di Michele Paris
Dopo la strage
nella discoteca di Orlando di dieci giorni fa, il dibattito tra i
politici e sui media negli Stati Uniti sta ruotando attorno alle
circostanze della radicalizzazione del responsabile delle 49 vittime, il
cittadino americano di origine afgana, Omar Mateen. Se il killer aveva
offerto il suo giuramento di fedeltà all’autoproclamato califfo dello
Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, durante l’attacco del 12 giugno, a
contribuire alla sua radicalizzazione in questi anni potrebbero però
essere state forze molto lontane dal fondamentalismo sunnita in Medio
Oriente.
Tra le varie notizie emerse dopo i fatti di Orlando, la
più interessante e potenzialmente ricca di implicazioni è stata
riportata in un’intervista pubblicata da un giornale della Florida
meridionale. A parlare è stato lo sceriffo della contea di St. Lucie,
Ken Mascara, il quale ha rivelato che Mateen era stato da lui segnalato
all’FBI nel 2013 per il comportamento inappropriato che era solito
tenere quando lavorava come guardia di sicurezza per la compagnia
privata G4S in un tribunale della Florida.
Secondo Mascara,
Mateen aveva minacciato di far uccidere un suo vice da al-Qaeda e
inveiva spesso contro donne ed ebrei. Mateen era stato allora messo
sotto indagine da parte dell’FBI e, soprattutto, il “Bureau” aveva
piazzato un proprio informatore al tribunale dove prestava servizio per
cercare di coinvolgerlo in una qualche operazione sotto copertura, che
però non ebbe successo.
Quest’ultima dichiarazione dello sceriffo
della contea di St. Lucie, anche se virtualmente ignorata dai media
ufficiali, è di particolare importanza perché si collega a una pratica
consueta dell’FBI nel post-11 settembre. In altre parole, Omar Mateen,
viste le sue origini, le presunte simpatie per il fondamentalismo
islamico e la probabile instabilità mentale, era stato scelto dalla
polizia federale americana per essere incastrato in un qualche caso di
terrorismo costruito in larga misura a tavolino dallo stesso FBI.
Secondo
la versione ufficiale, l’indagine su Mateen sarebbe stata chiusa dopo
alcuni mesi e il piano di trascinarlo in una finta trama terroristica
lasciato cadere. Tuttavia, i particolari che si conoscono sulle modalità
con cui l’FBI costruisce casi di terrorismo sul suolo americano
sollevano più di un dubbio circa la possibilità che i propri informatori
o agenti sotto copertura abbiano potuto contribuire alla
radicalizzazione di Mateen.
Gli individui che finiscono in questo
modo nella rete dell’FBI sono regolarmente incoraggiati a manifestare
le proprie simpatie per gruppi estremisti come al-Qaeda o l’ISIS, mentre
gli uomini dell’FBI in incognito offrono loro il proprio aiuto nel
reperire armi ed esplosivi, ma anche nell’individuare bersagli da
colpire. Solitamente, i potenziali terroristi vengono arrestati prima di
commettere azioni violente, organizzate però proprio dall’FBI e che per
loro iniziativa non verrebbero mai portate a termine.
Nel
caso di individui che manifestano un disagio psichico o sociale, come
appunto Omar Mateen, non è da escludere che queste operazioni
clandestine dell’FBI abbiano potuto agire da stimolo e concretizzarsi
drammaticamente con le modalità registrate nel gay club Pulse di
Orlando. In questo e in altri casi di terrorismo, ciò aiuterebbe anche a
spiegare il fatto che gli attentatori sono puntualmente già noti da
tempo alle autorità.
Un’altra circostanza quasi del tutto
trascurata dalla stampa “mainstream” negli USA sembra alimentare
ulteriormente questi dubbi. Mateen era ciò in qualche modo in contatto
con Marcus Robertson, ex Marine diventato fuorilegge e poi informatore
del governo americano. Robertson aveva lavorato per la CIA raccogliendo
informazioni in vari paesi sugli estremisti islamici, prima di essere
ufficialmente estromesso dal programma nel 2007.
Tra il 2004 e il
2007 aveva operato sotto copertura anche per l’FBI all’interno degli
Stati Uniti, verosimilmente nel quadro delle operazioni
“anti-terrorismo” sotto copertura descritte in precedenza. Robertson è
oggi a capo di un progetto fondamentalista chiamato “Timbuktu Seminary”
che, secondo alcuni, non potrebbe esistere se non fosse una trappola del
governo per attirare simpatizzanti jihadisti.
Queste perplessità
sono alimentate dal fatto che, per stessa ammissione dell’FBI, non è
stato possibile riscontrare legami o contatti diretti tra Omar Mateen e
l’ISIS. Il presunto processo di radicalizzazione attraversato da
quest’ultimo, indubbiamente sovrappostosi alla situazione di disagio
nella quale viveva da tempo, sarebbe dunque potuto avvenire proprio
grazie alla consolidata rete di informatori operata dall’apparato della
sicurezza nazionale americana, volta sostanzialmente a fabbricare
minacce terroristiche per tenere alto il livello di guardia nel paese.
L’attenzione
dei media d’oltreoceano in questi giorni non si sta in ogni caso
concentrando su questi interrogativi, bensì sulla decisione dell’FBI di
omettere inizialmente il riferimento di Mateen all’ISIS quando è stato
reso noto il contenuto delle sue telefonate al numero di emergenza 911 e
con i negoziatori del governo durante l’attacco alla discoteca di
Orlando.
Sull’FBI sono piovute le critiche soprattutto dei leader
Repubblicani, i quali hanno denunciato un possibile tentativo di
occultare le motivazioni di Mateen. In realtà, proprio l’FBI ha cercato
di promuovere la versione dell’attentato terroristico di matrice
islamista, per mezzo di almeno un’iniziativa che risulta coerente con
gli sforzi del “Bureau” di alimentare la minaccia jihadista negli Stati
Uniti.
Il fidanzato della ex moglie di Mateen ha cioè affermato
in una recente intervista a una televisione brasiliana che l’FBI aveva
chiesto alla coppia di non rivelare alla stampa le probabili tendenze
omosessuali dell’attentatore, nel tentativo appunto di orientare
l’opinione pubblica sulla versione del terrorismo islamista.
Se
i contorni della vicenda appaiono a tratti ancora oscuri, quel che è
certo è che il lavoro dell’FBI e degli organi del governo USA ha
permesso di sfruttare il massacro di Orlando per promuovere una nuova
escalation militare all’estero – ufficialmente contro l’ISIS – e nuove
iniziative anti-democratiche sul fronte domestico.
Infatti, il
presidente Obama, dopo la strage, aveva subito annunciato
un’intensificazione della guerra contro il “califfato” in Medio Oriente,
mentre i due candidati alla sua successione – Hillary Clinton e Donald
Trump – si erano affrettati a promettere rispettivamente un aumento dei
poteri di sorveglianza dell’intelligence e una schedatura di massa di
tutti i musulmani presenti sul territorio degli Stati Uniti.
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