L’ex ras del battaglione neonazista Pravyj Sektor (PS) e attuale leader di “Iniziativa statale Jarosh”, il deputato (!) della Rada suprema Dmitro Jarosh, ha dichiarato che gli ideali (!) di euromajdan non sono stati ancora raggiunti e che i suoi squadristi sono pronti ad “affogare l’Ucraina nel sangue. Non ci sono grossi problemi a eliminare qualsiasi potere e il potere, oggi, purtroppo è debole. Ma aprire ora un altro fronte non è troppo vantaggioso. Conosciamo bene la storia: non appena gli ucraini cominciano a combattere su due-tre fronti, vengono sconfitti”. Già che c’era, Jarosh ha di nuovo esortato a risolvere la questione del Donbass, ovviamente alla maniera dei battaglioni neonazisti.
A proposito di PS, l’ex analista della CIA, Raimond McGovern, “rivela” ora che è stato foraggiato di armi e denaro (roba da non credere!) dai servizi segreti USA. In un’intervista a Neues Deutschland, McGovern, ora attivista del movimento pacifista, ma dal 1963 fin quasi al 1990 addetto al settore Unione Sovietica della CIA, afferma che è stupido, da parte dell’occidente, demonizzare Putin; i russi, dichiara McGovern, non potevano non essere spaventati dal colpo di stato in Ucraina, realizzato dai “centri nevralgici” americani e ricorda anche il colloquio captato e pubblicato su youtube, tra Victoria Nuland e l’allora ambasciatore USA a Kiev, Geoffrey Pyatt. In esso, oltre al colloquiale francesismo del “fuck the UE”, l’inviata del Dipartimento di stato disse anche che “Jats è il nostro uomo”, intendendo il giovane banchiere che Washington voleva innalzare alla carica di primo ministro: Arsenij Jatsenjuk. E’ da stupidi pensare che majdan sia stata provocata dalla delusione per il rinvio dell’associazione alla UE, continua McGovern: “sin dall’inizio là hanno lavorato i servizi segreti. Ricordate gli spari dai tetti a Kiev: cecchini ben addestrati sparavano con armi americane su poliziotti e manifestanti”.
CIA e NSA, afferma l’ex analista, sostenevano “PS con soldi, armi e formazione; quel golpe è costato al nostro governo 5 miliardi di $: il putsch più manipolato dall’esterno della storia dell’umanità”. Naturalmente, quanto detto ora da McGovern, scrive Pravda.ru, non era più un segreto da tempo, anche se fa sempre sensazione ascoltarlo da uno degli “addetti ai lavori”; così come non era un segreto il disegno USA, risalente alla caduta del muro di Berlino, di realizzare una base navale in Crimea e così come non era un segreto il piano della CIA per trasformare PS da movimento in partito, con sezioni diffuse in tutta l’Ucraina, al cui scopo la Nuland aveva promesso lo stanziamento di 10 milioni di $. L’affare non andò in porto, perché gli USA esigevano la smilitarizzazione di PS dopo le elezioni presidenziali: con cosa sarebbero andati a massacrare i civili nel Donbass?
D’altronde, la majdan ucraina, oltre all’effetto diretto sulla situazione interna, rivestiva un ruolo esterno ben più sostanziale e nei piani della CIA erano prese in considerazione le alternative: una majdan sotto le mura del Cremlino, oppure la guerra contro la Russia. Negli ultimi tempi, scrive Politonline.ru, si è fatta più intensa l’attività della società di consulting Booz Allen Hamilton, che collabora con vari dipartimenti del governo USA e in cui aveva lavorato a suo tempo Edward Snowden. Una delle sezioni della BAH è impegnata nelle analisi delle attività finanziarie dei cosiddetti “regimi infami”, dei loro agenti e dei soggetti non governativi, oltre che nello studio della legislazione e dei dati economici del dato paese, per sottoporre al Presidente del Comitato dei capi di Stato maggiore riuniti proposte di sanzioni finanziarie mirate, o anche possibili piani militari.
Il sito Svobodnaja Pressa riporta l’esempio della società di intelligence Stratfor, definita “CIA ombra”, che pronostica un aumento delle proteste di piazza in Russia, legate alle difficoltà economiche (soprattutto i bassi salari) e innescate da presunte “falsificazioni alle prossime elezioni parlamentari di settembre”. A onor del vero, nota Svobodnaja Pressa, Stratfor sottolinea come sia molto improbabile che il potere falsi le elezioni: di conseguenza, non ci sarà alcuna “scintilla” da cui scaturisca la “fiamma della rivoluzione”; ed evidenzia anche come il rating di Vladimir Putin si mantenga ancora stabile all’80% dei consensi. Gli analisti della BAH hanno recentemente rivisto anche l’assioma secondo cui la leadership russa godrebbe solo dell’appoggio dei poveri e delle persone poco istruite: in base a uno studio condotto tra le élite russe, è risultato che anche queste si dichiarano d’accordo con il corso presidenziale.
Che la crisi sia profonda e duri già da qualche anno, con bassi salari, pensioni misere e disoccupazione, è un dato di fatto che i comunisti russi denunciano da tempo; che ciò però porti a larghe proteste di massa, del tipo di quelle di piazza Bolotnaja a Mosca nel 2011-’12 o di una “majdan russa”, cui sta lavorando Washington, è più che dubbio. Anche perché le agitazioni organizzate dal PC di Gennadij Zjuganov, come pure da altre organizzazioni comuniste, sono dirette, per ora, al soddisfacimento di rivendicazioni economiche e a chiedere le dimissioni dei ministri liberali del governo Medvedev, ma mettono in discussione solo alcune scelte del presidente Putin. Secondo Andrej Manojlo, dell’Università statale di Mosca, la probabilità di proteste di massa in Russia potrebbe dipendere proprio dall’andamento delle elezioni di settembre; anche se giudica ormai non proprio attendibili le conclusioni della Stratfor che, a suo parere, avrebbe perso molta della scrupolosità di indagine di un tempo. Manojlo, ricordando lo scenario ucraino, ricorda come le proteste iniziali a Kiev furono innescate da una forte carica di aspettative (ingresso nella UE) gonfiate ad arte e poi “deluse”. In Russia, tale corso di eventi potrebbe essere rappresentato, appunto, dall’attesa dell’affermazione di candidati “popolari” e poi dal loro sorpasso, manovrato, ad opera di candidati “non graditi”, ma sponsorizzati dal governo: ciò potrebbe forse portare a una Bolotnaja-2 o a una sorta di majdan e l’occidente sta certamente lavorando in tal senso, afferma Manojlo, dicendosi certo che il fattore economico non rivesta un ruolo determinante nelle possibili proteste. Ciò che più vogliono oggi i russi, dice, è un governo socialmente orientato verso il popolo e ciò è direttamente legato alle attese elettorali.
Tale visione è condivisa dal politologo Pavel Svjatenkov che, al pari degli analisti del Centro Levada di indagini sociologiche, qualifica il rapporto Stratfor come un tentativo di pressione sulla Russia: in occidente ritengono che se le elezioni saranno “pulite”, allora vincerà l’opposizione; ovviamente, quella liberale. Certo è che, sostiene Svjatenkov, nella situazione di crisi economica attuale, se si ripeteranno risultati in cui “Russia Unita” (il partito presidenziale) otterrà il 95% o più, allora a molti il voto apparirà “strano” e ciò potrebbe davvero innescare larghe proteste. Altri sociologi però, scrive Pravda.ru, non escludono che, a causa della crisi, il popolo si stringa attorno al Presidente: Stratfor spiega il fenomeno con la ricerca del “nemico esterno”, cui si aggiungono i successi militari in Siria, che hanno accresciuto i sentimenti patriottici.
“Le posizioni del partito al potere sono abbastanza solide” dice il vice direttore del Centro Levada, Aleksej Grazhdankin “e non avrebbero senso falsificazioni del voto. Non ci sono segni di malcontento, così come non c’erano nel 2014, durante majdan: la gente, anzi, era spaventata dal quadro cui possono condurre simili azioni e, da allora, non c’è più voglia di scendere in piazza”. Secondo i rilevamenti del Levada, il 74% degli intervistati giudica improbabili anche semplici proteste contro la caduta del livello di vita e l’82% dice che, anche se queste ci fossero, non vi prenderebbe comunque parte. In ogni caso, a parere del dirigente del Fondo per lo sviluppo della società civile, Konstantin Kostin, forze che guardano a uno scenario da “rivoluzione arancione” in Russia esistono, ma non hanno forza: “Ci sono personaggi del mondo della politica, che non godono di alcun serio appoggio nella società, ma che vorrebbero molto salire al potere. Molti di loro vivono all’estero e sono ben consapevoli del fatto che, nel quadro del processo consultivo previsto dalla Costituzione e dalle norme elettorali, non hanno alcuna chance: nessuno li voterebbe. Il desiderio di salire al potere è così forte che l’unico scenario che rimane loro è quello illegittimo”.
In questo senso, la campagna elettorale per la Duma, da tempo iniziata, sembra offrire un’occasione in più, alle forze “democratiche” che premono ai confini russi, per mettere un piede al di qua della frontiera, mentre gli scarponi chiodati segnano il passo dal baltico al mar Nero.
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