di Michele Paris
L’inaspettata decisione degli elettori britannici di trascinare il
proprio paese fuori dall’Unione Europea sta avendo ripercussioni
tutt’altro che indifferenti sugli Stati Uniti, alla luce dell’importanza
di Londra nell’assicurare che gli orientamenti strategici ed economici
del vecchio continente rimangano indirizzati verso Washington.
Il voto della settimana scorsa è arrivato oltretutto in un frangente
storico segnato da una particolare aggressività americana nel promuovere
i propri interessi in Europa, come confermano ad esempio i progetti
legati al trattato transatlantico di libero scambio (TTIP) e
all’accerchiamento della Russia, entrambi in pericolo senza la presenza
della Gran Bretagna nell’Unione.
Il sintomo dei malumori e delle
apprensioni che circolano negli ambienti di potere a Washington si può
dedurre forse proprio dalle insistenti rassicurazioni di vari membri
dell’amministrazione Obama sul fatto che le relazioni con Londra e
Bruxelles rimarranno sostanzialmente immutate.
Già domenica
scorsa, il consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente, Susan
Rice, aveva detto di attendersi dalla Brexit “relativamente poche”
implicazioni immediate sulla sicurezza degli USA. Lunedì a Londra, il
segretario di Stato, John Kerry, nel corso di una conferenza stampa con
il suo omologo britannico, Philip Hammond, ha a sua volta ribadito la
“relazione speciale” che lega i due alleati, sia pure sentendosi in
dovere di chiedere agli altri paesi UE di evitare sentimenti di “rabbia”
o “ritorsioni” nelle trattative con il governo di Londra.
Come
già aveva fatto il giorno prima a Roma incontrando il ministro degli
Esteri Gentiloni, l’ex senatore Democratico ha invitato entrambe le
parti a mostrare “saggezza” e “responsabilità” nelle scelte che dovranno
essere prese, facendo trasparire il desiderio di Washington di
conservare gli equilibri attuali in larga misura favorevoli agli Stati
Uniti.
I toni accomodanti mantenuti a livello ufficiale
dall’amministrazione Obama in questi giorni si accompagnano però
probabilmente all’espressione privata di un netto disappunto per l’esito
del referendum e delle prospettive future sull’asse
Washington-Londra-Bruxelles.
Un assaggio della reale disposizione
del governo USA nei confronti della Brexit si era avuto lo scorso mese
di aprile durante la visita del presidente Obama in Gran Bretagna. In
quell’occasione, discutendo dei negoziati sul TTIP, con toni
insolitamente duri l’inquilino della Casa Bianca aveva avvertito i
cittadini e soprattutto il governo britannico che l’uscita dall’UE
avrebbe potuto mettere il loro paese “in fondo alla coda” per quanto
riguarda la stipula di simili trattati con Washington, lasciando
intendere possibili conseguenze negative sulle relazioni bilaterali.
A
dare sfogo alle preoccupazioni che circolano negli USA dopo la Brexit
sono stati allora alcuni organi di stampa ufficiali, come il New York Times,
spesso vero e proprio portavoce dell’amministrazione Obama. In
un’analisi apparsa questa settimana, il giornale di New York ha
descritto la Gran Bretagna come l’alleato americano meglio disposto sul
fronte della sicurezza, ma anche “il “più efficiente nell’ambito
dell’intelligence” e il più “entusiasta” nell’abbracciare i principi del
libero mercato tradizionalmente promossi dagli Stati Uniti.
Soprattutto, prosegue il Times,
“pochi paesi erano pronti”, come la Gran Bretagna, “a intervenire nel
dibattito europeo per orientarlo verso le direzioni preferite dagli
Stati Uniti”. L’influenza di Londra a favore degli USA, ora
“improvvisamente ridimensionata”, si faceva sentire in particolare nel
“porre un limite alle richieste europee in ambito commerciale” e nel
“convincere gli altri paesi a contribuire maggiormente alle missioni
militari della NATO”.
Le recriminazioni di Washington in merito
alla Brexit appaiono dunque evidenti. Il timore principale è quello di
perdere lo strumento privilegiato con cui gli Stati Uniti avevano la
possibilità di influenzare, almeno in parte, le scelte dell’Unione
Europea. Il ruolo di Londra all’interno dell’UE, secondo gli USA, era
cioè di garantire l’accoglimento delle posizioni americane nel vecchio
continente e, assieme, di evitare un eccessivo allontanamento da esse.
L’eventuale perdita della Gran Bretagna come trait d’union
tra le due sponde dell’Atlantico è tanto più dolorosa per Washington in
quanto giunge in un momento in cui il lavoro di Londra sarebbe
risultato cruciale nel portare a compimento una serie di iniziative
ritenute fondamentali per gli interessi americani.
Queste ultime,
come già anticipato, sono principalmente l’approvazione della
travagliata Partnership Transatlantica sul Commercio e gli Investimenti
(TTIP), strumento di penetrazione del capitale USA in Europa e
osteggiato da molti governi, e l’espansione verso est della Nato
attraverso la militarizzazione dei confini con la Russia.
L’ansia
trapelata dalle parole pronunciate da Kerry a Roma, Londra e Bruxelles
in questi giorni è d’altra parte comprensibile, visto che su queste e
altre questioni sono emersi da tempo disaccordi e divisioni anche
profonde all’interno dell’UE. L’incubo di Washington è legato così
all’esplosione delle forze centrifughe che erano state in parte
contenute anche dalla Gran Bretagna e che ora rischiano invece di
mettere in discussione l’idea stessa di un’Europea ancorata
strategicamente ed economicamente agli Stati Uniti.
In sostanza,
gli scenari post-Brexit potrebbero riservare il crollo del regime delle
sanzioni contro Mosca, l’attenuarsi della spinta verso est dell’Alleanza
Atlantica e lo svincolo, da parte di svariati paesi europei, a
cominciare dalla Germania, dal rigore dettato da Washington nei
confronti della Russia.
Proprio il ruolo tedesco è stato valutato con attenzione nel già citato articolo del New York Times.
Nell’escludere di fatto la possibilità che Berlino possa ricoprire in
futuro i compiti svolti da Londra a beneficio degli USA, il Times prefigura
chiaramente l’emergere di possibili conflitti tra Stati Uniti e
Germania, pur mancando di spiegarne la ragione principale, ovvero che
anche quest’ultimo paese nutre sempre più ambizioni da grande potenza e i
suoi interessi tendono a divergere da quelli americani.
Nella
peggiore delle ipotesi per gli USA, infine, l’uscita della Gran Bretagna
dall’UE potrebbe ridurre sensibilmente le pressioni sulla Russia, ma
anche sulla Cina, favorendo nel medio e lungo periodo il processo
d’integrazione economico-strategica dell’immensa regione euro-asiatica.
Un’evoluzione, quest’ultima, peraltro già in atto e che rappresenta
un’autentica minaccia per gli Stati Uniti e per il miraggio di un mondo
unipolare sotto la guida di un’unica grande potenza.
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