di Michele Paris
La crisi
politica che sta attraversando la Macedonia dall’inizio dell’anno ha
fatto segnare una drammatica accelerazione in questi ultimi giorni con
un violento scontro armato in una delle più importanti città del paese
balcanico. Parallelamente, il panorama politico domestico continua a
essere turbato dagli attacchi dell’opposizione al governo conservatore
del primo ministro, Nikola Gruevsky, scosso martedì dalle dimissioni di
due importanti ministri.
A partire dal mese di febbraio, il
leader dell’Unione Socialdemocratica (SDSM), Zoran Zaev, ha iniziato a
rendere pubbliche una serie di intercettazioni di conversazioni di
esponenti del governo che dimostrerebbero varie illegalità commesse
dagli uomini al potere, da brogli elettorali alla manipolazione del
sistema giudiziario.
Zaev continua inoltre ad accusare il premier
di avere attuato una svolta autoritaria, con piani, tra l’altro, per
mettere sotto controllo la stampa e sorvegliare le comunicazioni di
decine di migliaia di persone.
In particolare, una delle
intercettazioni diffuse dal leader socialdemocratico aveva scatenato
settimana scorsa una manifestazione di protesta nella capitale, Skopje. I
dimostranti si erano mobilitati per contestare il governo dopo che
erano emerse le manovre delle autorità per insabbiare le indagini sulla
morte nel 2011 di un 22enne dopo le percosse subite da un agente di
polizia.
Al centro delle critiche dell’opposizione vi erano
soprattutto il ministro dell’Interno, Gordana Jankulovska, quello dei
Trasporti, Mile Janakieski, e il numero uno dell’intelligence macedone,
nonché cugino del primo ministro, Saso Mijalkov. Martedì, tutti e tre
hanno rassegnato le proprie dimissioni, prontamente accettate da
Gruevsky, nel tentativo di allentare le pressioni sul governo.
La
mossa non ha però soddisfatto l’opposizione socialdemocratica, la quale
chiede le dimissioni dello stesso Gruevsky e dell’intero gabinetto,
mentre Zaev ha indetto una nuova manifestazione di protesta per domenica
prossima.
Se le tensioni interne alla Macedonia sono almeno in
parte causate da una precaria situazione economica e sociale e da un
diffuso malcontento verso il governo, sono in molti a sospettare che
dietro la campagna di Zaev e del suo partito ci siano le mire di alcuni
paesi occidentali interessati a destabilizzare il paese.
Governi
stranieri starebbero cioè impiegando i consueti metodi che negli anni
scorsi hanno portato al lancio delle cosiddette “Rivoluzioni Colorate”
in vari paesi dell’est europeo, appoggiando politici di opposizione e
organizzazioni della società civile nello sforzo di capitalizzare
l’ostilità nei confronti dei partiti al potere, così da dare una
copertura democratica a veri e propri colpi di stato.
A questo
scenario ha fatto riferimento il primo ministro Gruevsky quando ha
sostenuto, quasi certamente in maniera corretta, che le intercettazioni
diffuse da Zaev provengono da agenzie di intelligence straniere,
coinvolte con lo stesso leader socialdemocratico in un complotto per
deporre il suo governo. Recentemente, Zaev è stato incriminato con
l’accusa di avere commesso atti di “violenza contro i rappresentanti
delle più alte autorità” del paese.
I
tentativi di colpire Gruevsky dipendono in larga misura dalle relazioni
cordiali mantenute dal suo governo con la Russia, apparse più che
evidenti dal rifiuto ad appoggiare le sanzioni USA/UE applicate contro
Mosca per la questione Ucraina e dalla disponibilità a ospitare sul
territorio macedone una parte del nuovo gasdotto progettato dal Cremlino
in sostituzione del defunto “South Stream” che avrebbe dovuto
originariamente attraversare la vicina Bulgaria.
Quest’ultima
vicenda chiarisce l’importanza della Macedonia per gli obiettivi
strategici degli Stati Uniti, intenzionati a boicottare la partnership
energetica tra Russia e Unione Europea. Il nuovo gasdotto russo dovrebbe
essere dirottato dal Mar Nero verso la Turchia e, da qui, alla Grecia
fino ad un terminale in Serbia – passando appunto per la Macedonia –
prima di raggiungere l’Europa occidentale.
Come ha spiegato
qualche giorno fa un’analisi apparsa sull’agenzia di stampa ufficiale
russa Sputniknews, “se la Macedonia dovesse finire nel caos o se il suo
governo venisse deposto illegalmente, il gasdotto balcanico resterebbe
un sogno”.
Per ottenere questo e altri obiettivi potrebbero
essere state messe in atto non solo le provocazioni che stanno vedendo
protagonista Zoran Zaev ma anche azioni violente. Lo scorso fine
settimana, le forze di polizia macedoni hanno infatti dovuto
fronteggiare nella città di Kumanovo un’incursione di un gruppo armato
facente parte di una milizia albanese teoricamente dissolta parecchi
anni fa, l’Esercito di Liberazione Nazionale (OHA), strettamente legata
all’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), ovvero uno degli strumenti
utilizzati dagli Stati Uniti per avanzare i propri interessi nei
Balcani.
Negli scontri hanno perso la vita 14 guerriglieri e 8
agenti delle forze di sicurezza macedoni. Dei 30 arrestati e incriminati
per terrorismo, 18 erano kosovari, 11 cittadini della Macedonia e un
albanese residente in Germania.
Nei giorni successivi agli
incidenti, la stampa internazionale ha spiegato che quanto è accaduto a
Kumanovo rischia di inasprire i conflitti interetnici in un paese dove
un quarto della popolazione è albanese. La Macedonia era stata sull’orlo
della guerra civile nel 2001, quando l’OHA aveva dato vita a
un’insurrezione armata per chiedere maggiori diritti per la minoranza
albanese.
Dopo mesi di scontri, con la mediazione dell’Occidente
era stato trovato un accordo tra il governo e i ribelli, con questi
ultimi che avevano deposto le armi in cambio di importanti concessioni.
Grazie all’accordo di Ohrid, sottoscritto nell’agosto del 2001, era
stata riconosciuta l’esistenza di un’etnia albanese all’interno di uno
stato unitario macedone. I contenuti dell’intesa garantivano ampia
autonomia alla minoranza albanese e alcuni mesi dopo sarebbero stati
incorporati nella stessa costituzione macedone.
Secondo alcuni
commentatori, le garanzie fissate nell’accordo di Ohrid sarebbero alla
base del rifiuto dei due principali partiti albanesi di opposizione di
appoggiare la campagna anti-governativa di Zaev. Lo stesso ex leader
dell’OHA, Ali Ahmeti, ora membro della coalizione di governo a Skopje ha
invitato gli albanesi di Macedonia ad adoperarsi per risolvere la crisi
“all’interno dell’accordo di Ohrid”.
Nondimeno, l’iniziativa dei
miliziani albanesi a Kumanovo solleva parecchie preoccupazioni per la
stabilità del paese della ex Yugoslavia e, assieme alle trame
orchestrate dall’opposizione socialdemocratica, lascia intendere che
siano in atto manovre dirette dall’estero per giungere a un cambio di
regime.
L’inquietante
ritorno all’azione dell’OHA e dell’UCK sembra essere calibrato per
incoraggiare i sentimenti irredentisti della minoranza albanese,
alimentati anche da recenti dichiarazioni del governo di Tirana per
auspicare una futura unione con il Kosovo all’interno di un progetto per
una “Grande Albania”.
L’Occidente, a sua volta, sta facendo la
propria parte nell’esercitare pressioni sul governo di Gruevsky. Gli
ambasciatori a Skopje di Stati Uniti, Unione Europea, Francia, Germania,
Gran Bretagna e Italia hanno ad esempio rilasciato una dichiarazione
congiunta che condanna il governo macedone per non avere indagato sullo
scandalo delle intercettazioni rivelate da Zaev, sollevando così “seri
dubbi sull’impegno per i principi democratici e i valori della comunità
Euro-Atlantica”.
L’assenza di progressi in questo senso, continua il comunicato,
potrebbe mettere a rischio gli sforzi della Macedonia per entrare nella
NATO e nell’Unione Europea.
La presa di posizione più dura è
stata presa finora dal vice-presidente del Parlamento Europeo, Alexander
Lambsdorff, il quale ha indicato apertamente il percorso da seguire in
Macedonia verso quello che potrebbe essere l’ennesimo golpe promosso
dall’Occidente dietro le apparenze di un processo di transizione
democratica.
Senza mezzi termini, il politico del Partito
Liberale Democratico tedesco ha affermato che il primo ministro
“Gruevsky deve dimettersi”, poiché è diventato “un ostacolo
all’allentamento delle tensioni interetniche”, provocate peraltro in
gran parte da agenti dell’Occidente. Nuove elezioni dovranno essere
dunque indette, “nel rispetto delle appropriate condizioni
democratiche”, con l’obiettivo di installare un nuovo governo che, senza
equivoci, prenda finalmente le distanze da Mosca.
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