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19/09/2014

Australia, la minaccia fantasma

di Mario Lombardo

La nuova frontiera della guerra al terrorismo in Medio Oriente, rappresentata dallo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS), sta scatenando come previsto una feroce caccia alle streghe in vari paesi che fanno parte della “coalizione” voluta dal presidente Obama, con i rispettivi governi che fanno a gara nell’annunciare cospirazioni e minacce, in largissima parte, però, fabbricate o deliberatamente ingigantite.

Il più recente e clamoroso caso riguarda l’Australia del governo conservatore del primo ministro Tony Abbott, uno dei più convinti sostenitori del conflitto contro la più recente creatura del fondamentalismo sunnita. Nelle prime ore di giovedì, le forze di polizia federali e statali hanno condotto quella che dalle stesse autorità è stata definita come “la più grande operazione di anti-terrorismo” nella storia del paese.

Qualcosa come 800 poliziotti e agenti del contro-spionaggio (ASIO) hanno fatto irruzione in decine di abitazioni nelle città di Sydney, Brisbane e Logan, con particolare attenzione per i residenti di fede musulmana, arrestando una quindicina di sospetti. Nelle operazioni, appoggiate da elicotteri della polizia, le forze di sicurezza non sono andate per il sottile. Almeno uno dei residenti la cui abitazione è stata perquisita ha raccontato ai media australiani di essere stato strattonato violentemente e colpito più volte dagli agenti di polizia.

Già la settimana scorsa, sempre a Brisbane e a Logan, nello stato del Queensland, erano andate in scena altre perquisizioni con vari arresti, tra cui due individui accusati di raccogliere denaro e assoldare volontari per il Fronte al-Nusra, affiliato ad al-Qaeda a differenza dell’ISIS ma come quest’ultimo impegnato nella lotta contro il regime siriano.

All’incursione di giovedì è stata garantita un’ampia copertura mediatica, con televisioni e giornali allertati prima dell’inizio delle operazioni così da consentire a telecamere e reporter di essere presenti sulla scena.

Lo stesso premier Abbott è intervenuto pubblicamente per descrivere i contorni dell’operazione, sostenendo che le informazioni di intelligence a disposizione del governo indicavano come un cittadino australiano facente parte dell’ISIS avesse “esortato” le reti di supporto dell’organizzazione jihadista nel suo paese d’origine a mettere in atto “assassini dimostrativi”.

Qualche dettaglio in più lo si è avuto dal procedimento che ha interessato un 22enne già apparso di fronte a un giudice. Tutte le prove a carico del sospettato e che hanno giustificato una mobilitazione della polizia di tale portata ammonterebbero a una singola telefonata intercettata. In essa, il giovane arrestato discuteva la possibilità di commettere un atto con il “chiaro intento di sconvolgere, inorridire e terrorizzare la popolazione”.

Secondo le autorità australiane, il piano sarebbe stato quello di rapire a caso una persona nelle strade di Sydney e filmare la sua decapitazione, come hanno fatto in tre occasioni nelle scorse settimane con cittadini occidentali i membri dell’ISIS in Iraq e in Siria.

A fronte della rappresentazione andata in scena nella prima mattinata di giovedì, i vertici della polizia hanno dovuto ammettere che non eisteva nessuna prova che un qualsiasi atto criminale fosse concretamente allo studio, men che meno imminente.

Oltretutto, secondo il network australiano ABC, tutti i detenuti erano ben conosciuti dalla polizia e dall’intelligence per via delle loro presunte simpatie per l’ISIS e i loro movimenti e comunicazioni erano tenuti sotto controllo.

Tutto ciò rende dunque inutile ai fini pratici il raid a sorpresa di giovedì, anche se lo spettacolo offerto ai cittadini australiani è servito a legittimare sia il recentissimo innalzamento del livello di allerta terrorismo da parte del governo sia l’invio di aerei da guerra e un piccolo contingente di militari in Iraq per partecipare alle operazioni belliche americane contro l’ISIS.

In particolare, come è accaduto praticamente in tutto l’Occidente dopo l’11 settembre 2001, simili minacce “terroristiche” provvidenzialmente sventate hanno lo scopo di mantere alta la tensione nella popolazione, utilizzando la paura per far digerire misure anti-democratiche che vanno da perquisizioni o controlli ingiustificati al monitoraggio di movimenti e comunicazioni.

Operazioni come quelle di giovedì a Sydney e Brisbane, con irruzioni in abitazioni e detenzioni sostanzialmente senza prove reali, sono inoltre possibili proprio grazie alle leggi approvate dopo l’apparizione della presunta minaccia del terrorismo islamista nell’ultimo decennio. In Australia come altrove, così, arresti o addirittura lunghe condanne sono possibili anche solo sulla base di esili indizi o delle presunte intenzioni terroristiche dei sospettati.

Da notare, poi, che molti governi stanno mettendo in atto un giro di vite contro il fondamentalismo domestico a causa della partecipazione di qualche decina o, tutt’al più centinaia, di loro cittadini che si sono recati in Medio Oriente per combattere nelle file dell’ISIS o di altre formazioni integraliste.

A causa di ciò sono state implementate misure gravemente restrittive della libertà di movimento, soprattutto dei musulmani, e nonostante i pochi individui finiti al fronte in Iraq o in Siria fossero di fatto schierati dalla stessa parte dei loro governi contro il regime di Bashar al-Assad.

Isterismi simili riguardano anche l’Italia, come ha confermato tra l’altro un intervento della settimana scorsa alla Camera del ministro dell’Interno. Usando in pratica le stesse parole dei leader di governo a Washington, Londra o Canberra, Alfano aveva pateticamente prospettato catastrofici scenari soprattutto a Roma - “la culla della cristianità” - concedendo però subito dopo che l’allarmismo era del tutto senza senso, visto che “al momento non ci sono evidenze investigative di progettualità terroristiche nel nostro paese”.

Per Alfano, tuttavia, l’ISIS dispone di “soldi, uomini e ambizioni che nessuna organizzazione aveva prima avuto” - grazie peraltro ai governi occidentali e ai regimi loro alleati in Medio Oriente che ne hanno resa possibile la crescita con le loro politiche in Siria - così che per contrastarlo sarebbero necessarie misure ancor più anti-democratiche, ovvero “nuovi strumenti che tengano conto dell’evoluzione della minaccia”.

L’esempio più significativo di questa singolare lotta al terrorismo è da ricercare in ogni caso negli Stati Uniti. Tra le varie manifestazioni di essa vi sono le operazioni condotte dall’FBI e che servono a incastrare cittadini americani che, per conto proprio e senza l’assistenza di informatori e agenti della polizia federale, non rappresenterebbero la minima minaccia per la comunità.

Esempi di attentati terroristici “sventati” in questo modo sono molteplici e il più recente è avvenuto opportunamente questa settimana nel pieno dei preparativi per la guerra all’ISIS. Martedì, infatti, il Dipartimento di Giustizia ha annunciato l’arresto di un 30enne di origine yemenita, Mufid Elfgeeh, con l’accusa - apparentemente seria - di avere pianificato attacchi con pistole contro soldati americani e, più in generale, di avere fornito supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera (l’ISIS, ovviamente).

Come spesso è accaduto in situazioni simili, anche l’intero caso contro il cittadino arabo-americano di Rochester, nello stato di New York, è stato costruito ad arte dall’FBI. Le intenzioni terroristiche di Elfgeeh sarebbero cioè emerse nel corso di un paio di discussioni con informatori dell’FBI, i quali gli avevano manifestato la loro intenzione di recarsi in Medio Oriente per diventare guerriglieri jihadisti.

L’uomo si sarebbe a quel punto offerto di finanziare il finto viaggio dei due informatori, arrivando a pagare 600 dollari a un contatto in Yemen per facilitare la traversata. Elfgeeh, inoltre, avrebbe acquistato dagli stessi informatori dell’FBI due pistole con silenziatore e delle munizioni che però erano state precedentemente rese “inutilizzabili”.

In questa e in molte altre vicende, in definitiva, i sospettati finiti agli arresti non hanno precedenti di attività legate al terrorismo né i mezzi o le capacità per mettere in atto azioni violente che, infatti, sono ideate e organizzate materialmente da uomini dell’FBI o da informatori pagati.

Come riassumeva una recente indagine di Human Rights Watch su alcuni casi di “terrorismo” negli USA, dunque, “agli americani è stato detto che il governo garantisce la loro sicurezza prevenendo e combattendo il terrorismo nel paese. A ben vedere, però, molte di queste persone [incastrate dall’FBI e arrestate] non avrebbero mai commesso alcun atto terroristico senza l’incoraggiamento, le pressioni e talvolta i mezzi finanziari delle forze di polizia stesse”.

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