Tre giorni fa è stato approvato anche dalla Camera il testo della nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Le novità introdotte, molto brevemente, sono le seguenti:
- viene soppresso il filtro del controllo di ammissibilità e non manifesta infondatezza della domanda di risarcimento;
- la responsabilità rimane indiretta (cioè il cittadino ricorre contro lo Stato), ma viene introdotto l'obbligo di rivalsa nel caso di dolo o negligenza inescusabile, ed aumenta la soglia della rivalsa (fino a metà dello stipendio annuo, lo stipendio nella sua interezza in caso di dolo);
- vengono ampliati i casi ricompresi nella fattispecie della colpa grave (includendovi anche il travisamento del fatto o delle prove);
- la clausola di salvaguardia, per cui il magistrato non è chiamato a rispondere dell'attività di interpretazione della legge o delle prove, non può essere applicata ai casi di dolo, colpa grave e violazione manifesta del diritto.
Il tema, estremamente sensibile, ha immediatamente suscitato reazioni contrastanti. Il ministro della giustizia ha dichiarato che ora "la giustizia sarà meno ingiusta" (la frase, in bilico tra l'ossimoro e la litote, fa venire i brividi); l'Anm, Magistratura Indipendente e Magistratura Democratica hanno invece lamentato a gran voce il valore politico della legge e la perdita di autonomia del potere giudiziale.
Le polemiche e il dibattito che sono seguiti all'approvazione del testo non colgono nel segno, poiché vogliono interpretare la legge nel solco di quel "conflitto" ventennale tra magistratura e potere esecutivo (Berlusconi e simili) che sembra, purtroppo, non abbandonare mai l'analisi politica e che impedisce di comprendere il quadro generale.
Partiamo dalla fine, onde evitare possibili fraintendimenti: la legge sulla responsabilità civile dei magistrati riguarda un conflitto tutto interno alla classe dominante, una stabilizzazione degli assetti di potere e una funzionalizzazione della macchina giudiziaria alle esigenze del sistema economico (sia delle imprese italiane, sia di quelle straniere che vengono ad investire in Italia). Lo specifichiamo subito non per sminuire l'importanza della questione, come se non ci riguardasse, ma per evitare che si assuma un atteggiamento da tifosi per una delle due parti, o che si creda di poter ravvisare un'istanza di classe da uno dei lati dei “contendenti”, pensando che da una parte si trovi la “giustizia” equa ed attenta alle esigenze di tutti i cittadini, e dall'altra invece una “giustizia” iniqua e rispondente agli interessi di pochi (siano questi, a seconda della fazione scelta, i magistrati stessi o le parti processuali più forti).
Prima di proporre la nostra analisi, servono però due parole di commento alla legge e al dibattito che ne è seguito.
Innanzitutto, tale legge è ritenuta necessaria poiché, di tutti i ricorsi proposti in base alla precedente legge, meno di una decina avevano portato ad un risarcimento per colui che si riteneva danneggiato. Di per sé, in un sistema giudiziario che funzioni adeguatamente, questo non dovrebbe sembrare sorprendente (specie se si considera che l'errore del giudice deve essere macroscopico per essere sanzionato), ma dovrebbe essere reputato un segno di affidabilità del sistema. Pensare che vi possano essere molti ricorsi ben fondati per casi di dolo o colpa grave del magistrato dovrebbe invece condurre chiunque a chiedersi il perché di così tanti errori, e a cercare in primis un modo per correggere tali errori, oltre che a sanzionare i giudici negligenti.
Purtroppo pensiamo che chiunque abbia avuto la sventura, per le più svariate ragioni, di frequentare le aule dei tribunali possa condividere l'idea che i ricorsi accolti siano decisamente troppo pochi. Il punto, su cui torneremo più avanti, dovrebbe portare a cercare una soluzione per la non eccelsa qualità del sistema giudiziario, ancor prima di pensare al possibile risarcimento per il danno subito.
Inoltre sottolineiamo che il successivo ricorso deve essere valutato da altri magistrati: dopo dieci anni di processo e una sentenza inficiata da dolo o colpa grave del magistrato, la parte dovrebbe proporre un altro ricorso davanti ad un altro magistrato affinché quest'ultimo sanzioni l'errore del precedente magistrato?!? (ripetizioni volontarie) Sembra un incubo kafkiano...
In secondo luogo si paventa che la nuova legge mini l'autonomia dei magistrati a favore delle parti processuali più forti. La critica coglie senz'altro nel segno perché l'ulteriore ricorso per il risarcimento del danno da “malagiustizia” può essere intentato, dati i costi processuali, solo da chi abbia le risorse necessarie; il fatto che, generalmente, questo possa essere proposto solo dalla parte più forte influenzerà sicuramente il giudice. Sul magistrato che vorrà prendere decisioni o esercitare azioni penali “scomode” penderà sempre la spada di Damocle del possibile ricorso. Peraltro, con la solita deplorevole tecnica legislativa italiana, non è assolutamente chiaro cosa ammonterà a travisamento dei fatti o delle prove, rendendo i confini della responsabilità quanto mai incerti.
Dall'altro lato, tuttavia, l'assenza di responsabilità civile dei magistrati non è mai stata garanzia di indipendenza e autonomia del sistema giudiziario dalle influenze delle parti processuali più forti. Sabelli (Anm) ha affermato che la legge “è una strada pericolosa verso una giustizia di classe”; se la legge di sicuro rischia di accentuare questo carattere, noi chiediamo: quando mai la giustizia non è stata di classe? Oppure marxianamente: come può la sovrastruttura non essere di classe?
Fatte dunque le dovute premesse, proviamo a proporre un'analisi differente.
A nostro avviso la legge non può essere letta come l'atto di uno scontro tra due fazioni che, avvalendosi dei propri poteri, si fanno reciproci dispetti e sgarbi, ma deve essere interpretata all'interno del processo di riforme del “sistema giustizia” in atto ormai da molti anni.
È necessario constatare che il sistema, così come è ora, non funziona. Non funziona poiché i processi durano periodi di tempo spropositati (e questo è uno dei principali fattori che frena gli investimenti in Italia secondo molti analisti), poiché in un periodo di tagli ai bilanci pubblici la macchina giudiziaria è troppo costosa (gli stipendi dei magistrati sono altissimi), poiché non è funzionale alle esigenze che gli si vorrebbero imporre, ossia una “giustizia” rapida e di qualità per le imprese e gli investimenti.
Se si volesse effettuare una riforma della “giustizia” nel solco tracciato dalla costituzione, ossia una “giustizia” autonoma, rapida, equa, accessibile a tutti i cittadini in condizioni di parità, servirebbe un aumento della spesa pubblica enorme (non certo le ridicole e incostituzionali riforme che di anno in anno vengono proposte per il processo civile).
Il sistema attuale non corrisponde né a quest'ultimo, né ad una “giustizia” rapida e funzionale alle imprese, è un sistema ibrido che non accontenta nessuno (tranne che nel “settore repressivo”). Per dare un'idea della disfunzionalità della macchina “giustizia” basti dire che l'Italia riceve ogni anno moltissime condanne dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a causa del mancato rispetto dei diritti legati alla sfera per così dire “processuale”.
Si aggiunga che la differenziazione tra ius divitum (ossia il diritto praticato dai collegi arbitrali, molto costosi, ma veloci, competenti ed efficaci) e ius pauperum (il diritto dei tribunali, meno costoso, ma estremamente lento e spesso carente delle competenze adeguate), già intravista da Galgano più di dieci anni fa, non si è ancora pienamente compiuta in Italia, sia perché moltissime piccole e medie imprese non hanno enormi risorse da investire nella gestione dei propri affari legali, sia perché i lodi arbitrali presentano comunque il problema dell'esecuzione, non sempre agevole.
Il processo che è in corso da anni, che sta portando allo stravolgimento dei principi costituzionali teoricamente alla base del sistema giudiziario, tenta (malamente e con scarsissimo successo) di risolvere tutti questi problemi. Stiamo assistendo infatti ad un innalzamento spropositato delle spese processuali, specie nel settore amministrativo (ora ricorrere contro un provvedimento della pubblica amministrazione è proibitivo, e le spese per i ricorsi possono essere affrontate quasi esclusivamente dalle imprese nel contesto delle gare d'appalto), si limita il diritto di appello contro le sentenze di primo grado, si rendono obbligatorie varie forme di risoluzione alternativa delle controversie; in linea generale si comprime la possibilità dei cittadini di far valere un proprio diritto in sede giurisdizionale. Ciò che si mira d'ottenere, sulla linea del modello anglosassone, è una diminuzione drastica dei processi (sperando che dunque si accorcino pure i tempi), facendo sì che sopravvivano le uniche controversie che valga la pena di decidere, ossia quelle legate alla sfera dell'imprenditoria.
Come si inserisce in questa cornice la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati? Essa ha, per così dire, un effetto “disciplinare”. Innanzitutto mira a ridurre l'indipendenza e il consenso politico che la magistratura si è arrogata/ha ricevuto nel corso degli ultimi anni, quando si è auto-incaricata o un legislatore incapace e pauroso dell'opinione pubblica le ha devoluto la decisione di questioni politiche. In secondo luogo ha l'effetto suaccennato di garanzia per la parte forte del processo, nelle controversie che vedano un grande squilibrio tra le parti. Infine, insieme ad altri piccoli provvedimenti (come il prepensionamento dei magistrati o la nomina di Tesauro, figura di spicco nel campo del diritto dell'UE, a presidente della Corte Costituzionale) mira a decostruire il comune quadro dei principi costituzionali all'interno del quale si sono formati molti magistrati (al riguardo ricordiamo che, in un periodo di veloce dismissione della Carta nata dalla Resistenza, l'opposizione più forte a tale processo, all'interno del quadro istituzionale, è stata probabilmente praticata dalla Corte Costituzionale stessa).
Tassello dopo tassello il sistema “giustizia” viene mutato e funzionalizzato ancora di più per le esigenze della classe dominante.
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