di Mario Lombardo
La nuova
frontiera della guerra al terrorismo in Medio Oriente, rappresentata
dallo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), sta scatenando come
previsto una feroce caccia alle streghe in vari paesi che fanno parte
della “coalizione” voluta dal presidente Obama, con i rispettivi governi
che fanno a gara nell’annunciare cospirazioni e minacce, in largissima
parte, però, fabbricate o deliberatamente ingigantite.
Il più
recente e clamoroso caso riguarda l’Australia del governo conservatore
del primo ministro Tony Abbott, uno dei più convinti sostenitori del
conflitto contro la più recente creatura del fondamentalismo sunnita.
Nelle prime ore di giovedì, le forze di polizia federali e statali hanno
condotto quella che dalle stesse autorità è stata definita come “la più
grande operazione di anti-terrorismo” nella storia del paese.
Qualcosa
come 800 poliziotti e agenti del contro-spionaggio (ASIO) hanno fatto
irruzione in decine di abitazioni nelle città di Sydney, Brisbane e
Logan, con particolare attenzione per i residenti di fede musulmana,
arrestando una quindicina di sospetti. Nelle operazioni, appoggiate da
elicotteri della polizia, le forze di sicurezza non sono andate per il
sottile. Almeno uno dei residenti la cui abitazione è stata perquisita
ha raccontato ai media australiani di essere stato strattonato
violentemente e colpito più volte dagli agenti di polizia.
Già la
settimana scorsa, sempre a Brisbane e a Logan, nello stato del
Queensland, erano andate in scena altre perquisizioni con vari arresti,
tra cui due individui accusati di raccogliere denaro e assoldare
volontari per il Fronte al-Nusra, affiliato ad al-Qaeda a differenza
dell’ISIS ma come quest’ultimo impegnato nella lotta contro il regime
siriano.
All’incursione di giovedì è stata garantita un’ampia
copertura mediatica, con televisioni e giornali allertati prima
dell’inizio delle operazioni così da consentire a telecamere e reporter
di essere presenti sulla scena.
Lo stesso premier Abbott è
intervenuto pubblicamente per descrivere i contorni dell’operazione,
sostenendo che le informazioni di intelligence a disposizione del
governo indicavano come un cittadino australiano facente parte dell’ISIS
avesse “esortato” le reti di supporto dell’organizzazione jihadista nel
suo paese d’origine a mettere in atto “assassini dimostrativi”.
Qualche
dettaglio in più lo si è avuto dal procedimento che ha interessato un
22enne già apparso di fronte a un giudice. Tutte le prove a carico del
sospettato e che hanno giustificato una mobilitazione della polizia di
tale portata ammonterebbero a una singola telefonata intercettata. In
essa, il giovane arrestato discuteva la possibilità di commettere un
atto con il “chiaro intento di sconvolgere, inorridire e terrorizzare la
popolazione”.
Secondo le autorità australiane, il piano sarebbe
stato quello di rapire a caso una persona nelle strade di Sydney e
filmare la sua decapitazione, come hanno fatto in tre occasioni nelle
scorse settimane con cittadini occidentali i membri dell’ISIS in Iraq e
in Siria.
A fronte della rappresentazione andata in scena nella
prima mattinata di giovedì, i vertici della polizia hanno dovuto
ammettere che non eisteva nessuna prova che un qualsiasi atto criminale
fosse concretamente allo studio, men che meno imminente.
Oltretutto, secondo il network australiano ABC,
tutti i detenuti erano ben conosciuti dalla polizia e dall’intelligence
per via delle loro presunte simpatie per l’ISIS e i loro movimenti e
comunicazioni erano tenuti sotto controllo.
Tutto ciò rende
dunque inutile ai fini pratici il raid a sorpresa di giovedì, anche se
lo spettacolo offerto ai cittadini australiani è servito a legittimare
sia il recentissimo innalzamento del livello di allerta terrorismo da
parte del governo sia l’invio di aerei da guerra e un piccolo
contingente di militari in Iraq per partecipare alle operazioni belliche
americane contro l’ISIS.
In particolare, come è accaduto
praticamente in tutto l’Occidente dopo l’11 settembre 2001, simili
minacce “terroristiche” provvidenzialmente sventate hanno lo scopo di
mantere alta la tensione nella popolazione, utilizzando la paura per far
digerire misure anti-democratiche che vanno da perquisizioni o
controlli ingiustificati al monitoraggio di movimenti e comunicazioni.
Operazioni
come quelle di giovedì a Sydney e Brisbane, con irruzioni in abitazioni
e detenzioni sostanzialmente senza prove reali, sono inoltre possibili
proprio grazie alle leggi approvate dopo l’apparizione della presunta
minaccia del terrorismo islamista nell’ultimo decennio. In Australia
come altrove, così, arresti o addirittura lunghe condanne sono possibili
anche solo sulla base di esili indizi o delle presunte intenzioni
terroristiche dei sospettati.
Da notare, poi, che molti governi
stanno mettendo in atto un giro di vite contro il fondamentalismo
domestico a causa della partecipazione di qualche decina o, tutt’al più
centinaia, di loro cittadini che si sono recati in Medio Oriente per
combattere nelle file dell’ISIS o di altre formazioni integraliste.
A
causa di ciò sono state implementate misure gravemente restrittive
della libertà di movimento, soprattutto dei musulmani, e nonostante i
pochi individui finiti al fronte in Iraq o in Siria fossero di fatto
schierati dalla stessa parte dei loro governi contro il regime di Bashar
al-Assad.
Isterismi simili riguardano anche l’Italia, come ha
confermato tra l’altro un intervento della settimana scorsa alla Camera
del ministro dell’Interno. Usando in pratica le stesse parole dei leader
di governo a Washington, Londra o Canberra, Alfano aveva pateticamente
prospettato catastrofici scenari soprattutto a Roma - “la culla della
cristianità” - concedendo però subito dopo che l’allarmismo era del
tutto senza senso, visto che “al momento non ci sono evidenze
investigative di progettualità terroristiche nel nostro paese”.
Per
Alfano, tuttavia, l’ISIS dispone di “soldi, uomini e ambizioni che
nessuna organizzazione aveva prima avuto” - grazie peraltro ai governi
occidentali e ai regimi loro alleati in Medio Oriente che ne hanno resa
possibile la crescita con le loro politiche in Siria - così che per
contrastarlo sarebbero necessarie misure ancor più anti-democratiche,
ovvero “nuovi strumenti che tengano conto dell’evoluzione della
minaccia”.
L’esempio più significativo di questa singolare lotta
al terrorismo è da ricercare in ogni caso negli Stati Uniti. Tra le
varie manifestazioni di essa vi sono le operazioni condotte dall’FBI e
che servono a incastrare cittadini americani che, per conto proprio e
senza l’assistenza di informatori e agenti della polizia federale, non
rappresenterebbero la minima minaccia per la comunità.
Esempi
di attentati terroristici “sventati” in questo modo sono molteplici e
il più recente è avvenuto opportunamente questa settimana nel pieno dei
preparativi per la guerra all’ISIS. Martedì, infatti, il Dipartimento di
Giustizia ha annunciato l’arresto di un 30enne di origine yemenita,
Mufid Elfgeeh, con l’accusa - apparentemente seria - di avere
pianificato attacchi con pistole contro soldati americani e, più in
generale, di avere fornito supporto materiale a un’organizzazione
terroristica straniera (l’ISIS, ovviamente).
Come spesso è
accaduto in situazioni simili, anche l’intero caso contro il cittadino
arabo-americano di Rochester, nello stato di New York, è stato costruito
ad arte dall’FBI. Le intenzioni terroristiche di Elfgeeh sarebbero cioè
emerse nel corso di un paio di discussioni con informatori dell’FBI, i
quali gli avevano manifestato la loro intenzione di recarsi in Medio
Oriente per diventare guerriglieri jihadisti.
L’uomo si sarebbe a
quel punto offerto di finanziare il finto viaggio dei due informatori,
arrivando a pagare 600 dollari a un contatto in Yemen per facilitare la
traversata. Elfgeeh, inoltre, avrebbe acquistato dagli stessi
informatori dell’FBI due pistole con silenziatore e delle munizioni che
però erano state precedentemente rese “inutilizzabili”.
In questa
e in molte altre vicende, in definitiva, i sospettati finiti agli
arresti non hanno precedenti di attività legate al terrorismo né i mezzi
o le capacità per mettere in atto azioni violente che, infatti, sono
ideate e organizzate materialmente da uomini dell’FBI o da informatori
pagati.
Come riassumeva una recente indagine di Human Rights
Watch su alcuni casi di “terrorismo” negli USA, dunque, “agli americani è
stato detto che il governo garantisce la loro sicurezza prevenendo e
combattendo il terrorismo nel paese. A ben vedere, però, molte di queste
persone [incastrate dall’FBI e arrestate] non avrebbero mai commesso
alcun atto terroristico senza l’incoraggiamento, le pressioni e talvolta
i mezzi finanziari delle forze di polizia stesse”.
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