di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il tema è la Siria. Cosa accadrà e cosa Israele si aspetta o proverà a fare oltre ai raid che compie con la sua aviazione. Efraim Inbar, direttore del Centro “Besa” di Tel Aviv, specializzato in studi strategici e vicino al governo Netanyahu, non si sbilancia, aggira le nostre domande. Poi, incalzato, si lascia sfuggire mezze frasi «…Israele è un Paese
pragmatico… quindi ben venga qualcuno dall’altra parte del confine, oltre
il Golan, disposto a discutere su temi di reciproco interesse». Quel
“qualcuno” sono i “ribelli siriani”, inclusi i qaedisti di al Nusra, con
i quali Israele ha già contatti. Da tempo girano voci sulla
possibilità che la Siria meridionale, o almeno una parte di essa, resti
in futuro sotto il controllo di una «entità» che garantisca la sicurezza
di Israele. E, più di tutto, che questa entità non reclami la
restituzione delle Alture del Golan, un territorio siriano occupato nel
1967 che lo Stato di Israele si è annesso unilateralmente.
In breve a Tel Aviv non dispiacerebbe che dalla guerra
civile siriana emerga una situazione simile a quella esistente nel
Libano del sud dal 1978 al 2000, ossia una “fascia di sicurezza” a
difesa delle linee del Golan occupato, controllata da una milizia
alleata di Israele. E che questa opzione sia sul tavolo, sebbene al
momento appaia poco concreta, lo dimostra anche la visita, l’ennesima,
in Israele di un esponente dell’opposizione siriana, Kamal al Labwani. Domenica alla Knesset, Labwani ha discusso con alcuni deputati israeliani della situazione in Siria e degli scenari futuri.
Scenari delineati nelle stesse ore dal ministro della difesa israeliano Moshe Yaalon e da un suo stretto collaboratore.
«Siamo molto pessimisti», ha detto Yaalon intervenendo alla Conferenza
sulla sicurezza a Monaco. «Credo – ha aggiunto – che assisteremo a una
cronica instabilità (in Siria) per un lungo periodo di tempo... In Siria si
realizzeranno delle enclave: Alawistan, Siria Kurdistan, Siria
Drusistan. Potranno cooperare o combattersi l’una contro l’altra». Più esplicito sulla visione israeliana è stato Ram Ben-Barak, direttore generale dell’intelligence del ministero della difesa, quando ha sostenuto che la partizione della Siria è «l’unica soluzione possibile».
Se Efraim Inbar non si sbilancia, un suo collega al Centro “Besa”, Eytan Gilboa,
al contrario ci spiega senza problemi come Israele guarda al futuro
della Siria. «Il nostro problema è l’Iran e la sua alleanza con la Siria
che vuol dire anche sostegno a (movimento sciita libanese) Hezbollah,
uno dei nostri nemici più armati e determinati, in possesso di migliaia
di razzi – dice Gilboa –, crediamo che Hezbollah stia cercando di
stabilire basi permanenti nella fascia di territorio siriano che corre
lungo il confine con le Alture del Golan. In questo modo potrà
attaccarci dalla Siria senza esporre il Libano alla nostra reazione
(militare). Hezbollah non è riuscito ancora a realizzare questo progetto perché in quella zona operano alcuni dei suoi nemici, come Nusra (al
Qaeda) e altre formazioni sunnite. Impedire il progetto di Hezbollah per
noi è fondamentale».
Quanto è concreta la possibilità che Israele si impegni per
la creazione di una nuova “fascia di sicurezza” in Siria, a ridosso del
Golan? A questa domanda Gilboa evita di rispondere. Però, ci dice, «Israele
ha intese con gruppi estremisti, curiamo i loro feriti e in cambio non
ci attaccano ma questi non sono gli alleati ideali, a causa della loro
natura. Ben diverso è il caso dei ribelli moderati, quelli con i quali
dialogano anche Usa e Europa, ma queste forze non sono nel sud della
Siria. Israele al momento può solo essere parte di una coalizione,
assieme agli Usa, all’Arabia Saudita e altri Paesi sunniti, che
consolidi i ribelli moderati».
Il vero ruolo dei sauditi, contrariamente a quanto afferma l’analista
israeliano, è stato sino ad oggi quello di rafforzare le forze più
radicali, jihadiste, in Siria. Ma le considerazioni di Gilboa riflettono
bene la linea conciliante verso Riyadh e le altre monarchie sunnite che
il governo israeliano porta avanti. A Monaco Yaalon ha
enfatizzato i «canali di comunicazione» che Israele ha con i Paesi
sunniti in funzione anti-Iran, «non solo Giordania e Egitto ma anche con
gli Stati del Golfo e del Nord Africa».
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