05/05/2014
Accordo Hamas-Fatah. Le “buone” intenzioni di due fazioni in crisi
La strada verso la riconciliazione è lastricata di buone intenzioni: quotidiani tornati in edicola, pioggia di denaro dal Golfo e sicurezza in comune. Ma mentre Hamas e Fatah si incontrano a Doha per il primo meeting dopo l’annuncio della riconciliazione nazionale, i dubbi restano. O meglio, non mancano le domande sulla concreta realizzazione di un accordo che ha già fatto infuriare Israele.
Oggi in Qatar il leader di Hamas Khaled Meshaal incontrerà il presidente dell’ANP Abbas. Secondo Sami Abu Zuhri, portavoce del movimento islamista, al centro della discussione di oggi ci saranno “le modalità di implementazione dell’accordo firmato a Gaza il 23 aprile scorso”.
Meshaal gioca in casa, nella città del suo esilio forzato, protetto dall’ampia ala del Qatar che per facilitare la riconciliazione tra le due fazioni palestinesi sul tavolo del dialogo ha messo cinque milioni di dollari. Denaro che finirà nelle casse del governo de facto della Striscia, nell’obiettivo di rendere più appetitoso un accordo definitivo con i rivali di Fatah. Secondo il ministro gazawi Radwan, il contributo del Qatar è volto a garantire le necessarie basi finanziarie al progetto di riconciliazione, in particolare a risarcire le famiglie che hanno perso i propri cari nel conflitto Hamas-Fatah.
Da parte sua Hamas mostra la necessaria buona volontà permettendo l’ingresso a Gaza di circa tremila poliziotti dell’Autorità Palestinese. Si uniranno alle forze di sicurezza di Hamas, primo passo concreto verso la riconciliazione. Si tratterà di poliziotti già impiegati nella Striscia prima del 2007, anno della rottura politica tra le due fazioni e della separazione tra le due enclavi palestinesi, Gaza e Cisgiordania.
Infine, la censura reciproca. Da oggi Hamas permetterà la redistribuzione nella Striscia del noto quotidiano della Cisgiordania Al Quds, da sette anni introvabile a Gaza a causa del divieto di vendita imposto dal movimento islamista. La ripresa della vendita era stata chiesta dal comitato delle libertà pubbliche, uno dei tanti sottocomitati creati per monitorare l’andamento del processo di riconciliazione.
Insomma, gli sforzi non mancano, seppure sia ancora poco chiaro il percorso che sarà intrapreso. A livello politico, entrambe le fazioni hanno bisogno di ripulirsi l’immagine. Da una parte, Hamas – dopo aver raggiunto l’apice del successo dopo la firma del cessate il fuoco con Israele nel novembre 2012 e aver brillato della luce riflessa dei Fratelli Musulmani egiziani – vive da mesi una profonda crisi, figlia del crollo dell’Islam politico in Medio Oriente e dell’indebolimento regionale dei suoi storici alleati, Egitto e Turchia. Un indebolimento tradottosi nell’aumento drammatico delle restrizioni contro la popolazione di Gaza, oggi costretta a subire un doppio blocco, quello israeliano e quello egiziano.
Dall’altra parte Fatah e l’ANP, impegnate da luglio dello scorso anno in un negoziato con Israele non solo infruttuoso ma anche deleterio sia per le condizioni di vita della popolazione palestinese che per l’avanzata ulteriore dell’espansione coloniale israeliana. Sono ben pochi quelli che, in Cisgiordania, appoggiano le mosse del presidente Abbas e l’ostinazione a restare al tavolo del negoziato con una controparte immensamente più forte e decisa a non cedere di un passo. E il consenso verso il governo di Ramallah sta colando a picco.
L’annuncio della riconciliazione non poteva giungere in un momento migliore per i due partiti palestinesi. Ora resta da vedere se e come sarà implementato. Si giungerà realmente ad un governo di unità nazionale? Se sì, chi ne sarà il presidente? Abbas? Le elezioni, attese dal popolo palestinese da quattro anni, saranno presto organizzate? L’OLP sarà riformato?
Secondo quanto riportato nei sette articoli dell’accordo firmato a Gaza il 23 aprile scorso, alla base del processo sta l’accordo del Cairo del 4 maggio 2011, che non prevede comunque elementi concreti su tempi e meccanismi di implementazione, come elezioni, poteri del parlamento e del governo, poteri dell’OLP. A monte anche la mancanza di una chiara strategia politica comune che per ora Hamas e Fatah non hanno presentato. Proprio ciò che chiede il popolo palestinese: una leadership forte con in mano una strategia politica condivisibile e decisa.
Fonte
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento