Dopo sei anni di tensione altissima Turchia e Israele ristabiliscono le loro relazioni diplomatiche, economiche e di collaborazione. E’ il risultato dell’intesa raggiunta a livelli diplomatici a Roma ieri, annunciata ufficialmente oggi dai premier dei due Paesi, e che sarà firmata domani. Tre i punti fondamentali: 20 milioni di dollari di compensazione da Israele ad Ankara per i morti nel raid del 2010, lo scambio “al più presto possibile degli ambasciatori” e gli aiuti umanitari turchi verso Gaza, nonostante il blocco navale resti pienamente in vigore, come ha sottolineato il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Il premier turco Binali Yildirim ha ufficializzato l’accordo per la normalizzazione dei rapporti e ha annunciato che “gli ambasciatori saranno inviati nei rispettivi Paesi prima possibile” ed ha poi annunciato alcuni dei punti previsti, tra cui il pagamento da parte di Israele di 20 milioni di dollari di compensazione ad Ankara per il sanguinoso blitz delle teste di cuoio israeliane contro la nave turca “Mavi Marmara” – parte di una flottiglia umanitaria internazionale diretta a Gaza, la ‘Freedom Flotilla’ – costato la vita a dieci cittadini turchi nel 2010 uccisi dai militari di Tel Aviv.
Nell’ambito delle condizioni dell’accordo, che è stato raggiunto dopo anni di negoziati e le scuse ufficiali da parte di Netanyahu, anche la rimozione del blocco navale alla Striscia di Gaza, condizione che Israele ha però bocciato. “Si tratta di una questione di massima sicurezza per noi, e non ero disposto a scendere a compromessi”, ha spiegato Netanyahu, in visita a Roma. Israele afferma che una revoca del blocco potrebbe portare ad un contrabbando di materiale bellico utilizzabile da Hamas o da altre milizie palestinesi ma in realtà è più che evidente che la misura, imposta a partire dal 2007 e che ha causato enormi sofferenze alla popolazione della Striscia, costituisce una delle tante misure belliche attuate dal paese occupante contro una parte del territorio palestinese.
Sulla vicenda è stato raggiunto un compromesso che consentirà alla Turchia di portare aiuti umanitari attraverso il porto israeliano di Ashdod e non direttamente ai Territori palestinesi occupati e il completamento dell’ospedale di Gaza con 200 posti letto al più presto possibile, oltre alla costruzione di una nuova centrale elettrica e di un impianto di desalinizzazione dell’acqua per renderla potabile. “A questo proposito la nostra prima nave carica di oltre 10mila tonnellate di aiuti umanitari partirà per il porto di Ashdod venerdì”, ha aggiunto il premier turco. Yildirim ha informato che l’Amministrazione turca per lo sviluppo edile (Toki) ha già un progetto di costruzione di edifici a scopo residenziale nella Striscia di Gaza.
In cambio le autorità turche si sono impegnate a non sostenere e permettere azioni contro Israele da parte di Hamas (che fa parte, come l’Akp, della Fratellanza Musulmana internazionale e che la Turchia sostiene) a partire dal territorio di Ankara. I dirigenti di Hamas potranno però continuare a svolgere regolarmente le loro attività politiche in Turchia. Secondo le indiscrezioni di stampa il presidente turco Erdogan si sarebbe anche impegnato ad ottenere la cooperazione di Hamas nella ricerca di quattro cittadini israeliani che risultano dispersi, due dei quali sarebbero militari di Tel Aviv uccisi durante l’operazione ‘Margine protettivo’ e altri due presunti civili tenuti prigionieri dall’organizzazione palestinese.
Di certo, oltre alle questioni diplomatiche, la normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Israele avrà anche un forte impatto sulle economie dei due Paesi. Il primo ministro israeliano Netanyahu ha detto oggi che l’accordo avrà conseguenze “immense” per l’economia di Israele, paese sempre più isolato e mal tollerato sia da parte degli Stati Uniti che dell’Unione Europea. Secondo alcuni analisti il cosiddetto “stato ebraico” troverebbe in Ankara un potenziale acquirente del proprio gas.
Dell’intesa si sono interessati anche Abu Mazen, presidente palestinese, e il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Il primo, in una conversazione telefonica con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha espresso soddisfazione per gli sviluppi. Il secondo, ha accolto l’accordo per la normalizzazione delle relazioni tra Turchia e Israele come un “segnale di speranza per la stabilità della regione”.
La raggiunta pacificazione tra Ankara e Tel Aviv sembra far parte di una strategia più generale sia da parte di Israele che della Turchia, che riprendono la collaborazione in virtù del reciproco crescente isolamento e in nome dei comuni interessi e dei comuni nemici in Medio Oriente. Entrambi i paesi infatti guardano con preoccupazione all’incremento del ruolo russo in Medio Oriente dove il massiccio intervento militare del settembre scorso in Siria ha dato man forte ad Iran ed Hezbollah contro le organizzazioni jihadiste sostenute direttamente dalla Turchia e indirettamente da Israele. Per placare le acque, agitatissime con la Russia dopo l’abbattimento di un caccia di Mosca da parte dell’aviazione turca alcuni mesi fa, ora il regime islamo-nazionalista di Ankara sembra disponibile a venire a patti pur di recuperare il fondamentale rapporto con un paese chiave nella regione.
Il presidente russo Vladimir Putin ha ricevuto infatti un messaggio da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan in cui questi “esprime l’interesse a normalizzare la situazione legata alla morte del pilota militare russo” abbattuto dall’aviazione turca il 24 novembre 2015, esprimendo “la propria vicinanza e le sue profonde condoglianze alla famiglia del pilota, e ha detto ‘scusate'”: lo ha dichiarato un portavoce del Cremlino.
Nei giorni scorsi l’amministrazione russa aveva comunque già informato che aveva invitato il Ministro degli Esteri turco a partecipare al prossimo summit dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica nel Mar Nero che si terrà il prossimo primo luglio a Sochi.
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