Il 19 giugno 1946 il leader socialista
Pietro Nenni riassumeva così nel suo diario la giornata parlamentare di
quel giorno: “Oggi Consiglio dei Ministri per elaborare il testo
dell’amnistia (…) Tendenza di De Gasperi: mettere fuori tutti i
fascisti. Tendenza di Togliatti: mollarne il meno possibile”. Il testo
di legge che fu approvato appena tre giorni dopo rispecchiava questa
seconda impostazione. Il Pci, scrive lo storico Mimmo Frassinelli,
“voleva trasformarsi in partito di massa, e aveva la necessità di
rompere il ghiaccio con quei settori della società italiana che avevano
servito il regime”.
Il segretario del Pci Palmiro Togliatti
era all’epoca il Ministro della Giustizia ed era laureato in
Giurisprudenza. Volle scrivere di suo pugno la legge, contrariamente a
quanto spesso si è letto sul fatto che sarebbero stati i funzionari
ministeriali a ispirarla, “fregando Togliatti” (come ebbe a dire Pietro
Secchia). I funzionari e i magistrati, spesso di provenienza fascista,
furono però quelli che una volta chiamati ad applicare la legge ne
utilizzarono tutte le ambiguità per darne un’interpretazione molto
“benevola”: in appena quattro giorni la Corte d’Assise di Roma scarcerò
ottantanove fascisti accusati di collaborazionismo o di altri gravi
reati.
L’elenco dei criminali che sarebbero
stati liberati è impressionante: si va da Grandi a Federzoni, da Bottai a
Scorza, da Alfieri a Caradonna, da Acerbo ad Ezio Maria Gray, da Renato
Ricci a Giorgio Pini, da Teruzzi a Junio Valerio Borghese, da Cesare
Maria de Vecchi ai collaboratori della banda Koch. Il caporione del Msi
Giorgio Almirante nel 1974 scriverà: “Sarebbe ingeneroso non ricordare
l’amnistia voluta da Togliatti per i fascisti”. E sarebbe stato davvero
ingeneroso dato che due terzi dei parlamentari del Msi ne avevano
beneficiato. La legge permetteva agli amnistiati perfino di ricoprire
cariche pubbliche.
L’amnistia suscitò ovviamente grande
sconcerto e indignazione negli ambienti della Resistenza: in tutto il
nord vi furono rivolte, manifestazioni di protesta, appelli e petizioni.
Molti partigiani proposero di riprendere le armi e tornare in montagna.
In provincia di Cuneo decine di ex combattenti si asserragliarono per
più di un mese nel paesino di Santa Libera. A Casale Monferrato, nel
1947, fu necessario l’intervento dei carri armati, la mediazione del
leader della Cgil Di Vittorio e la promessa che non sarebbe stata
concessa la grazia per calmare gli animi durante il processo ad alcuni
criminali fascisti.
Abbiamo visto uscire – disse Sandro
Pertini – quelli che hanno “incendiato villaggi e violentato donne”. E
in effetti le sentenze pronunciate dai tribunali hanno del clamoroso:
comandanti di plotoni d’esecuzione assolti per non aver sparato e
violentatori condannati solo per “oltraggio al pudore”.
I commenti più duri vennero dal Partito
d’Azione. Ernesto Rossi definì la legge “una dimostrazione di
imbecillità e incoscienza”, mentre Piero Calamandrei “il più insigne
monumento all’insipienza legislativa”.
Quel che è certo è che il Pci di
Togliatti nell’immediato dopoguerra giocò un ruolo decisivo nella
smobilitazione delle migliori energie della Resistenza mettendo le basi
per quella lunga repressione antipopolare che parte dalle elezioni del
18 aprile 1948 e si conclude solo negli anni ’60.
NOTA
Cfr. l’articolo di Nello Ajello su Repubblica del 21 giugno 2006 e il libro “L’amnistia Togliatti” di Mimmo Franzinelli
Nella foto: i torturatori
fascisti della “Banda Carità” accolgono l’applicazione dell’amnistia
esultando e salutando “romanamente” durante il processo tenutosi a Lucca
nel 1951.
Nello Gradirà
Altro che "qualcuno era comunista perchè abbiamo avuto il peggior partito socialista d'Europa"...
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