Notte di violenze ad Istanbul, inevitabilmente investita dalle
tensioni provocate dalla riapertura da parte di Ankara del conflitto con
il Pkk: due persone armate hanno aperto il fuoco fuori dal consolato
statunitense, dopo che una bomba era esplosa davanti una stazione di
polizia. Un kamikaze all’interno di un veicolo imbottito di esplosivo si
è fatto saltare in aria nel distretto di Sultanbeyli.
Sarebbero 10 le persone ferite nella prima esplosione, tra
loro tre funzionari di polizia. Nell’attacco al consolato nessun ferito,
ma secondo le voci che si stanno susseguendo in queste ore due
sospettati sarebbero stati uccisi a Sultanbeyli durante scontri con la
polizia. Una donna, sospettata dell’assalto al consolato, è stata
arrestata stamattina.
Per ora non è chiaro quale gruppo sia dietro la doppia operazione, se
il movimento kurdo o lo Stato Islamico, entrambi target (il primo in
modo molto più consistente del secondo) dalla strategia della paura di
un Erdogan uscito indebolito dalle elezioni del 7 giugno. Dal 26 luglio
la tregua, voluta e rispettata per due anni e mezzo dal Pkk, è finita:
nel nord dell’Iraq i jet turchi hanno avviato una dura campagna aerea
contro postazioni kurde (uccidendo almeno 390 combattenti), mentre il
sud della Turchia è infiammato da attacchi dei combattenti kurdi e dalla
repressione turca che ha già messo le manette ai polsi a oltre mille
persone, per lo più membri del partito di sinistra Hdp e sospetti membri
del Pkk. Pochissimi i miliziani dell’Isis arrestati.
Sabato nel governatorato di Mardin, un gruppo armato del Pkk ha
aperto il fuoco contro una pattuglia della polizia turca, uccidendo un
poliziotto e ferendone un secondo. Sale così a 23 il numero di membri
delle forze armate turche uccisi in azioni del movimento kurdo.
Alla rinnovata politica della paura rilanciata dal partito
del presidente Erdogan, l’Akp, risponde la base, la società civile: ieri
migliaia di persone sono scese in piazza nel centro di Istanbul in una
grande manifestazione per la pace. La marcia, organizzata dal
Peace Bloc, federazione che tiene insieme circa 80 associazioni turche,
voleva ricordare e commemorare la morte di 32 attivisti turchi
nell’attacco suicida compiuto dall’Isis a Suruc il 20 luglio.
Alla manifestazione ha preso parte anche il leader dell’Hdp,
Selahattin Demirtas, nemico politico numero uno di Erdogan. Tanto
pericoloso da attirare non solo le attenzioni del presidente – che ha
chiesto al parlamento di sospendergli l’immunità parlamentare – ma anche
quelle della magistratura che ha aperto contro di lui un fascicolo.
Rischia oltre 20 anni di carcere, dietro l’accusa di aver armato e
istigato alla violenza i manifestanti che lo scorso anno sono scesi in
piazza in solidarietà con Kobane.
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