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04/08/2014

Renzi sull’attenti dal generale Sisi


Giuseppe Acconcia - da Il Manifesto del 2 agosto 2014

L’iniziativa egi­ziana per un ces­sate il fuoco a Gaza è fal­lita e lan­gue da set­ti­mane. Per que­sto la visita di ieri al Cairo del pre­mier ita­liano Mat­teo Renzi è apparsa tar­diva. Ma un pri­mato ce l’ha: è il primo capo di governo di un paese dell’Unione euro­pea a rico­no­scere l’autorità del gol­pi­sta Abdel Fat­tah al-Sisi, met­tendo una pie­tra sopra alla pru­denza della diplo­ma­zia ita­liana, nei primi giorni dopo il colpo di stato di un anno fa, nel rico­no­scere le isti­tu­zioni ad inte­rim, volute dall’esercito egiziano.

Eppure, nelle scorse set­ti­mane, già le visite dei mini­stri degli Esteri fran­cese, ita­liano, spa­gnolo e il loro soste­gno accor­dato alla media­zione egi­ziana erano apparse fal­li­men­tari. Sisi e Renzi hanno fatto appello alla ces­sa­zione delle osti­lità tra israe­liani e pale­sti­nesi. Per Renzi tutto dipende dalla «liberazione del sol­dato rapito» — in una zona di guerra e per un eser­cito all’offensiva in un ter­ri­to­rio vicino, sarebbe giu­sto dire «cat­tu­rato». Ma di libe­ra­zione dei Ter­ri­tori occu­pati che lan­guono da 50 anni di occu­pa­zione da parte di Israele, tra colo­nie, muri e ucci­sioni, Renzi non si occupa. L’ex generale da parte sua ha fatto rife­ri­mento alla media­zione del Cairo, con­si­de­rata da Hamas lacu­nosa poi­ché non tiene in con­si­de­ra­zione la richie­sta del movi­mento pale­sti­nese di met­tere fine all’embargo su Gaza, come «unica via di uscita dalla crisi».

Tut­ta­via, nono­stante gli annunci pro­pa­gan­di­stici e le aper­ture a sin­ghiozzo, il valico di Rafah, che segna il con­fine tra Egitto e Gaza, resta chiuso, impe­dendo ai feriti pale­sti­nesi di essere curati nei noso­comi egi­ziani.
Eppure i col­lo­qui al Cairo vanno avanti. Se Israele ha fatto sapere di rinun­ciare agli incon­tri pre­vi­sti per una tre­gua a Gaza, per l’incertezza sulla sorte del sol­dato israe­liano scom­parso venerdì, una delega­zione pale­sti­nese ha lasciato la Cisgior­da­nia diretta al Cairo per nuovi col­lo­qui. La dele­ga­zione è gui­data da Azzam al-Ahmad, espo­nente del par­tito del pre­si­dente Abu Mazen, Fatah. Ai col­lo­qui dovrebbe par­te­ci­pare anche il por­ta­voce di Hamas, Moussa Abu Marzouk.

Ai mar­gini della con­fe­renza al palazzo pre­si­den­ziale di Helio­po­lis, Sisi ha ricor­dato la sua fun­zione di «sta­bi­liz­za­tore» del paese che altri­menti avrebbe corso il rischio di finire come i suoi vicini: chiaro rife­ri­mento alla grave crisi libica. «Il mes­sag­gio dell’Egitto è che stiamo facendo molti sforzi su questioni come l’economia e la sicu­rezza. Abbiamo avuto ele­zioni pre­si­den­ziali e ora man­cano le par­la­men­tari, a cui stiamo lavo­rando», ha detto Sisi. In realtà il golpe del 2013 ha inne­scato una serie di ini­zia­tive di ex gene­rali e mili­tari che hanno ripor­tato l’esercito al cen­tro della gestione poli­tica, dalla Siria alla Libia fino all’Iraq. Il modello di «stato con­tro ter­ro­ri­smo» è stato usato poi anche dall’esercito israe­liano che, nel con­flitto in corso, ha lo scopo appa­rente di azze­rare il movi­mento pale­sti­nese Hamas.

In merito alla Libia, Renzi ha riba­dito la vali­dità del pro­cesso elet­to­rale, che ha avuto luogo lo scorso 25 giu­gno per la for­ma­zione del par­la­mento. Renzi si è detto però con­vinto della neces­sità di un «inter­vento forte». La pre­oc­cu­pa­zione stru­men­tale del pre­mier ita­liano - come di tutti i suoi predecessori - è di fre­nare i flussi di migranti dal paese nord-africano, in aumento dopo l’inizio della grave crisi, inne­scata dal golpe dell’ex gene­rale Kha­lifa Haf­tar, ora ripa­ra­tosi al Cairo, la scorsa prima­vera. «Penso che oggi sia fon­da­men­tale che l’Onu invii rapi­da­mente un inviato spe­ciale in Libia», ha aggiunto Renzi. Ma Forse l’Italia dovrebbe alla fine riflet­tere sul suo ruolo e sulla sua parte­ci­pa­zione, con la Nato, alla guerra «uma­ni­ta­ria» di bom­bar­da­menti aerei di soli tre anni fa. Raid aerei effet­tuati allora in piena sin­to­nia con le mili­zie jiha­di­ste insorte con­tro Ghed­dafi - tanto che qual­cuno disse che l’Alleanza atlan­tica era la loro avia­zione -. Ma a che punto è il «pro­cesso demo­cra­tico avviato in Libia» dalla guerra Nato? Dopo la pro­cla­ma­zione dell’«Emirati isla­mico» a Bengasi, e l’assalto delle mili­zie jih­di­ste di Misu­rata all’aeroporto della capi­tale libica, ieri si è svolta a Tobruk (e non a Tri­poli per que­stioni di sicu­rezza) una riu­nione d’emergenza di 160 par­la­men­tari libici in pec­tore per con­sul­ta­zioni sulla situa­zione della sicu­rezza nel paese.

Fonte

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