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05/05/2014

Azerbaijan petrolifero. L’Islam post sovietico che si smarca da Mosca


L’Azerbaijan è un Paese importante. Non solo per le enormi risorse energetiche di cui anche l’Italia è tributaria, ma pure per la sua posizione strategica nella regione caucasica. Michele Marsonet lo racconta dopo un breve viaggio per motivi di lavoro a Baku: sguardo oltre le prime apparenze.

Sino a pochi anni orsono l’Azerbaijan era, tra le repubbliche ex sovietiche di religione musulmana, la più laica. In una precedente visita (2009) avevo trovato pochissime donne velate e si sentiva di rado il canto del muezzin. Ora la situazione è cambiata. Assai più frequente il velo e il canto proveniente dai minareti, e s’incontrano uomini con lunghe barbe che rammentano immagini già viste.

Ma non è tutto. Prima nei ristoranti non vigevano restrizioni sugli alcolici. Colleghi europei mi raccontano che però da qualche tempo, se si ordina del vino, può capitare di sentirselo negare perché il proprietario afferma di essere credente.

Nulla di nuovo, forse, tranne per il fatto che gli azeri hanno una tradizione culturale tollerante e cosmopolita, ulteriormente rafforzata nel periodo sovietico quando l’elemento religioso, pur senza subire proibizioni ufficiali, non era di certo incoraggiato in scuole e università.


Significativo, inoltre, che il russo venga sempre meno usato come lingua veicolare, e qui la frattura generazionale è evidente. Lo parlano correntemente tutte le persone oltre i 35 anni, segno evidente del ruolo primario che aveva ai tempi della ex URSS. I giovani usano invece l’azero, lingua strettamente imparentata con il turco, conoscono spesso l’inglese e la lingua di Tolstoj è ormai relegata al terzo posto (pur continuando a essere insegnata nelle scuole). Conseguenza anche del fatto che la popolazione etnicamente russa rappresenta solo l’1,5% dei 9 milioni e mezzo di abitanti. In precedenza era più cospicua, ma molti hanno preferito tornare nella madre patria dopo la dichiarazione d’indipendenza.

Non è quindi un caso che la Turchia rappresenti ora un punto di riferimento, non solo per l’affinità linguistica cui accennavo in precedenza, ma anche per ragioni culturali e geografiche. Da quando è iniziata l’era di Erdogan, che ha subito manifestato la volontà di restituire alla nazione il ruolo perduto dopo il crollo dell’Impero ottomano, i turchi si sono molto adoperati per scalzare l’influenza russa e ci sono in buona parte riusciti.


Tuttavia non bisogna credere che l’operazione sia a senso unico. L’Azerbaijan è assai più piccolo, meno popolato (e meno armato) del potente vicino. Gode però del vantaggio di risorse energetiche – gas e soprattutto petrolio – che i cugini di Ankara non possiedono. Una giornalista locale mi dice, per esempio, che la lobby azera in Turchia è assai influente. L’Azerbaijan sta diventando il primo investitore straniero nel Paese di Erdogan, dove possiede due stazioni televisive, un quotidiano e numerose fondazioni culturali.

Miracoli di gas e petrolio. Qualcuno forse rammenterà che uno dei principali obiettivi dell’operazione Barbarossa di Hitler erano proprio i pozzi di Baku, giudicati in grado di colmare la penuria energetica del Terzo Reich. I tedeschi non li raggiunsero mai, ma l’iniziale spinta della Wehrmacht verso il Caucaso era per l’appunto giustificata dalla necessità di mettere le mani sul petrolio azero.


Un elemento che accomuna tutti, laici e islamici, è l’ostilità senza remore nei confronti degli armeni. Brucia ancora la sconfitta inattesa subita nella guerra del Nagorno Karabach (1992-94) con molte aree nel sud-ovest del Paese occupate dall’esercito armeno (grazie all’appoggio decisivo dei russi, secondo l’opinione corrente in Azerbaijan). Per questo le recenti aperture del governo di Ankara agli armeni hanno condotto a un raffreddamento dei rapporti turco-azeri.

L’attuale presidente Ilham Aliyev, figlio dell’ultimo segretario del partito comunista azero Heydar Aliyev i cui ritratti campeggiano ancora ovunque, si sta adoperando per ricucire. Con una certa difficoltà. Ilham Aliyev è un laico educato a Mosca, nella celebre MGIMO (università statale russa per le relazioni internazionali), mentre la fede islamica di Erdogan è ben nota. Ma è chiaro che ricucire conviene a entrambi, se non altro in chiave anti-russa.


Dal punto di vista storico è interessante notare che il precedente leader Heydar Aliyev, ancora viva l’URSS, cadde in disgrazia con Gorbaciov, ma ebbe ottimi rapporti con Putin che lo considerava una sorta di padre. Difficile credere che il figlio, attuale presidente, desideri tagliare del tutto i ponti con il Cremlino.

Anche in Azerbaijan, come in altre repubbliche ex sovietiche, la popolarità dell’Italia è tuttora grande. Siamo, del resto, il loro secondo partner commerciale. Baku oggi è una città sospesa tra passato e futuro. Il centro medievale ampio e ben conservato, in cui spiccano l’antico Caravanserraglio e la Torre della Vergine (Giz Galasi), è sovrastato da grattacieli altissimi che, almeno a mio avviso, rovinano un po’ il paesaggio.

Le severe misure di sicurezza in prossimità degli edifici pubblici rammentano purtroppo che anche qui il fondamentalismo islamico è un pericolo incombente. Tuttavia, rispetto ad altri contesti nazionali, risulta ben controllato.

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