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20/05/2014

Caro Pier Paolo, su Valle Giulia scrivesti una cazzata

Una lettera immaginaria all'amato Pier Paolo Pasolini contesta uno degli scritti spesso utilizzati contro i movimenti e le manifestazioni di piazza

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Caro, amato Pier Paolo,

All’indomani della cosiddetta Battaglia di Valle Giulia, del 1° Marzo 1968, in cui studenti e Forze dell’Ordine si trovarono faccia a faccia e si scontrarono con una durezza fino ad allora impensabile, tu scrivesti, ne “Il PCI ai giovani”, queste parole: «Avete facce di figli di papà. Vi odio come odio i vostri papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete pavidi, incerti, disperati  (benissimo!) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari. Quando ieri, a Valle Giulia, avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da sub utopie, contadine o urbane che siano. Quanto a me, conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità. La madre, incallita come un facchino, o tenera per qualche malattia, come un uccellino; i tanti fratelli; la casupola tra gli orti con la salvia rossa (in terreni altrui, lottizzati); i bassi sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi caseggiati popolari, ecc. ecc. E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci, con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio, furerie e popolo. […]Peggio di tutto, naturalmente, è lo stato psicologico cui sono ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in un tipo d’esclusione che non ha uguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare) Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia. Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete![…]». E più avanti: «Blandamente, i tempi di Hitler ritornano: la borghesia ama punirsi con le sue proprie mani. […]Occupate le università ma dite che la stessa idea venga a dei giovani operai. E allora: Corriere della Sera e Stampa, Newsweek e Monde avranno tanta sollecitudine nel cercar di comprendere i loro problemi? La polizia si limiterà a prendere un po’ di botte dentro una fabbrica occupata? Ma, soprattutto, come potrebbe concedersi un giovane operaio di occupare una fabbrica senza morire di fame dopo tre giorni? E andate ad occupare le università, cari figli. Ma date metà dei vostri emolumenti paterni, sia pur scarsi, a dei giovani operai perché possano occupare, insieme a voi, le loro fabbriche. Mi dispiace. È un suggerimento banale; e ricattatorio. Ma soprattutto inutile: perché voi siete borghesi e quindi anticomunisti. Gli operai, loro, sono rimasti al 1950 e più indietro. Un’idea archeologica come quella della Resistenza[…]». Ed infine: «Abbandonando il linguaggio rivoluzionario del povero, vecchio, togliattiano, ufficiale Partito Comunista, ne avete adottato una variante ereticale ma sulla base del più basso idioma referenziale dei sociologi senza ideologia. Così parlando, chiedete tutto a parole, mentre, coi fatti, chiedete solo ciò a cui avete diritto (da bravi figli borghesi): una serie di improrogabili riforme, l’applicazione di nuovi metodi pedagogici e il rinnovamento di un organismo statale. I Bravi! Santi sentimenti! Che la buona stella della borghesia vi assista! Inebriati dalla vittoria contro i giovanotti della polizia, costretti dalla povertà a essere servi, e ubriacati dell’interesse dell’opinione pubblica borghese (con cui voi vi comportate come donne non innamorate, che ignorano e maltrattano lo spasimante ricco) mettete da parte l’unico strumento davvero pericoloso per combattere contro i vostri padri: ossia il comunismo».

Dunque, sono trent’anni che litigo per questa tua poesia, mio adorato Pier Paolo. E devo dirtelo. Sbagliasti a dirle, certe cose. Sbagliasti a pensarle. E sbagliasti a scriverle. Proprio sul Corriere della Sera, poi: il giornale simbolo di quella cultura borghese, dalla quale accusavi i contestatori di essere plasmati. Insomma, caro Pier Paolo: scrivesti una cazzata. E la tua analisi, ancor prima che quella sugli studenti, quella sulla classe operaia, si rivelò errata. Le fabbriche, gli operai le occuparono, mettendo a rischio non solo lo stipendio ma il posto di lavoro. Molti di loro, la Lotta di Classe e la Rivoluzione, in quel momento, la volevano, la sognavano e la cercarono, accanto agli studenti. Quel movimento, pertanto, si rivelò tutt’altro che anticomunista ma profondamente in linea con i principi rivoluzionari del marxismo. Molti di quei giovani, qualche anno dopo, l’avrebbero attaccata la magistratura, e addirittura avrebbero fatto tremare lo Stato; pagando poi, anche con la vita e la galera, le proprie scelte. Scelte che non possiamo proprio classificare come borghesi, caro Pier Paolo. Non ti pare?

Certo, qualcuno di quelli che avevano preso parte al movimento, in un secondo momento – quando il sogno rivoluzionario sembrò svanire – si fece travolgere, e ben volentieri, dall’ondata di riflusso degli anni ’80, ritirandosi nella sfera privata e nel disimpegno. E qualcuno, oggi, occupa anche posti di notevole prestigio, dichiarandosi, impunemente e vigliaccamente, anticomunista della prima ora. Ma l’anima e la coscienza più profonde e più reali di quel movimento, furono senz’altro marxiste e sinceramente rivoluzionarie. Insomma, il fatto che, a quella stagione, abbiano preso parte i Ferrara, i Liguori, i Cacciari, i Galli della Loggia, i Mieli, i Mughini, e tanti altri che, oggi, ci ritroviamo dalla parte del potere borghese, anche quello più reazionario, non  toglie nulla ad un movimento che, nella gran parte, era composto da figli di operai, di contadini e da coloro, insomma, che sono ascrivibili tra quegli ultimi, che anche tu, da comunista, difendevi. Chi mostrò, invece, tutta la sua debolezza e la sua essenza antirivoluzionaria, fu proprio il PCI, cui pure tu non risparmiavi critiche. La Resistenza, lungi dall’essere un’idea archeologica, era un sentimento ancora vivo nei cuori del proletariato, del bracciantato e della classe operaia, costretti, come sempre, ad elemosinare diritti ed a lottare contro i padroni. Essi si sentirono traditi, dopo il ’45. Possiamo biasimarli? Alla luce degli eventi e della Storia, non possiamo. Quel riformismo di cui parlavi, difatti, finì con l’abbracciarlo il PCI. Il pensiero borghese, di cui accusavi il movimento di essere il frutto, finì con l’assumerlo il PCI. Cosa avrebbero dovuto fare studenti di scuole ed università prede di una cultura vecchia, moralista, disciplinare, classista, e operai e braccianti senza diritti? Presero esempio dalle lotte del passato e dai racconti sulla Resistenza, che ascoltavano in famiglia, e si scagliarono contro lo Stato ed il conformismo benpensante della società dell’epoca. Uno Stato ed una società, tra l’altro, in cui tornava a serpeggiare, pericolosamente, l’idea della svolta autoritaria e perfino fascista. I tentativi di golpe, in Italia, furono tanti, in quel periodo. Chi meglio di te può saperlo?! Scusa, dunque, se mi permetto di contraddirti, mio amato Pier Paolo!

Tu dipingesti, inoltre, i poliziotti come vittime del sistema. Ammettiamolo: su questo ti sbagliavi ugualmente e, anzi, fu il tuo errore più grave. Certo, anche tra polizia e carabinieri c’erano e ci sono, oggi come ieri, i figli degli strati sociali più poveri, della classe operaia e lavoratrice. E allora? Non è che essere figli del popolo ed essere vissuti nelle condizioni tipiche del sottoproletariato urbano possa rappresentare, di per sé, una scusante per tutto. Capisco la tua compassione – dettata anche dal tuo controverso ed intimamente lacerante sentimento cattolico – ma non la condivido. Nella vita, si compiono delle scelte. Il sistema  è certamente invasivo, oppressivo e manipolatorio, e spesso di scelte ne lascia poche; ma ognuno di noi ha – o dovrebbe avere – un’intelligenza, una coscienza e una propria morale. C’è chi decide, per sfamarsi, di fare lo sbirro e chi di fare l’operaio, l’imbianchino o il netturbino. A me, ad esempio, che pure ho grandi difficoltà lavorative e ho qualche parente nelle fila dell’ordine costituito – sono di estrazione borghese e il padre di mia madre era addirittura un fascista, compensato però dall’altro nonno, responsabile della camera del lavoro di Napoli – non verrebbe mai in mente di vestire la divisa. Anzi, con coloro che la indossano ho avuto ed ho qualche problema. Ma queste, caro Pier Paolo, sono amene divagazioni personali. Torniamo al punto.

Tu definisti poliziotti e carabinieri vittime, quasi innocenti, del sistema. Vessati ed in condizioni psicologiche drammatiche e quasi al limite. Avendoli visti e vedendoli in azione, sinceramente non posso condividere. Viceversa, io li definirei volontari al servizio della repressione. Questione di punti di vista, caro Pier Paolo. Permettimi di ricordarti, però, che la deresponsabilizzazione è pericolosissima. Nella Germania nazista, fu la prassi; e a Norimbrega, i gerarchi, a propria discolpa, invocarono il dovere dell’obbedienza agli ordini. La polizia italiana – quella degli Scelba, dei Tambroni, dei Rumor, dei Restivo, dei Cossiga – in quegli anni, sparava ad altezza d’uomo. Tante furono le stragi ed i morti lasciati, nel dopoguerra, sulle strade: operai, contadini, studenti. Vogliamo ricordare, un esempio su tutti, l’eccidio di Avola? A Valle Giulia – come in altre parti d’Italia – ci si ribellò anche a questa infamia. C’era chi giocava a fare la rivoluzione, forse, non discuto. Ma c’era anche chi sentiva quelle morti come un fatto personale, un’intima ferita, e decise di ribellarsi alla violenza del regime. D’altronde, erano i loro padri e i loro fratelli a versare sangue sul selciato.

Infine, non devo certo essere io a ricordarti, mio amato Pier Paolo, che, a quel tempo, la saldatura tra le forze dell’ordine, l’MSI e la galassia neofascista e neonazista era completa. E ciò, malgrado che agli scontri di Valle Giulia avessero preso parte anche Primula Goliardica ed un tal Stefano Delle Chiaie, capo di Avanguardia Nazionale, poi implicato in tanti fatti legati alle cosiddette “trame nere”, tra cui il Golpe Borghese. Quella saldatura, tra forze dell’ordine e neofascismo, c’era e continuò per tutti gli anni a venire. Basti pensare alla Strage di Piazza Fontana, dove troviamo invischiati Freda, Ventura, Giannettini, accanto a capi del SID, come Maletti e La Bruna: delle responsabilità di quest’ultimo, parlò addirittura Andreotti, in un’intervista a Massimo Caprara, nel 1974. Oppure – per fare solo un esempio – al comportamento, ignobile e criminale, tenuto  dalla polizia, la sera in cui Walter Rossi, militante di Lotta Continua, venne ucciso fuori la sede del MSI, di Viale Medaglie d’Oro, a Roma, da Alibrandi e Cristiano Fioravanti. Non solo un loro gippone fu visto praticamente fare da scorta ai fascisti ma, quando Walter fu colpito, alla richiesta dei compagni, che chiedevano di chiamare un’ambulanza via radio, opposero uno sprezzante “non abbiamo la radio”. Queste non sono  vittime innocenti. Sono assassini al soldo dei padroni e lieti di esserlo.

Oggi come allora, restano servi del sistema, la cui azione repressiva esercitano spesso con piacere. Non mi pare sia cambiato molto. Le morti di Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani ed altri, stanno lì a testimoniarlo.  Ma tu, questo, mio amato e compianto Pier Paolo, non puoi saperlo. Di una cosa sono però certo. Se non fossi morto ammazzato, vittima di quella società moralistica, borghese e cattofascista, che non ti amava ed era costretta a tollerarti, per la grandezza del tuo genio, oggi avresti rivisto criticamente quella tua posizione e saresti d’accordo con me.

Un abbraccio pieno d’amore. E che la terra ti sia lieve per l’eternità, caro, adorato, compagno Pier Paolo.

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