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02/09/2014

Un’ Europa stupita riscopre ‘Guerra’ parola vietata


La parola ‘conflitto’ che cede troppo sovente il posto a ‘guerra’. I maliziosi parlano della nascita nel Donbas di uno Stato cuscinetto, come già successo in Georgia con l’Ossezia del sud e l’Abkhazia, e in Moldova con la Transnistria. Fermare l’integrazione europea di Kiev e la sua adesione alla Nato.

Le parole usate con imprudenza, come se fossero sempre innocue. Ed ecco che per il ‘conflitto’ tra Kiev e Mosca nell’est ucraino, qualcuno usa le parole «guerra aperta», senza pensare alla portata di ciò che ha appena scritto. Una guerra mai dichiara, una guerra mai combattuta direttamente, ma la parola, col suo carico di drammaticità, evidentemente piace al ‘giornalismo da effetti speciali’ che ovviamente in guerra - quella vera - non c’è mai stato. Per fortuna al momento è soprattutto guerra di parole: la Russia che continua a smentire il suo intervento militare, l’Ucraina che continua a denunciarlo.

Il problema in realtà non riguarda più e soltanto i due contendenti politici - ripetiamo la parola ‘politici’ - in campo ora. Le truppe che si combattono con le armi a Donetsk e a Lugansk, restano i separatisti filo russi e l’esercito ucraino, che sta battendo in ritirata quasi ovunque. Ed ecco che il suo ministro della difesa, Valeri Gheletei, spara parole pesanti come proiettili di artiglieria sperando di far paura all’avversario. Evoca una «grande guerra mai vista dall’Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale». L’avversario la guerra mondiale l’ha vinta con 30 milioni di morti e non scherza.

Il problema a questo punto è l’Europa che l’Ucraina ha ricevuto in affidamento dagli Stati Uniti. La stessa cancelliera tedesca Merkel parla di uno scontro «fra la Russia e l’Ucraina». ‘Scontro’ è la parola. Poi ci sono gli «aumentati timori» dei Paesi baltici. Insegue il premier polacco Donald Tusk, appena nominato presidente del Consiglio europeo. Cessata la minaccia tedesca, in Polonia resta la diffidenza verso l’altro gigante vicino, l’orso russo. Ed ecco che commemorando l’anniversario del conflitto mondiale Tusk azzarda uno ‘scenario del settembre 1939’, invasione nazista della Polonia.

Per fortuna che gli ultimi citati sono fini politici e non superficiali giornalisti nell’azzardare parole e concetti. Stando ai fatti, il ‘Gruppo di contatto’ - Osce, Kiev, Mosca e leader dell’est ucraino - prende atto delle reciproche richieste. Tutti ovviamente vogliono tutto e nessuno di loro è disposto a concedere nulla. Ma siamo alle rigidità iniziali. I ribelli, ad esempio, sono pronti a restare nel Paese in cambio di uno status speciale per le loro regioni. E’ da intendersi come richiesta di ‘Federalismo’, che pure è negato da Kiev, o è invece il tentativo di rottura che punta ad ottenere altri obiettivi?

I maliziosi parlano della nascita nel Donbas di uno stato cuscinetto, come già successo in Georgia con l’Ossezia del sud e l’Abkhazia, e in Moldova con la Transnistria. Obiettivo, mettere il bastone tra le ruote all’integrazione europea di Kiev e, soprattutto, alla sua adesione ad una Nato. E qui arrivano le vere dolenti note, almeno per Mosca. Vigilia del vertice dell’Alleanza il 4-5 settembre nel Galles, quando il suo segretario generale uscente, Fogh Rasmussen, promette che la Nato sarà «Più visibile a est. Rafforzata la capacità d’intervento delle forze di pronto impiego della Nato». Contro chi?

A mettere fretta a chi le guerre vere dovrebbe saperle fare, è il successo della controffensiva dei ribelli contro le forze armate ucraine. Kiev ha ammesso perdite e ben 680 catturati, l’80% dei quali nel tentativo di rompere l’accerchiamento a Ilovaisk. I militari ucraini si sono ritirati dall’aeroporto chiave di Lugansk. Battaglia anche intorno all’aeroporto di Donetsk. In Ucraina c’è chi attribuisce la debacle militare alle truppe russe ‘infiltrate’. Niente più invasione. C’è chi evoca una nuova ‘grande guerra patriottica contro la Russia’. Poroshenko, cauto, parla di «aggressione dello Stato vicino».

Paure contrapposte che hanno come elemento centrale la presenza di «russofoni». In Lettonia e in Estonia i russi sono un quarto. L’incubo di molti si chiama Transnistria, enclave a maggioranza russa ribellatasi alla Moldova già 25 anni fa e da allora oscura nazione non riconosciuta che oggi manda i suoi uomini addestrati a Mosca a Donetsk. Ad aprile, dopo l’annessione della Crimea, la Transnistria ha chiesto di unirsi alla Russia, senza ottenere risposta. Scenario diverso - osservano alle Nato - se si realizzassero i piani dei separatisti di crearsi un «corridoio» nel Sud-Est ucraino.

Fonte

C'è d'augurarsi che il caso ucraino non sfugga di mano come quello siriano/iracheno.

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