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21/06/2016

Egitto - Il sud senza acqua scende in piazza contro al-Sisi

di Chiara Cruciati   il Manifesto

Aswan è lontana dal Cairo, le voci delle proteste arrivano attutite. O non si sentono affatto. Eppure sono centinaia gli egiziani scesi in piazza nei giorni scorsi per ottenere qualcosa di fondamentale: acqua. L’emergenza idrica che colpisce il sud dell’Egitto è allarmante e solleva questioni ben più ampie: l’inflazione incontrollabile, la carenza di infrastrutture, l’incapacità del governo di intervenire.

Ma se la situazione peggiore si registra nei distretti meridionali, ora anche la costa settentrionale vive la sua crisi: da Aswan a Dakahlia, da sud a nord, la gente è scesa in strada perché di acqua non ce n’è. E il periodo è cruciale: al caldo estivo si aggiunge il Ramadan, mese sacro musulmano in cui l’acqua non serve più solo alla sopravvivenza quotidiana, ma anche alla preghiera e alla rottura del digiuno al tramonto.

Sono ormai due settimane che l’acqua potabile non è più sufficiente. La reazione è immediata: durante le manifestazioni dei giorni scorsi la gente ha chiuso le strade e riempito le proprie cisterne “attingendo” da quelle statali, furiosa sia per la mancanza d’acqua che per il silenzio dei vertici. Gli stessi che per mesi hanno annaffiato di promesse (solo di quelle) le comunità più povere dell’Egitto millantando una prossima soluzione ad un problema che li affligge ogni estate da anni.

«I nostri bambini moriranno di sete ma al governo non interessa», diceva un manifestante sabato scorso a Dakahlia al quotidiano egiziano al-Masry al-Youm. «Abbiamo denunciato [la questione] ai responsabili – gli faceva eco un secondo – La compagnia dell’acqua ci ha detto che non ha una soluzione. Possiamo solo usare le cisterne». Che però non bastano, tanto che in molti temono presto che la rabbia verso le autorità si trasformi in faide interne.

Le ragioni a monte della crisi degli ultimi anni sono tante, dalla crescita della popolazione alla diga “Renaissance” costruita dall’Etiopia sul Nilo, fino ai limiti dei sistemi di irrigazione: a causa dell’evaporazione i canali aperti usati per i campi fanno perdere tre miliardi di metri cubi d’acqua all’anno solo alla diga di Aswan. E mentre l’Onu avverte del pericolo (l’Egitto rischia la siccità entro il 2025, quando la popolazione passerà dagli attuali 82 milioni a 116), il governo del golpe non prende provvedimenti sufficienti considerando – aggiungono le Nazioni Unite – che negli ultimi 40 anni la media pro capite di consumo d’acqua è diminuita del 60%. Se l’Onu indica in mille metri cubi l’anno il minimo per la sopravvivenza umana, in Egitto ne consumano solo 600 (per fare un paragone: in Italia ne consumiamo 2.232, secondi solo agli Stati Uniti con 2.483).

A subirne le conseguenze sono le aree rurali: «I tagli dell’acqua corrente dipendono da dove vivi – spiega Amir Mamdouh, avvocato di Aswan, a Middle East Eye – Nelle zone più ricche, dove vivono uomini d’affari, ufficiali di polizia e esercito l’acqua manca mezz’ora al giorno. In quelle più povere per 4-5 ore. A Kom Ombo o Aswan manca per giorni». Nonostante ciò le bollette vanno pagate lo stesso. Lo spiega Eman (nome di fantasia) all’agenzia stampa: i contatori che calcolano i consumi girano anche se l’acqua non arriva. E così le famiglie pagano quello che non consumano.

L’apatia istituzionale fa il paio con l’inflazione dilagante che, in tempo di Ramadan, non fa che aumentare. E i più colpiti sono di nuovo i poveri: secondo le statistiche della Banca Centrale egiziana, i prezzi dei beni alimentari sono cresciuti del 12,7% rispetto al 2015 (il tasso d’inflazione più alto degli ultimi 7 anni), ma ci sono prodotti il cui costo è raddoppiato anche a causa della svalutazione della sterlina egiziana sul dollaro che fa salire alle stelle il costo delle importazioni. Come il grano e il riso, base dei piatti tradizionali mediorientali e nordafricani.

Il governo prova a salvare la faccia o accusando i commercianti di pompare i prezzi o mandando in giro mercati mobili in cui prodotti di base vengono venduti a prezzi scontati. Ma è una pezza insufficiente alla crisi economica, mai realmente affrontata nel post-Mubarak.

La rabbia della gente monta ogni giorno di più. Non solo al Cairo, dove attivisti e giornalisti si battono per libertà e democrazia, ma anche nelle aree rurali dove si lotta spesso per una vita dignitosa. Il regime dovrebbe ascoltare le loro parole. Come quelle di Mohammed el-Sayed di Aswan, raccolte dall’agenzia Masr al-Arabiya: «Come può il presidente al-Sisi dire ‘Lunga vita all’Egitto’ quando noi moriamo di sete? Non siamo anche noi cittadini di questo paese?».

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