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19/08/2015

La tempesta cinese d’estate

La decisione cinese di svalutare lo yuan rispetto al dollaro ha causato una tempesta che, per ora sembra placata, ma c’è poco da fidarsi. Ovviamente il primo problema che si pone agli analisti è capire se ci saranno nuove mosse del genere (anche perché il cambio è stato riaggiornato per tre volte in 72 ore e quini non si escludono ulteriori riaggiustamenti) e se può seguirne una nuova guerra monetaria.

Le cose sono complicate dal fatto che i cinesi sono molto avari in fatto di dati ed il tasso di trasparenza è molto prossimo allo zero.

Partiamo dai pochi dati certi per capire gli scopi della mossa cinese:

a- già da due anni sono evidenti i segni del calo di incremento del Pil: ormai irraggiungibile quota +8%, si cerca a fatica di tenersi intorno al 7%, ma la pressione delle migrazioni interne verso le città non è affatto calata;

b- la crescita del mercato interno è ancora insufficiente e le esportazioni sui mercati occidentali sono fatalmente calate con la crisi e non sono più tornate ai livelli pre crisi;

c- si avvicina drammaticamente il momento in sui la popolazione inattiva supererà quella attiva;

d- le sperequazioni sociali e territoriali sono tutt’altro che risolte e questo ha dato luogo, da un lato, ad una lotta alla corruzione che non ha precedenti, dall’altro alla ripresa della conflittualità sociale;

e- il corpo del partito è attraversato da tensioni sempre più difficili da mascherare.

A tutto questo si è aggiunto il crollo della borsa (in primo luogo quella di Shangai), innescato dallo scoppio della bolla finanziaria dell’ultimo anno, cui il governo ha reagito con il blocco delle vendite di azioni e con un intervento-tampone sui mercati finanziari. Nonostante questo, a luglio il crollo ha avuto una nuova ondata per ora frenata, ma è evidente che la resa dei conti arriverà nei primi dell’anno con la ripresa e la ridefinizione dei listini ed è facile prevedere che i milioni di investitori che si erano indebitati pur di speculare in borsa, andranno ad ingrossare le fila del malcontento popolare.

Nel frattempo, peraltro, i mercati (soprattutto le borse asiatiche) stanno già scontando parzialmente gli effetti del terremoto in arrivo.

Questo il quadro di riferimento. Pertanto, il gruppo dirigente cinese ha una serie di obiettivi di lungo e medio periodo (la ripresa delle esportazioni, l’atterraggio soft alla stagione della prevalenza della popolazione inattiva, il riequilibrio delle diseguaglianze interne) ma, deve far fronte prima ancora alle scadenze più vicine, impedendo che inizi una crisi economico sociale che rischierebbe di compromettere la presa del partito sulla società ed aprire la crisi di regime. Dunque, occorre una prima ripresa delle esportazioni per far riprendere il mercato e disinnescare la bomba ad orologeria della ripresa dei listini.

Fatta questa premessa, gli obiettivi della attuale mossa monetaria appaiono più chiari: ovviamente, stimolare le esportazioni attraverso una svalutazione competitiva e, contemporaneamente, sfavorire le importazioni, in modo da indirizzare maggiormente la domanda interna verso prodotti cinesi. E questo è stato universalmente notato e commentato.

Ma ci sono altri scopi che sono passati più inosservati e che si riferiscono alla bolla finanziaria da disinnescare. Svalutare la moneta significa anche svalutare il monte debiti-crediti denominato in moneta interna, rispetto al dollaro. Di conseguenza, se il governo volesse attuare uno sgonfiamento (almeno parziale) della bolla acquistando sul mercato parte dei titoli pagandoli in dollari (la Banca cinese ne ha una montagna, anche se un po’ meno del passato), potrebbe farlo a costi sensibilmente ridotti. Questo sgonfiamento potrebbe avvenire sia attraverso l’acquisto dei titolo da parte del Fondo Sovrano, oppure con un quantitative easing in dollari alle banche cinesi (addirittura potrebbe verificarsi il caso di prestiti ad interesse negativo). Che poi la  manovra riesca è tutto da vedere, ma questo fa capire che essa ha una finalizzazione precisa e, pertanto, non dovrebbe ripetersi salvo che nel caso in cui occorrano nuove iniezioni per far fronte all’ascesso borsistico.

Anche perché la Cina non ha interesse a scatenare una guerra monetaria che potrebbe avere effetti opposti sulla ripresa delle esportazioni. Lo scopo è quello di ottenere un riaggiustamento stabile dei cambi, non una rincorsa a chi svaluta prima. La stessa modalità della svalutazione in tre riprese, da un lato è servita ad attenuare i suoi effetti sui mercati finanziari diluendoli (una svalutazione secca del 4,5-5% avrebbe provocato sicuramente un terremoto più forte), in secondo luogo a scoraggiare manovre speculative o contro-svalutazioni, avvertendo che avrebbero potuto esserci ulteriori oscillazioni.

Le borse hanno dato segnale di “messaggio ricevuto” e, infatti, dopo gli scivoloni seguiti alle prime due fasi, è seguita la ripresa già all’indomani della terza svalutazione.

Per ora l’operazione è riuscita e sembra (però: sembra!) che non ci sarà guerra monetaria. Ma per capire se la mina è stata disinnescata occorrerà vedere le prossime mosse del governo cinese e qui siamo solo alla prima parte, vedremo il resto.

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