse è troppo anche per il capitalismo italiano.

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