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29/06/2016

La Brexit vista da Washington

di Michele Paris

L’inaspettata decisione degli elettori britannici di trascinare il proprio paese fuori dall’Unione Europea sta avendo ripercussioni tutt’altro che indifferenti sugli Stati Uniti, alla luce dell’importanza di Londra nell’assicurare che gli orientamenti strategici ed economici del vecchio continente rimangano indirizzati verso Washington.

Il voto della settimana scorsa è arrivato oltretutto in un frangente storico segnato da una particolare aggressività americana nel promuovere i propri interessi in Europa, come confermano ad esempio i progetti legati al trattato transatlantico di libero scambio (TTIP) e all’accerchiamento della Russia, entrambi in pericolo senza la presenza della Gran Bretagna nell’Unione.

Il sintomo dei malumori e delle apprensioni che circolano negli ambienti di potere a Washington si può dedurre forse proprio dalle insistenti rassicurazioni di vari membri dell’amministrazione Obama sul fatto che le relazioni con Londra e Bruxelles rimarranno sostanzialmente immutate.

Già domenica scorsa, il consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente, Susan Rice, aveva detto di attendersi dalla Brexit “relativamente poche” implicazioni immediate sulla sicurezza degli USA. Lunedì a Londra, il segretario di Stato, John Kerry, nel corso di una conferenza stampa con il suo omologo britannico, Philip Hammond, ha a sua volta ribadito la “relazione speciale” che lega i due alleati, sia pure sentendosi in dovere di chiedere agli altri paesi UE di evitare sentimenti di “rabbia” o “ritorsioni” nelle trattative con il governo di Londra.

Come già aveva fatto il giorno prima a Roma incontrando il ministro degli Esteri Gentiloni, l’ex senatore Democratico ha invitato entrambe le parti a mostrare “saggezza” e “responsabilità” nelle scelte che dovranno essere prese, facendo trasparire il desiderio di Washington di conservare gli equilibri attuali in larga misura favorevoli agli Stati Uniti.

I toni accomodanti mantenuti a livello ufficiale dall’amministrazione Obama in questi giorni si accompagnano però probabilmente all’espressione privata di un netto disappunto per l’esito del referendum e delle prospettive future sull’asse Washington-Londra-Bruxelles.

Un assaggio della reale disposizione del governo USA nei confronti della Brexit si era avuto lo scorso mese di aprile durante la visita del presidente Obama in Gran Bretagna. In quell’occasione, discutendo dei negoziati sul TTIP, con toni insolitamente duri l’inquilino della Casa Bianca aveva avvertito i cittadini e soprattutto il governo britannico che l’uscita dall’UE avrebbe potuto mettere il loro paese “in fondo alla coda” per quanto riguarda la stipula di simili trattati con Washington, lasciando intendere possibili conseguenze negative sulle relazioni bilaterali.

A dare sfogo alle preoccupazioni che circolano negli USA dopo la Brexit sono stati allora alcuni organi di stampa ufficiali, come il New York Times, spesso vero e proprio portavoce dell’amministrazione Obama. In un’analisi apparsa questa settimana, il giornale di New York ha descritto la Gran Bretagna come l’alleato americano meglio disposto sul fronte della sicurezza, ma anche “il “più efficiente nell’ambito dell’intelligence” e il più “entusiasta” nell’abbracciare i principi del libero mercato tradizionalmente promossi dagli Stati Uniti.

Soprattutto, prosegue il Times, “pochi paesi erano pronti”, come la Gran Bretagna, “a intervenire nel dibattito europeo per orientarlo verso le direzioni preferite dagli Stati Uniti”. L’influenza di Londra a favore degli USA, ora “improvvisamente ridimensionata”, si faceva sentire in particolare nel “porre un limite alle richieste europee in ambito commerciale” e nel “convincere gli altri paesi a contribuire maggiormente alle missioni militari della NATO”.

Le recriminazioni di Washington in merito alla Brexit appaiono dunque evidenti. Il timore principale è quello di perdere lo strumento privilegiato con cui gli Stati Uniti avevano la possibilità di influenzare, almeno in parte, le scelte dell’Unione Europea. Il ruolo di Londra all’interno dell’UE, secondo gli USA, era cioè di garantire l’accoglimento delle posizioni americane nel vecchio continente e, assieme, di evitare un eccessivo allontanamento da esse.

L’eventuale perdita della Gran Bretagna come trait d’union tra le due sponde dell’Atlantico è tanto più dolorosa per Washington in quanto giunge in un momento in cui il lavoro di Londra sarebbe risultato cruciale nel portare a compimento una serie di iniziative ritenute fondamentali per gli interessi americani.

Queste ultime, come già anticipato, sono principalmente l’approvazione della travagliata Partnership Transatlantica sul Commercio e gli Investimenti (TTIP), strumento di penetrazione del capitale USA in Europa e osteggiato da molti governi, e l’espansione verso est della Nato attraverso la militarizzazione dei confini con la Russia.

L’ansia trapelata dalle parole pronunciate da Kerry a Roma, Londra e Bruxelles in questi giorni è d’altra parte comprensibile, visto che su queste e altre questioni sono emersi da tempo disaccordi e divisioni anche profonde all’interno dell’UE. L’incubo di Washington è legato così all’esplosione delle forze centrifughe che erano state in parte contenute anche dalla Gran Bretagna e che ora rischiano invece di mettere in discussione l’idea stessa di un’Europea ancorata strategicamente ed economicamente agli Stati Uniti.

In sostanza, gli scenari post-Brexit potrebbero riservare il crollo del regime delle sanzioni contro Mosca, l’attenuarsi della spinta verso est dell’Alleanza Atlantica e lo svincolo, da parte di svariati paesi europei, a cominciare dalla Germania, dal rigore dettato da Washington nei confronti della Russia.

Proprio il ruolo tedesco è stato valutato con attenzione nel già citato articolo del New York Times. Nell’escludere di fatto la possibilità che Berlino possa ricoprire in futuro i compiti svolti da Londra a beneficio degli USA, il Times prefigura chiaramente l’emergere di possibili conflitti tra Stati Uniti e Germania, pur mancando di spiegarne la ragione principale, ovvero che anche quest’ultimo paese nutre sempre più ambizioni da grande potenza e i suoi interessi tendono a divergere da quelli americani.

Nella peggiore delle ipotesi per gli USA, infine, l’uscita della Gran Bretagna dall’UE potrebbe ridurre sensibilmente le pressioni sulla Russia, ma anche sulla Cina, favorendo nel medio e lungo periodo il processo d’integrazione economico-strategica dell’immensa regione euro-asiatica. Un’evoluzione, quest’ultima, peraltro già in atto e che rappresenta un’autentica minaccia per gli Stati Uniti e per il miraggio di un mondo unipolare sotto la guida di un’unica grande potenza.

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