Al momento dei ballottaggi, il Pd era presente in tutte le sfide tranne Napoli, il centro destra in tre (Milano, Bologna e Napoli), il M5s in due (Roma e Torino) e a Napoli c’era la “civica di sinistra” di De Magistris, per cui il dato aggregato dei candidati ammessi al ballottaggio, divisi per partito, era il seguente:
Pd 778.786
M5s 579.434
C.Dest. 354.986
civ. sin. 172.710
mentre i voti dei candidati esclusi dai ballottaggi ed “in palio” per le sfide finali assommavano a 914.730. Ovviamente è possibile che ci sia un gettito aggiuntivo di elettori che non hanno votato o hanno deposto scheda bianca al primo turno, ma è realistico che si tratti di flussi assai modesti, per cui ragioneremo come se i voti siano tutti di elettori che hanno votato al primo turno.
Il risultato dei ballottaggi aggregato è il seguente:
Pd 894.203
M5s 973.328
C.Destra 408.880
Civica sin. 185.907
Dunque, dei 914.730 voti “in palio” 336.888 (36,85% sul totale) si sono astenuti o hanno votato bianca/nulla, mentre quelli che hanno votato, si sono distribuiti così:
Pd 115.417 (12,62% sul totale dei voti in palio)
M5s 393.894 (43,12%)
C.Destra 53.894 (5,89%)
Civica sin. 13.907 (1,52%).
Il che dice con ogni evidenza che chi ha fatto da “asso prende tutto” è stato il M5s che si conferma il partito preferito nei ballottaggi (e, infatti, nei ballottaggi dei centri minori in cui era presente ha vinto 19 sfide su 20), mentre un’altra quota rilevante preferisce astenersi e le briciole vanno al Pd (con un misero 12,62%) ed al centro destra (con un miserrimo 5,89% che però potrebbe nascondere flussi incrociati di cui diremo).
Dunque, in generale, il M5s cattura gran parte del voto di centro destra disponibile, con una parte maggioritaria del voto delle liste di sinistra e qualcosa delle liste minori che hanno ottenuto dal 2% in giù).
Al contrario, gli elettori M5s che non hanno candidati al ballottaggio, in netta maggioranza si astengono, mentre quelli che votano nelle competizioni Pd/ destra preferiscono più spesso i candidati della destra, ma in misura molto modesta e non sempre.
Non sappiamo come si comporterebbero gli elettori del Pd in una competizione fra destra e M5s perché non abbiamo campioni significativi nemmeno per i centri minori. Quindi il primo dato è che il sistema a doppio turno premia massicciamente il M5s, mentre il Pd vince i ballottaggi solo quando lo sfidante è di centro destra (Milano e Bologna). Si può pensare che questo accada nei maggiori centri urbani, ma il dato dei centri minori conferma in pieno la tendenza a favore del M5s.
Come spiegare il diverso comportamento degli elettori del centro destra (che premiano massicciamente il M5s) rispetto a quello dei M5s che si astengono? Fenomeno complesso che ha più di una spiegazione. Vediamo i due casi delle sfide Pd-destra in cui il M5s poteva essere determinante.
Il caso bolognese (dove Merola del Pd ha preso 15.000 voti in più) fa pensare che una piccola parte dell’elettorato 5s sia andato ad ingrossare un bottino che presumibilmente è in buona parte proveniente dai 12.200 della civica di sinistra di Federico Martelloni e da alcune piccole liste di sinistra che avevano totalizzato 4.500 voti. La candidata della Lega ha raddoppiano i consensi (+ 30.853) attingendoli in buona parte dai 18.188 della civica di Manes Bernardini (un dissidente della Lega) e per il resto, presumibilmente dai 28.889 del M5s, ma realisticamente non molto di più della metà di essi. Dunque, qui le liste di sinistra hanno fatto corpo rispetto alla candidata Leghista, mentre il M5s si è diviso fra astensione e voto anti Pd (cioè TTR).
Più complesso il caso milanese, dove Parisi, dopo aver sorprendentemente affiancato Sala nel primo turno (con soli 5.000 voti in meno), ha perso terreno, aumentando il differenziale a favore di sala a 17.000 voti. Sala ha preso 40.000 voti in più sul primo turno (42.9% dei voti in palio) contro i 27.834 (29,6%) presi da Parisi. E’ realistico calcolare che una parte dei voti aggiuntivi di Sala venga dai 10.000 dei radicali (che si erano apparentati), da una porzione minoritaria ma non inconsistente dei quasi 20.000 della lista di sinistra di Basilio Rizzo che aveva dichiarato di preferire Sala, qualcosa sarà venuta dai circa 11.000 dei candidati minori, ma è matematico che una parte non piccola venga dal M5s: considerando che il 60% di radicali e sinistra abbiano votato Sala (dunque intorno ai 20.000) e che altri 3-4.000 vengano dai candidati minori, è matematico che i rimanenti 15-16.000 vengano dal M5s.
Vice versa, i 27.834 di Parisi è ragionevole che provengano per un terzo da liste minori e qualche flusso di radicali e sinistra, mentre dal M5s vengano intorno ai 18-19.000 voti. Cioè una quantità praticamente pari a quella andata a Sala. Radicali e seguaci di Basilio Rizzo sono stati determinanti, ma al pari di questo flusso del M5s che ha sostanzialmente annullato quello a favore di Parisi. Qui non si può parlare di TTR (Tutti Tranne Renzi), dato che la maggioranza del M5s si è astenuta e per il resto si è diviso più o meno alla pari. Va però tenuto presente che in alcune zone Parisi ha preso meno voti che al primo turno (in particolare nelle zone 8, 6, 2), il che fa pensare ad una possibilità di “fuoco amico” cioè franchi tiratori di destra, ma, per dirlo con sicurezza occorrerebbe uno studio di dettaglio dei flussi a livello di sezione elettorale. Ovviamente, in questo caso, il flusso in uscita (presumibilmente 6-7.000 voti calcolati con molta approssimazione) potrebbero “coprire” altrettanti voti di provenienza M5s. Una ipotesi da indagare ulteriormente.
Vive versa, l’elettorato di destra è confluito plebiscitariamente sulla Raggi e, soprattutto, sulla Appendino la cui performance è stata semplicemente spettacolare a Torino dove ha catturato l’81% dei voti in palio. Ed è realistico che buona parte dell’elettorato di sinistra sia a Roma che a Torino abbia preferito le candidate del M5s.
Allora, possiamo parlare di TTR pieno nel caso del flusso destra-M5s, abbastanza chiaro in quello sinistra-M5s, ma più contenuto e contraddittorio in quello M5s-centro destra. Come spiegarlo?
In primo luogo, l’elettorato di centro destra, in grande maggioranza non si configura come antisistema e vota in una logica interna ad esso, per cui fa un uso tattico del suo voto, preferendo, più che far vincere il M5s, far perdere il Pd visto come l’avversario principale. In questo senso si può parlare di un partito del TTR (Tutti Tranne Renzi). Vice versa, l’elettorato M5s si definisce come antisistema, per cui vota il proprio partito altrimenti preferisce astenersi ritenendo gli altri candidati come equivalenti e non fa un uso tattico del voto preferendo attestarsi su una posizione di principio. E’ interessante notare che a Napoli De Magistris (che potrebbe essere ritenuto come più affine al M5s) prende solo 13.000 voti in più sui 137.000 disponibili e il M5s aveva ottenuto 38.863: se anche quei 13.000 voti fossero proprio tutti del M5s, comunque i 2/3 degli elettori grillini non avrebbe vogato il sindaco.
A questa ragione principale direi che andrebbero aggiunte considerazioni di minor peso: ad esempio, l’elettorato grillino è in buona parte raggiungibile via Web, ma, mentre il Pd ha una presenza in questo campo, anche se minore di quella del M5s, il centro destra è quasi del tutto assente, dunque non riesce a contrastare la propaganda Pd in questo settore. Né va trascurato che l’elettorato del M5s ha una provenienza ed una identità prevalentemente di sinistra, per cui è sensibile a temi come l’antifascismo. Infine, l’elettorato grillino, come si sa, è fortemente legalitario e moralista e, se questo spesso preclude il voto al Pd, ancora più spesso lo preclude allo schieramento associato alla figura del Cavaliere.
Pertanto, credo che questa tornata di amministrative dispensa queste “morali”:
A) ormai è chiaro che, stanti questi rapporti di forza, in caso di sistema elettorale a doppio turno, il M5s riesce ad entrare in ballottaggio (salvo una ripresa della destra, ma la questione la discuteremo a parte) e, dopo, riesce a battere sistematicamente il Pd;
B) si conferma che il Pd ha la maggioranza relativa delle simpatie, ma la maggioranza assoluta degli odi e che ormai è totalmente identificato con il suo leader;
C) che, come era facile prevedere da chiunque fosse in buona fede ed avesse un qi normale, non si è votato sui sindaci ma sul governo e sulla politica nazionale;
D) che questa tornata è stata una prova generale del referendum che sarà, più ancora che un voto sulla riforma costituzionale, un voto su Renzi e questo è l’asse che il No deve tenere per vincere;
E) che inizia il declino di Renzi (anche se non si deve mai vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso) che inizierà ad avere forti dissensi interni (non solo della sinistra). Per ora riuscirà a difendersi grazie al risultato milanese regalatogli da Marco Cappato e Basilio Rizzo che sono i suoi benefattori. Ora si prepara lo scontro decisivo di ottobre.
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