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14/05/2015

Macedonia, prove di golpe

di Michele Paris

La crisi politica che sta attraversando la Macedonia dall’inizio dell’anno ha fatto segnare una drammatica accelerazione in questi ultimi giorni con un violento scontro armato in una delle più importanti città del paese balcanico. Parallelamente, il panorama politico domestico continua a essere turbato dagli attacchi dell’opposizione al governo conservatore del primo ministro, Nikola Gruevsky, scosso martedì dalle dimissioni di due importanti ministri.

A partire dal mese di febbraio, il leader dell’Unione Socialdemocratica (SDSM), Zoran Zaev, ha iniziato a rendere pubbliche una serie di intercettazioni di conversazioni di esponenti del governo che dimostrerebbero varie illegalità commesse dagli uomini al potere, da brogli elettorali alla manipolazione del sistema giudiziario.

Zaev continua inoltre ad accusare il premier di avere attuato una svolta autoritaria, con piani, tra l’altro, per mettere sotto controllo la stampa e sorvegliare le comunicazioni di decine di migliaia di persone.

In particolare, una delle intercettazioni diffuse dal leader socialdemocratico aveva scatenato settimana scorsa una manifestazione di protesta nella capitale, Skopje. I dimostranti si erano mobilitati per contestare il governo dopo che erano emerse le manovre delle autorità per insabbiare le indagini sulla morte nel 2011 di un 22enne dopo le percosse subite da un agente di polizia.

Al centro delle critiche dell’opposizione vi erano soprattutto il ministro dell’Interno, Gordana Jankulovska, quello dei Trasporti, Mile Janakieski, e il numero uno dell’intelligence macedone, nonché cugino del primo ministro, Saso Mijalkov. Martedì, tutti e tre hanno rassegnato le proprie dimissioni, prontamente accettate da Gruevsky, nel tentativo di allentare le pressioni sul governo.

La mossa non ha però soddisfatto l’opposizione socialdemocratica, la quale chiede le dimissioni dello stesso Gruevsky e dell’intero gabinetto, mentre Zaev ha indetto una nuova manifestazione di protesta per domenica prossima.

Se le tensioni interne alla Macedonia sono almeno in parte causate da una precaria situazione economica e sociale e da un diffuso malcontento verso il governo, sono in molti a sospettare che dietro la campagna di Zaev e del suo partito ci siano le mire di alcuni paesi occidentali interessati a destabilizzare il paese.

Governi stranieri starebbero cioè impiegando i consueti metodi che negli anni scorsi hanno portato al lancio delle cosiddette “Rivoluzioni Colorate” in vari paesi dell’est europeo, appoggiando politici di opposizione e organizzazioni della società civile nello sforzo di capitalizzare l’ostilità nei confronti dei partiti al potere, così da dare una copertura democratica a veri e propri colpi di stato.

A questo scenario ha fatto riferimento il primo ministro Gruevsky quando ha sostenuto, quasi certamente in maniera corretta, che le intercettazioni diffuse da Zaev provengono da agenzie di intelligence straniere, coinvolte con lo stesso leader socialdemocratico in un complotto per deporre il suo governo. Recentemente, Zaev è stato incriminato con l’accusa di avere commesso atti di “violenza contro i rappresentanti delle più alte autorità” del paese.

I tentativi di colpire Gruevsky dipendono in larga misura dalle relazioni cordiali mantenute dal suo governo con la Russia, apparse più che evidenti dal rifiuto ad appoggiare le sanzioni USA/UE applicate contro Mosca per la questione Ucraina e dalla disponibilità a ospitare sul territorio macedone una parte del nuovo gasdotto progettato dal Cremlino in sostituzione del defunto “South Stream” che avrebbe dovuto originariamente attraversare la vicina Bulgaria.

Quest’ultima vicenda chiarisce l’importanza della Macedonia per gli obiettivi strategici degli Stati Uniti, intenzionati a boicottare la partnership energetica tra Russia e Unione Europea. Il nuovo gasdotto russo dovrebbe essere dirottato dal Mar Nero verso la Turchia e, da qui, alla Grecia fino ad un terminale in Serbia – passando appunto per la Macedonia – prima di raggiungere l’Europa occidentale.

Come ha spiegato qualche giorno fa un’analisi apparsa sull’agenzia di stampa ufficiale russa Sputniknews, “se la Macedonia dovesse finire nel caos o se il suo governo venisse deposto illegalmente, il gasdotto balcanico resterebbe un sogno”.

Per ottenere questo e altri obiettivi potrebbero essere state messe in atto non solo le provocazioni che stanno vedendo protagonista Zoran Zaev ma anche azioni violente. Lo scorso fine settimana, le forze di polizia macedoni hanno infatti dovuto fronteggiare nella città di Kumanovo un’incursione di un gruppo armato facente parte di una milizia albanese teoricamente dissolta parecchi anni fa, l’Esercito di Liberazione Nazionale (OHA), strettamente legata all’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), ovvero uno degli strumenti utilizzati dagli Stati Uniti per avanzare i propri interessi nei Balcani.

Negli scontri hanno perso la vita 14 guerriglieri e 8 agenti delle forze di sicurezza macedoni. Dei 30 arrestati e incriminati per terrorismo, 18 erano kosovari, 11 cittadini della Macedonia e un albanese residente in Germania.

Nei giorni successivi agli incidenti, la stampa internazionale ha spiegato che quanto è accaduto a Kumanovo rischia di inasprire i conflitti interetnici in un paese dove un quarto della popolazione è albanese. La Macedonia era stata sull’orlo della guerra civile nel 2001, quando l’OHA aveva dato vita a un’insurrezione armata per chiedere maggiori diritti per la minoranza albanese.

Dopo mesi di scontri, con la mediazione dell’Occidente era stato trovato un accordo tra il governo e i ribelli, con questi ultimi che avevano deposto le armi in cambio di importanti concessioni. Grazie all’accordo di Ohrid, sottoscritto nell’agosto del 2001, era stata riconosciuta l’esistenza di un’etnia albanese all’interno di uno stato unitario macedone. I contenuti dell’intesa garantivano ampia autonomia alla minoranza albanese e alcuni mesi dopo sarebbero stati incorporati nella stessa costituzione macedone.

Secondo alcuni commentatori, le garanzie fissate nell’accordo di Ohrid sarebbero alla base del rifiuto dei due principali partiti albanesi di opposizione di appoggiare la campagna anti-governativa di Zaev. Lo stesso ex leader dell’OHA, Ali Ahmeti, ora membro della coalizione di governo a Skopje ha invitato gli albanesi di Macedonia ad adoperarsi per risolvere la crisi “all’interno dell’accordo di Ohrid”.

Nondimeno, l’iniziativa dei miliziani albanesi a Kumanovo solleva parecchie preoccupazioni per la stabilità del paese della ex Yugoslavia e, assieme alle trame orchestrate dall’opposizione socialdemocratica, lascia intendere che siano in atto manovre dirette dall’estero per giungere a un cambio di regime.

L’inquietante ritorno all’azione dell’OHA e dell’UCK sembra essere calibrato per incoraggiare i sentimenti irredentisti della minoranza albanese, alimentati anche da recenti dichiarazioni del governo di Tirana per auspicare una futura unione con il Kosovo all’interno di un progetto per una “Grande Albania”.

L’Occidente, a sua volta, sta facendo la propria parte nell’esercitare pressioni sul governo di Gruevsky. Gli ambasciatori a Skopje di Stati Uniti, Unione Europea, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia hanno ad esempio rilasciato una dichiarazione congiunta che condanna il governo macedone per non avere indagato sullo scandalo delle intercettazioni rivelate da Zaev, sollevando così “seri dubbi sull’impegno per i principi democratici e i valori della comunità Euro-Atlantica”.
L’assenza di progressi in questo senso, continua il comunicato, potrebbe mettere a rischio gli sforzi della Macedonia per entrare nella NATO e nell’Unione Europea.

La presa di posizione più dura è stata presa finora dal vice-presidente del Parlamento Europeo, Alexander Lambsdorff, il quale ha indicato apertamente il percorso da seguire in Macedonia verso quello che potrebbe essere l’ennesimo golpe promosso dall’Occidente dietro le apparenze di un processo di transizione democratica.

Senza mezzi termini, il politico del Partito Liberale Democratico tedesco ha affermato che il primo ministro “Gruevsky deve dimettersi”, poiché è diventato “un ostacolo all’allentamento delle tensioni interetniche”, provocate peraltro in gran parte da agenti dell’Occidente. Nuove elezioni dovranno essere dunque indette, “nel rispetto delle appropriate condizioni democratiche”, con l’obiettivo di installare un nuovo governo che, senza equivoci, prenda finalmente le distanze da Mosca.

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