Dopo due giorni di inabissamento, le borse europee tirano il fiato e recuperano un po’ di terreno. Tutto sta a capire quanto, però. Piazza Affari, per esempio ha perso più del 16% in 48 ore, e non è che un recupero del 4% (alle ore 12) rimetta le cose a posto.
Comunque sia, il rimbalzo c’è e allontana il pericolo di uno scivolamento rovinoso senza soste.
Perché c’è questo recupero? Perché il vertice straordinario europeo, convocato per prendere misure di contenimento rispetto alle conseguenze che la Brexit sta provocando sui mercati, sta discutendo... di come salvare le banche. Quasi una provocazione, se si pensa che solo due giorni fa i premier europei – e tra questi Renzi – spiegavano a tutti che “ora bisogna cambiare verso, dobbiamo fare scelte più vicine ai bisogni della gente e meno discorsi sulle banche”.
Il problema è però considerato il più urgente, visto che le interconnessioni finanziarie e bancarie sono mille volte più strette di quelle industriali e commerciali. E Londra rappresenta da sempre la principale piazza finanziaria del Vecchio Continente.
Gli intrecci sono complessi. Basta sapere che la Banca dei Regolamenti Internazionali, alla vigilia del referendum britannico, aveva ammonito sui rischi per il sistema bancario internazionale senza neanche prendere in considerazione un voto per il leave. Quel che non regge infatti è il livello del debito privato creato negli anni d’oro dei prodotti finanziari derivati. Servirebbe, per renderlo meno esplosivo, una crescita consistente a livello globale (specie della produttività) e un ampio margine di intervento pubblico per attenuare i punti di crisi. Inutile ricordare che queste due condizioni non ci sono e, perlomeno a livello europeo, parlare di intervento pubblico è come bestemmiare in chiesa.
Ciò nonostante, il ciclo di riunioni del vertice iniziato ieri sta discutendo proprio di questo; quale tipo di intervento pubblico per salvare – nuovamente, per la centesima volta – le banche?
Fin qui le regole europee sono state drastiche: se la vedano le singole banche, rapinando gli azionisti e i clienti meno esperti tramite il bail in. Al massimo, come in Italia, è ammessa la creazione di un fondo finanziato dalle banche stesse per aiutare quella che si viene a trovare in difficoltà. Soluzione chiamata “di mercato”, ma dal fiato cortissimo (pochi soldi, insomma). Le banche “sane”, peraltro non molte, comincerebbero ad andare sotto per finanziare il salvataggio delle concorrenti. In Svezia, lo stesso tipo di fondo, era pubblico, e quindi funzionava meglio...
Ora si tratta di vedere cosa “l’Europa” è disposta a fare o lasciar fare per salvare le banche. Una forma di intervento pubblico pare indispensabile (gli esperti definiscono “utopistiche” e irrealizzabili le famose “soluzioni di mercato”), ma con quali confini?
Le banche italiane sono infatti le più esposte in caso di perpetuazione del bail in, perché sono quelle che hanno piazzato ai propri clienti i maggiori quantitativi di obbligazioni subordinate o azioni non quotate in borsa, dunque invendibili (e non solo a Vicenza). Nessuno, sul mercato, appare disposto a farsi avanti in queste condizioni (ovvero ad accollarsi perdite certe). Ma se le banche smettono di prestare a imprese e famiglie, anche quel poco di ripresa ipotetica va a farsi benedire...
Il governo italiano appare come sempre quello più aperto a qualsiasi soluzione “pubblica”, senza prevedere nemmeno un limite di spesa, ma deve fare i conti con i cerberi di Bruxelles, spiazzati però a loro volta dalla Brexit che mette a rischio istituti francesi e tedeschi decisamente più esposti sul fronte dei “derivati”.
Fa in effetti abbastanza senso che si sia disposti a buttare risorse pubbliche senza limite nelle banche quando invece si raschia il fondo del barile pur di risparmiare – al confronto – briciole con i tagli alla sanità, alle pensioni, all’assistenza. Ma questo è il sistema...
Il Tesoro italiano, per esempio, sta delineando piani che prevedono garanzie o interventi di capitalizzazione diretta, anche ricorrendo a un maggiore indebitamento pubblico (aumentando gli importi delle aste dei titoli di Stato), attenuato unicamente dal quantitative easing della Bce (che acquista per l’appunto anche titoli di stato). Più debito, al momento senza pagamento di interessi, ma sempre debito è...
Per poterlo fare occorre però un via libera europeo, che potrebbe anche arrivare (gli altri paesi hanno problemi simili, come detto), ma in forme diverse e più limitanti di quelle immaginate qui.
Un’altra forma di “sollievo” temporaneo potrebbe venire dall’istituire finalmente una “garanzia europea” sui depositi fino a 100.000 euro, cosa contro cui hanno opposto feroce resistenza i tedeschi e i falchi del Nord (a cominciare da Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo), perché a loro suona come un pagare di tasca propria i debiti altrui.
Ma siamo in circostanze eccezionali, dunque non ci si può appellare ai metodi previsti per le situazioni ordinarie. Vero, ma è proprio nelle situazioni eccezionali che si vede chi ha più filo da tessere o, come diceva quel reazionario non stupido, chi “è sovrano”. Ovvero che stabilisce le regole che più lo avvantaggiano...
Una misura eccezionale potrebbe essere quella di consentire subito l’uso del fondo Esm – 400 miliardi di dotazione – che fin qui era previsto solo dopo aver fatto pagare il conto ai correntisti truffati e agli azionisti. Ma è anche lo strumento che, per essere invocato, richiede la subordinazione totale del paese richiedente alla supervisione della Troika. Come mettersi un cappio supplementare intorno al collo, insomma...
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