Eppure si tratta di un episodio gravissimo, una strage da addebitare direttamente al governo del liberista Pena Nieto e ai suoi apparati repressivi. Gli stessi coinvolti nella strage degli studenti ‘normalistas’ della scuola rurale di Ayotzinapa, quando nella notte tra il 26 e il 27 settembre del 2014 decine di adolescenti che protestavano contro l’esecutivo locale e statale vennero rapiti e uccisi da esponenti delle forze di sicurezza in combutta con l’esercito e alcune bande di narcos. A neanche due anni di distanza il terrorismo di stato si è scagliato di nuovo contro il mondo della scuola, ma questa volta prendendo di mira gli insegnanti.
All’inizio i media occidentali hanno preso per buona la confusa versione di comodo diffusa dalle fonti del governo di Città del Messico, dedicando alla vicenda poche e scarne righe: ‘sconosciuti’ avrebbero aperto il fuoco contro i maestri e i poliziotti che si fronteggiavano, causando alcuni morti e feriti.
Bastavano le immagini diffuse dai media indipendenti messicani per dimostrare che a sparare sui manifestanti sono stati cecchini e agenti e che alcuni reparti di polizia avevano a disposizione anche armi di grosso calibro, e che il bilancio della strage è assai più alto di quello ammesso inizialmente dalle autorità. In totale, finora, 12 morti, un centinaio di feriti di cui alcuni gravi, 25 desaparecidos e un centinaio di arrestati.
Si parla di dieci morti solo ad Asunciòn Nochixtlan, maestri e attivisti sociali che protestavano contro il governo nello stato messicano meridionale dell’Oaxaca. Sette sono stati uccisi dagli spari domenica mattina e un’altra persona è stata uccisa da un ordigno esplosivo, ha spiegato il capo della procura di Oaxaca, Joaquin Carrillo. A queste otto vittime occorre aggiungerne altre due uccise in un episodio distinto sempre ad Asuncion Nochixtlan, quando la polizia ha sostenuto di essere stata sorpresa da un’imboscata realizzata da un gruppo armato non meglio definito dopo che gli agenti avevano smantellato alcune barricate erette dai maestri che protestano contro la ‘riforma’ dell’istruzione. Al macabro conteggio la corrispondente di TeleSur in Messico ha aggiunto un’altra vittima ad Hacienda blanca ed un’altra ancora a Juchitàn, due altre località dell’Oaxaca.
Secondo Carrillo tra i morti non ci sarebbero insegnanti, ma i sindacati dei docenti in lotta dicono il contrario, che si tratta di loro colleghi o di studenti falciati dalle pallottole sparate dai poliziotti che hanno sparato deliberatamente sulla folla.
La Commissione per la sicurezza nazionale ha inizialmente addirittura negato che gli agenti fossero armati, sostenendo che le foto diffuse dai manifestanti che li raffiguravano armati di pistole fossero “false”.
Ma quando la prima versione ufficiale non ha retto più, la polizia e le autorità hanno ammesso che a sparare sono stati gli agenti della Polizia federale, ma solo perché “provocati” dai maestri che avrebbero sparato per primi, infiltrati oltretutto da “membri di gruppi radicali”, anche in questo caso non meglio identificati.
A subire la violenza dello stato sono stati in particolare i maestri della Coordinadora Nacional de los Trabajadores de la Educaciòn (Cnte) che da mesi stanno protestando, sostenuti dagli studenti e da lavoratori di altri settori, contro le politiche neoliberiste e autoritarie del presidente e del governo del Partido Revolucionario Institucional. La protesta ha di nuovo vissuto una vampata a partire dal 15 maggio, quando la Cnte ed altre organizzazioni hanno ricominciato a realizzare presidi, marce, scioperi, blocchi stradali e occupazioni di edifici pubblici, chiedendo il ritiro della contestatissima riforma del sistema educativo che attraverso la cosiddetta ‘valutazione meritocratica’ dei lavoratori mira ad espellere migliaia di maestri non in linea e ad abbassare i salari. Naturalmente la mobilitazione interessa non solo l’Oaxaca ma tutto il territorio messicano ha visto punte altissime di partecipazione agli scioperi da parte dei docenti e degli alunni, soprattutto in Chiapas, Michoacan e Guerrero.
Gli insegnanti dicono no alla privatizzazione del sistema educativo, chiedono più finanziamenti e aumenti salariali, e chiedono anche una profonda riforma politica dello stato e delle sue istituzioni.
Prima della strage di domenica notte il governo ha cercato in tutti i modi di criminalizzare e fermare la protesta: docenti licenziati, maestri arrestati, manifestazioni caricate violentemente e disperse.
Poi, lo scorso 12 giugno, la decisione di arrestare due leader del sindacato che organizza e catalizza la protesta, Rubén Núñez Ginés e Francisco Villalobos Ricardez, rinchiusi nel carcere di massima sicurezza di Hermosillo, nel nord del paese, con la infamante e falsa accusa di corruzione e appropriazione indebita. L’arresto dei due dirigenti sindacali non solo non ha fermato la protesta, ma anzi ha provocato una nuova esplosione delle mobilitazioni. Per bloccare l’arrivo della polizia federale e dei militari nelle città paralizzate dalla protesta i maestri, i lavoratori di altri comparti e numerosi studenti hanno eretto nei giorni scorsi numerose barricate attaccate con violenza dai reparti antisommossa. Poi, domenica mattina, la carneficina.
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