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19/08/2015

Ucraina - Arsenij Jatsenjuk non sarebbe più tanto gradito a Washington

Scrive l'ucraina “Vesti”, basandosi su fonti vicine al premier, che Arsenij Jatsenjuk potrebbe abbandonare la poltrona di Primo ministro per quella di presidente della banca nazionale. Sembra – ma qui le fonti confidenziali governative lasciano il posto ai “si dice” – che tale allettante proposta sia giunta a Jatsenjuk dall'amministrazione presidenziale; ma, visti gli usuali risvolti dell'alternanza di poltrone al vertice ucraino, viene più spontaneo supporre che la cerchia di Pëtr Porošenko abbia semplicemente fatto da portavoce a una decisione assunta (ma davvero?!) fuori dei confini nazionali. Sì, perché, stando sempre alle fonti di “Vesti”, ad andare a occupare la poltrona di Primo ministro sarebbe l'attuale Ministro delle finanze, l'ucraina-americana-ucraina Natalja Jaresko, a suo tempo – 9 mesi fa, al momento della formazione del secondo governo Jatsenjuk – caldamente raccomandata dal Dipartimento di Stato USA.

Ora, oltre alla banca nazionale, a Jatsenjuk e al suo partito, il “Fronte popolare”, verrebbe proposto di unirsi in coalizione con il “Blocco Pëtr Porošenko” in vista delle elezioni regionali fissate per il prossimo 25 ottobre. Gli osservatori fanno notare come, in base al programma governativo approvato dalla Rada al momento dell'insediamento del governo, nel dicembre 2014, per legge Jatsenjuk dovrebbe essere “al sicuro” da qualunque spostamento e potrebbe abbandonare il posto di premier solo di propria volontà. Nelle condizioni createsi in ucraina a partire dal febbraio 2014, parlare di legge e di sicurezza dei posti appare quantomeno dubitativo e le decisioni finali potrebbero riservare qualche sorpresa al “banchiere” prestato alla politica statunitense in Ucraina.

Non meraviglierebbe più di tanto se una qualsiasi (!) Victoria Nuland venisse ancora una volta a Kiev a ricordare al giovane Arsenij che “banchiere eri e banchiere ritornerai”; d'altronde, proprio l'assistente segretario di Stato USA l'aveva imposto nella primavera del 2014, così come aveva imposto l'imprenditore Porošenko, contro il candidato della cancelliera Merkel, il pugile Vitalij Kličko, quale legittima prosecuzione del colloquiale “Fuck the EU” nei confronti delle pretese europee di metter voce sull'Ucraina.

In ogni caso, le premesse “politiche” per un cambio al vertice di governo a Kiev non mancano: ormai da mesi i sondaggi danno a quasi il 70% le valutazioni negative degli ucraini per i risultati disastrosi sia dell'operato presidenziale, che di quello governativo e un'alleanza elettorale tra il partito di Porošenko e quello di Jatsenjuk, potrebbe evitare a quest'ultimo una fine troppo ingloriosa, considerata anche la forte rimonta del partito “Patria” dell'ex principessa del petrolio ed ex premier Julja Timošenko. In ultimo, la recentissima raccomandazione jatsenjukiana agli ucraini, di trasformare eucaristicamente il proprio calore corporeo in riscaldamento domestico, data la carenza di gas russo che Kiev non è più in grado di pagare, hanno dato un'ulteriore spallata all'immagine del primo ministro. Dopo tutto, che le faccende economiche ucraine, con il primo e il secondo governo Jatsenjuk, non abbiano mai cessato di seguire la china del sempre più probabile default, rappresenta un fattore non di poco conto nel declino di un premier che, se verrà ricordato, forse lo sarà solo per le esternazioni sul “vallo europeo” che difenderà dalla “aggressione russa” i paesi a ovest di Kiev “fino al Canada”.

Dunque, Natalja Jaresko, notano gli osservatori, oltre la cittadinanza americana, può vantare almeno un altro paio di punti in più rispetto a Jatsenjuk: non è mai scesa, a differenza del premier attuale, nella retorica volgarmente antirussa e, quindi, potrebbe essere ben vista anche a Mosca; inoltre, non sembra manifestare smodate ambizioni politiche. Su quest'ultimo aspetto, ci si può d'altronde chiedere: e se anche le manifestasse? Conterebbe qualcosa a Washington, la vera capitale politica ucraina? Oltre Oceano sembrano valere di più i crediti maturati dalla Jaresko prima di accedere al soglio ministeriale. E' il caso di ricordare solo i valori principali del suo “portafoglio atlantico”: nata negli Stati Uniti da emigrati ucraini ai tempi dell'Urss (nec plus ultra dei meriti), laureata a Chicago e Harvard, ha lavorato al Dipartimento di Stato (curando l'Urss) e ha poi diretto il reparto economico dell'ambasciata USA a Kiev. Dopo un decennio trascorso nel business privato in Ucraina, occupandosi di fondi di investimento (sponsorizzati dal governo statunitense) nei paesi dell'ex-Urss, ha fatto parte del Consiglio consultivo ucraino per gli investimenti stranieri sotto la presidenza Juščenko; fino alla nomina a Ministro delle finanze nel dicembre 2014 e la correlata concessione della cittadinanza ucraina da parte di Porošenko.

La possibile uscita di Arsenij Jatsenjuk dal primo piano della scena ucraina potrebbe in qualche modo essere legata anche alla traccia di quei 1,8 miliardi di $ prestati dall'Occidente all'Ucraina, di cui scriveva nei giorni scorsi la Nezavisimaja gazeta, con riferimento a una pubblicazione dell'americana Harper's Magazine. Ancora una volta, fa la sua comparsa la caramellaia Victoria Nuland la quale, scrive la rivista americana, nonostante l'ufficiale entusiasmo per Jatsenyuk, sapeva bene chi fosse e chi sia a tenere le redini della politica ucraina – gli oligarchi, primo fra tutti Dmitrij Firtaš – e ha sempre fatto di tutto per la concessione, oltre che di pasticcini ai manifestanti di Majdan, soprattutto di crediti miliardari a Kiev. E sarebbero finiti proprio nelle tasche degli oligarchi (incredibile!) la maggior parte dei miliardi di $ concessi dal FMI per risanare le banche ucraine, guarda caso di proprietà dei vari Firtaš, Porošenko, Kolomojskij, ecc. Ma vi erano finiti non per il risanamento bancario; erano bensì confluiti nei cosiddetti “avamposti della finanza internazionale”; ad esempio, sui conti ciprioti della PrivatBank (cofondatore Igor Kolomojskij) e da lì su conti aperti in Belize, alle Isole Vergini, nell'area caraibica e in altri paradisi finanziari.

In breve, di fronte all'immiserimento, definito dagli stessi ucraini “da Terzo mondo” (“il PIL 2014 si è ridotto a 3.035 $ procapite e, per il 2015, le previsioni del FMI sono di 2.000 $: 3,2 volte meno della Bielorussia, 5,7 volte il Kazakhstan, 7,3 volte la Lituania”, ha scritto il segretario del PC ucraino Pëtr Simonenko), non meraviglia che il 28% della popolazione preveda grandi ondate di protesta e il 18% intenda prendervi parte. Anche se, a parere del politologo russo Bogdan Bezpalko, finché non giungerà l'ordine dall'esterno non è il caso di attendersi una “terza Majdan”, sembra proprio questo il punto nodale: la probabile uscita di Jatsenjuk, dovrebbe in certo qual modo ritardare una nuova Majdan, o ne costituisce invece l'annuncio? Secondo Bezpalko, per l'Occidente l'Ucraina continua a costituire solo lo strumento per destabilizzare la Russia: "una sorta di “Terzo Reich”; ma, per ora, ne è solo una parodia. Non è ciò che volevano i committenti. Sono dunque possibili alcune varianti: golpe di palazzo, lasciare il paese al suo destino, attendere che cada a pezzi, si disintegri e non spendere più un soldo".

Da parte sua, Vladimir Putin ha dichiarato ieri: "Sono fiducioso che, nonostante tutte le complessità del tempo di oggi, la situazione in Ucraina si aggiusterà e il paese si svilupperà e si allontanerà da quella pratica vergognosa che vediamo oggi, vale a dire un vasto paese europeo gestito dall'esterno, con le posizioni chiave nel governo e nelle regioni occupate da cittadini stranieri. Penso che tutto ciò sia umiliante per il popolo ucraino, che ne darà la corretta valutazione. L'Ucraina si risolleverà e si svilupperà positivamente e, insieme alla Russia, costruirà il proprio futuro".

Come dire, parafrasando Stalin "Gli Jatsenjuk, i Porošenko, le Nuland vanno e vengono. Il popolo ucraino rimane"; forse, però, insieme ai Firtaš e ai Kolomojskij e alle banche di investimento russe.

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