Il socialista Manuel Valls ha presentato le dimissioni del suo
governo a Hollande. Il Presidente della Repubblica ha incaricato Valls
di formare un nuovo esecutivo, epurandolo dalla scomoda presenza del
“ribelle” Ministro dell'economia Montebourg. La crisi del governo si è
aperta sull'austerità a partire dalle dichiarazioni polemiche di
Montebourg, il quale, in un'intervista a Le Monde, aveva messo
in discussione la riduzione dogmatica del deficit criticando le
conseguenti politiche di austerità e la subalternità alla guida tedesca
in Europa. La querelle si sarebbe potuta risolvere con
l'allontanamento dall'esecutivo del Ministro e degli altri frondisti con
lui solidali, ma Hollande ha voluto dare un segnale preciso
riconfermando la posizione francese sul fronte dell'austerità, anche e
soprattutto per non screditarsi agli occhi della Germania in una fase
dove all'impasse sulla produttività seguirà una
riorganizzazione delle politiche dei sacrifici segnata dalle linee di
tensione tra il rigorismo della BCE e gli interessi statuali dei paesi
forti.
Il piccolo terremoto d'oltralpe ridicolizza i
vagheggiamenti dei vari retroscenisti dei giornali nostrani su un
presunto asse Roma-Parigi deciso a pretendere maggiore flessibilità
rispetto ai vincoli sul rapporto deficit/pil. Non solo, un Hollande in
vena di strigliate ha convocato a Parigi un vertice del Partito
Socialista Europeo proprio alla vigilia del consiglio europeo del 30
agosto che deciderà i nomi e i ruoli della nuova commissione europea,
sede nella quale, come si strombettava su alcuni nostri fogliacci,
Renzi, mosso da un pizzico di frizzante ribellismo, avrebbe provato a
fare la voce grossa sulla flessibilità, facendosi forte di un presunto
appoggio francese. Frottole.
I ruggiti del coniglio fiorentino non
spaventano nessuno, in primo luogo Draghi, il quale davanti a queste
sparate sullo sforamento del deficit ha serenamente alzato le spalle,
invitando Renzi a cedere maggior sovranità in materia di politica
economica e raccomandandosi, fintanto che sta lì, di portare almeno a
termine le riforme... quelle sul mercato del lavoro, s'intende, mica
quelle quisquilie delle riforme istituzionali demandate alla Boschi tra
una tintarella e l'altra.
Renzi appare sempre più solo. I centri
di potere che contano, in casa, in Europa e oltre l'Atlantico, chiedono
“fatti e non parole”. Ogni editoriale del Partito di Repubblica a firma
Scalfari avanza una bocciatura invocando la giusta transizione a un
regime oligarchico, del quale, va da sé, Eugenio non può che candidarsi a
esserne partecipe. Solo Napolitano, temporeggiando perché a corto di
carte da giocare, per ora resta a guardare senza silurare Renzi, il
quale però, in un clima da ultima cena, confidava ai lupetti di San
Rossore che anche lui verrà presto rottamato. Non servono le intime
confessioni attorno al fuoco del campo scout per rendersi conto che la
missione sistemica di Renzi è stata assolta dopo le consultazioni
europee: neutralizzato il 5 stelle e omogeneizzato attorno al progetto
della stabilità l'intero quadro istituzionale Renzi può anche esser
scaricato.
Viale del tramonto allora? Forse... e allora Matteo
messo alle strette sfrutta il tempo che gli rimane da qui
all'approvazione della legge di stabilità (15 ottobre) per reinventarsi.
Ma i compiti a casa che il governo si appresta a svolgere nel Consiglio
dei Ministri del 29 agosto e che verranno presentati al Consiglio
Europeo del 30 si attengono a una formula ben semplice e per nulla
nuova: compressione salariale e investimento sulla rendita, come
previsto dallo Sblocca Italia.
Ricette non dissimili da quelle
imposte agli altri PIGS mediterranei. Tante sono state le pacche sulle
spalle a una Spagna disciplinata per la quale il recente aumento degli
indici di produttività ha significato un aumento della disoccupazione e
dell'aumento dei carichi di lavoro assoluti. La Pizia della Bocconi,
Tabellini, si era già espressa a riguardo invocando la diminuzione dei
salari e Draghi non aspetta altro per approdare a una nuova tranche di prestiti alle banche praticamente a tasso zero, come nella primavera 2012.
Sul
piano europeo comunque il rebus si fa via via più complesso. I
conflitti alla periferia del vecchio continente infettano il cuore della
macchina comunitaria iniziando a incrinare alcuni degli attuali
equilibri. Sull'Ucraina, ad esempio, la Germania, avendo difficoltà ad
invertire sul breve periodo un modello di economia a base export,
potrebbe fare una prima mossa fuori dallo schema filo-atlantista che
prevalentemente ha caratterizzato la crisi fin'ora. I bandi commerciali
russi apriranno una falla profonda nel sistema tedesco nei semestri a
venire e giusto l'altro giorno, mentre la Merkel s'intratteneva con
Poroshenko, il Vicecancelliere Sigmar Gabriel si è lasciato sfuggire la
proposta di una possibile federalizzazione dell'est russofono:
esattamente il contrario dell'obbiettivo dell'integrità territoriale
ucraina perseguito dalla Junta di Kiev e dagli USA.
Insomma, se anche la Germania, con una produttività impostata a colpi di workfare e mini-job,
soffre del rallentamento dei mercati mondiali scivolando verso la
stagnazione, allora, entro il quadro continentale, sembrano profilarsi
scenari a più dimensioni. Scenari sia di tensione interstatuale, per il
conflitto tra la ricerca di competitività interna e sui mercati
d'esportazione, sia di accelerazione nell'area Euro dell'imposizione di
una sempre più violenta gerarchizzazione salariale, polarizzando una
distanza tra governi dell'austerity e terreni sociali da questi
sconquassati. Su questi sarà indispensabile sviluppare, con esperimenti
di sciopero sociale, le rigidità poste dalle lotte per l'abitare e i
campi indicati dalla vivacità delle lotte dei facchini. Laddove non
poste da queste istanze di ribellione ai costi unilaterali della crisi, le
ipotesi di redistribuzione della ricchezza (redditi di cittadinanza,
universali, minimi e garantiti), qualora si dessero, si affaccerebbero
su questo complesso scenario come esigenza di ulteriore omogeneizzazione
e regolamentazione di una dimensione di classe subalterna del lavoro
vivo e in funzione delle suddette opzioni di sviluppo sistemico della
crisi.
Ma chissà che le carte non si possano rimescolare in maniera
interessante e con una rapidità inaspettata nel contrasto a queste
opzioni proprio laddove Renzi si giocherà le partite più importanti
della sua sopravvivenza politica, innanzitutto a partire dal delicato
passaggio dell'approvazione della legge di stabilità in autunno...
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