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27/06/2016

Heat or eat? Due appunti sul voto inglese

Ho avuto modo di vivere nella «parte povera» del Regno Unito, nel Nord Ovest dello Yorkshire in una delle tante sfaciatissime cittadine (sarebbe meglio definirli ghetti) di proletari inglesi e immigrati polacchi, dove lavoravo in una fabbrica del posto.

Non ho alcuna pretesa di fare un «analisi del voto», altri ben più preparati di me sapranno farla molto meglio, tuttavia avendo vissuto e lavorato qualche anno proprio con quelle persone, quella classe sociale che ha votato per l’uscita dalla UE, non mi trovo d’accordo col la vulgata massmediatica in corso.

Prima di tutto guardiamo bene questi due grafici:



Nel grafico a sinistra abbiamo i dati relativi alla disoccupazione in quello a destra i dati relativi al referendum Brexit.

Confrontandoli possiamo notare che, Scozia a parte, i voti a favore dell’uscita dalla UE, sono più numerosi nelle zone con il più alto tasso di disoccupazione.

Prima di tutto bisogna tenere conto di cosa si parla quando si dice «Ha vinto l’Inghilterra più povera e meno istruita», o di «giovani dal futuro rubato dai vecchi» «nuovi fascismi/, populismi» o altre amenità.

Prendiamo il caso dello Yorkshire (Yorkshire & the Humber), che è proprio il posto in cui ho vissuto io. Se togliamo i due grossi centri urbani – York, dove il 58% ha votato per il remain e Leeds, dove i voti a favore del remain sono stati del 50,3 % – nei centri urbani minori, dove vivono le fasce più povere della popolazione, le cose sono andate diversamente e la maggior parte dei voti sono stati per il leave.

A votare per il leave è stata la parte più povera della popolazione, quella che ha conosciuto sulla propria pelle un decennio di fame (nel vero senso della parola) dovuto alla chiusura delle miniere che erano la principale fonte di reddito di tutta la zona, e che, ora, paga sulla propria pelle il prezzo dell’austerity, dei “sette anni di dolore”, di tagli al welfare e alla spesa pubblica, annunciati da David Cameron al congresso dei conservatori di Manchester nell’ottobre del 2013.

Questo ha voluto dire, per intere persone e famiglie, che integrano un magro reddito attraverso i benefits, o il cui reddito, molte volte, sono i benefits stessi, vedersi negare il sussidio di disoccupazione se non accettavano un lavoro con il famigerato «contratto a zero ore» (I contratti a zero ore sono quelli che non garantiscono il pagamento di un numero fisso di ore lavorate, e per questo sono diffusi soprattutto tra le donne, i giovani e gli over 65; al momento nel Regno Unito questo tipo di contratti riguarda circa 1,4 milioni di persone), vedersi ridurre ulteriormente il benefits cap (il limite massimo al sussidio annuale destinato alle decine di migliaia di famiglie del Regno Unito), o che vivono sotto la soglia di povertà, attraverso il taglio di 7 miliardi di sterline definita dal governo «la più grande riforma dello stato sociale degli ultimi 60 anni», a cui si aggiunge una riduzione di 1 miliardo e centomila sterline del budget del servizio sanitario nazionale.

A votare per il leave è stata quella parte di popolazione che non ha accesso a una scolarizzazione decente visto che, in questa situazione, studiare vuol dire accollarsi un prestito del governo da restituire una volta laureati, dover interrompere gli studi a causa della maternità, oppure andare a lavorare da subito in uno dei tanti supermercati della zona, che nel West Yorkshire sono, oggi, la principale fonte di lavoro.

A votare per il leave sono stati quei pensionati che prendono 480 sterline mensili di BSP (Basic State Pension) e che arrancano grazie ai childs benefits dei nipoti, se hanno la fortuna di vivere con i figli.

E’ stata quella gente per cui l’inverno è «Heat or eat»: scaldarsi o mangiare, perché i sussidi o una pensione da fame non permettono tutte e due le cose insieme.

Sono stati quelli che hanno sperimentato sulla propria pelle il risultato di affidare l’assistenza locale ad associazioni di volontariato, con il risultato che in una zona come il West Yorkshire, piagato dalla tossicodipendenza, il massimo della soluzione accessibile è qualche associazione che ti regala una busta di acido citrico in polvere; o in posti come Selby, oppure Doncaster (noti per l’alto numero di violenze familiari), non c’è alcun centro anti-violenza degno di tal nome.

Secondo me, se si vuole analizzare il risultato del referendum nel regno unito bisogna tenere conto di questo, riconoscere che questo voto ha avuto una connotazione di classe ben precisa.

Appiattirsi sul discorso dell'«avanzata delle destre populiste», ridurre il discorso allo UKIP o insieme qualche esponente conservatore che ha “frondato” e che insieme han preso per il culo il sottoproletariato pezzente e razzista significa anche negare o non sapere che tutta la sinistra inglese, escluso il Labour, era a favore del leave. Sono stati infatti i principali partiti della sinistra inglese a formare la «Lexit» (Left Leave Campaign), ossia la piattaforma che, in questo ultimo anno, si è occupata della campagna per il leave.

Non a caso la maggior parte dei voti per il leave arriva dalle «roccaforti rosse», dove tradizionalmente è forte la presenza del Labour o del Socialist Workers Party.

Il labour partito della sinistra europeista, liberista e complice della macelleria sociale in corso, ha capito (forse) che il remain non è così scontato solo dopo le dimissioni di Ed Miliband in seguito alla sconfitta elettorale di maggio 2015 e nel pieno del dibattito sulla Brexit, sceglie il nuovo segretario Jeremy Corbyn – «il radicale», «quello di sinistra» (l’unico presentabile tra i laburisti). Sarà la vittoria di Corbyn alle primarie (visto il personaggio) a far capire al Labour che non tutto andrà per il verso giusto.

Corbyn si giocherà la faccia cercherà di recuperare, inutilmente, i voti della base dichiarandosi a favore del remain, arrivando a fare il famoso «appello urgente» del 14 giugno (“Abbiamo solo nove giorni per convincere i sostenitori del Labour a votare Remain”); proprio lui, noto per essere uno tra i pochi a essere contrario all’austerity e da sempre «euroscettico»

Ma, così come non è servita a nulla la campagna terrorista e catrastofista dei tories, non sono serviti nemmeno i commoventi appelli di Corbyn, che prima di essere segretario del labour era uno dei più critici verso l’Austerity e l’Unione europea.

In una situazione di povertà, che in questi anni non ha fatto che peggiorare, la gente, quella gente, ha votato contro i principali responsabili della loro condizione sociale: Cameron, Osborne e i suoi tagli al welfare, il labour che spera di metterci una pezza attraverso il suo utile idiota.

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