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18/06/2016

La festa delle Borse per l’uccisione di Jo Cox

"A pensar male si fa peccato", dicono i cattolici praticanti. Quelli un po’ luciferini aggiungevano che “però ci si azzecca quasi sempre”. L’omicidio della deputata laburista inglese Jo Cox è uno di quegli episodi che costringono a pensar male. E la sensazione – solo quella, per ora – è che ci si posa azzeccare con una certa facilità.

L’elemento principale che supporta questa sensazione è puramente oggettivo, niente affatto dietrologico. “Dopo l’agguato di Leeds i listini limano le perdite”, titolava stamattina il confindustriale Il Sole 24 Ore; “Una tragedia che sposta gli equilibri di una campagna finita fuori controllo”, sottolineava Fabio Cavalera sul Corriere della Sera; fino al titolo di Repubblica online, quasi un manifesto programmatico del capitale finanziario multinazionale: “La violenza allontana Brexit, mentre le Banche centrali rassicurano le Borse”.

Potremmo andare avanti con l’elenco, ma ci sembra che gli elementi siano già tutti sul tavolo:

a) le borse (il palcoscenico visibile dei mercati finanziari) hanno effettivamente festeggiato subito, a pochi minuti dall’aggressione mortale, risollevandosi da livelli che avrebbero fatto parlare di una “giornata tragica”. Per dire, Milano perdeva oltre il 2,4%, ma è rapidamente risalita fino al -0,98%. Se la Cox fosse stata aggredita un paio d’ore prima avrebbero potuto chiudere addirittura in “territorio positivo”.

b) la Brexit, ieri mattina, era data al 53% dei voti nel sondaggio commissionato dall’Evening Standard a una società di rilevazione che fin lì aveva sempre dato per vincente il remain. L’emozione sollevata dall’omicidio costringerà molti a immedesimarsi nella parte della vittima, com’è perfino giusto, assumendo dunque un atteggiamento più “moderato”, simpatetico con quello della scomparsa Cox.

c) le borse stamattina hanno aperto “euforiche”, con guadagni che non si vedevano da settimane, nella convinzione che la temuta Brexit sia stata a questo punto solo un brutto incubo, da cui ci siamo però risvegliati senza danni. La violenza allontana la Brexit…

Basta questo a far dire che i mercati finanziari (le grandi banche d’affari, la speculazione globale, ecc.) siano i mandanti di un omicidio politico che fa cambiare in corso d’opera le intenzioni di voto di un intero paese?

No, certo. Basta però non essere del tutto cretini. Di omicidi “mirati”, commissionati per vie traverse da gente potente, nella storia del dopoguerra ce ne sono stati a migliaia. Citavamo ieri Lee Oswald, l’assassino “ufficiale” di John Fitzgerald Kennedy, a sua volta ucciso due giorni dopo – nel bel mezzo di un gruppo di agenti federali di scorta – da un oscuro gestore di night club vicino ad ambienti mafiosi, Jack Ruby, provvidenzialmente affetto da un tumore che se lo portò via in pochi mesi.

L’assassino di Jo Cox rientra nella casistica dei dropout metropolitani, che le statistiche anglosassoni registrano malvolentieri. Riferisce Repubblica che

Thomas Mair, l’uomo che ha ucciso la deputata britannica laburista Jo Cox urlando ‘Britan first’ prima di colpirla a morte, era un sostenitore dei neonazisti americani. Comprò nel 1999 da Alleanza Nazionale, l’organizzazione neonazista Usa, un manuale con istruzioni su come costruire una pistola. Le notizie si basano sulle fatture di acquisto. Per Southern Poverty Law Center, Mair era “un impegnato sostenitore” di National Alliance.

Una zucca vuota, nelle descrizioni dei media mainsream, riempita di ideuzze malsane, che chiunque – dotato di obiettivi veri, tempo da impiegare per “conferirgli una missione”, un po’ di soldi e un nome falso – può aver manipolato fino all’obiettivo. Vedremo presto gli sviluppi: se resterà vivo, se spiegherà il suo gesto, se farà nomi di sodali di un qualche tipo o se sarà dichiarato incapace di intendere e volere.

Del resto il lavoro dei servizi segreti, negli ultimi decenni, è molto cambiato grazie alle tecnologie. Non c’è più bisogno di decine di uomini per pedinare un sospetto; bastano e avanzano cellulare e gps della “preda”. I telefoni sotto controllo sono la norma, non più l’eccezione, con chiamate, sms, mail, tenuti archiviati per un tempo indefinito e sempre a disposizione degli inquirenti. Per sapere cosa uno pensa e con chi intrattiene rapporti dice più un profilo Facebook in un giorno che lunghe opere di infiltrazione in gruppi e sottogruppi. Le telecamere a ogni angolo di strada, e fuori di ogni negozio o persino delle abitazioni private, possono ricostruire senza problemi anche lunghi spostamenti di un “bersaglio” nelle vie di una metropoli.

Eppure i servizi lavorano ancora con uomini in carne e ossa, che agganciano e dialogano con uomini in carne e ossa. Ce ne siamo occupati anche molti mesi fa, in seguito ad un articolo della rivista del Sisde, Gnosis, che parlava di una figura relativamente nuova: l’agente di influenza.
“Può andare dall’”agente” (un singolo o un gruppo) che cerca di condizionare la politica di uno Stato fino al più “normale” sbirro che si infila in un gruppo, un collettivo, un centro sociale, per orientarne alcune scelte, assumere informazioni che non viaggiano per telefono o Internet, favorirne la disgregazione, ecc.“

Peggio ancora:
“Una figura che si complica ulteriormente quando le si affianca l’”agente di influenza inconsapevole”, ovvero il cretino (singolo, gruppo, movimento, partito) che fa spontaneamente ciò che interessa a un’entità statuale, senza averne ricevuto alcun input. Qui il terreno diventa immediatamente più politico che “spionistico”, con qualche aspetto comico ben espresso dalla battuta “vorrei sapere chi è il mandante delle cazzate che faccio”.

Soft power, viene chiamato questo tipo di attività segreta. Il potere che non si impone con le truppe in strada e la legge marziale, ma condizionando dall’interno le forze d’opposizione (anche quelle legali ed innocue, come gli ambientalisti inglesi); oppure “muovendo” menti fragili, “solitarie”, invasate di cazzate, pronte a tutto pur di trovare un senso alla propria esistenza. Il campionario delle possibilità è così vasto da poter comprendere tutto e il contrario di tutto. Dipende solo dagli obiettivi governativi e dagli interessi lì rappresentati.

L’allineamento oggettivo dei fatti seleziona molto tra le varie ipotesi. Jo Cox era un personaggio politicamente contraddittorio, ma interessante. Pacifista, in un paese che non lo è affatto, era difensore delle vittime della guerra civile siriana e presidente dell’associazione parlamentare Amici della Siria. Nello scorso autunno si astenne dalla votazione sui raid aerei britannici contro lo Stato islamico in Siria, insistendo sulla necessità di una soluzione di più ampio respiro al conflitto, che includesse dunque un dialogo anche con Assad. Fu lei a candidare Jeremy Corbyn per la presidenza del Labour, anche se finì poi per appoggiare la candidata blairiana.

Era per il remain, ossia contraria alla Brexit, ma per ragioni molto meno finanziarie di quelle che hanno fatto respirare di sollievo la City e le piazze europee. Contraddittoria, atipica, ondivaga. Un bersaglio perfetto, un “prezzo accettabile” per una posta in gioco davvero allettante come la tenuta dell’Unione Europea.

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