di Francesca La Bella
Pochi giorni dopo l’attentato che ha colpito un autobus militare ad Istanbul, è giunta la rivendicazione dei Falchi della libertà del Kurdistan (Teyrêbazên Azadiya Kurdistan-TAK).
L’azione del 7 giugno 2016 sarebbe stata messa in atto dall’unità
Rojhat-Munzur in memoria di Eser Cali, nome in codice Asya Glidag, morta
il 27 aprile a Bursa durante un attacco suicida che non avrebbe
raggiunto il suo obiettivo, ma che ha provocato 8 morti e il decesso
dell’attentatrice.
Gli attacchi di Bursa ed
Istanbul non sono, però, isolati e seguono di pochi mesi le azioni
all’aeroporto Sabiha Gokcen di dicembre 2015 e gli attentati di Ankara di febbraio e marzo 2016 che hanno sancito il ritorno nella scena politica turca del TAK.
A fronte di numerose vittime civili in tutti gli ultimi attentati,
nella rivendicazione pubblicata sul proprio sito, il TAK afferma di non
avere questi ultimi come target ed imputa la responsabilità delle morti
alle politiche del Governo AKP contro il popolo curdo nel sud della
Turchia. In quest’ottica, se da un lato il gruppo afferma che la
popolazione turca, laddove silente rispetto alle politiche del Governo,
potrebbe subire le conseguenze delle guerra in atto, dall’altro invita i
turisti a non visitare la Turchia in modo da preservare la propria
sicurezza.
Alla luce del contesto in cui questi
avvenimenti si sono inseriti e delle prese di posizione del Governo
turco e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) rispetto alla
questione, sembra doveroso analizzare a grandi linee la storia e i
tratti distintivi del TAK per meglio comprendere la valenza di queste
azioni. Nato nel 2004 come scissione dal PKK, il gruppo
curdo allarga progressivamente la sua base politica tra i giovani delle
principali città del Paese, soprattutto al di fuori dell’area
sud-orientale. Dopo gli attentati registrati nel biennio
2007-2008 e alcune azioni minori nel periodo 2009-2013, si assiste,
durante il processo negoziale di Imrali tra il Presidente Abdullah
Ocalan e il Governo turco, ad una lunga fase di silenzio del movimento
conclusasi con l’attacco ad Istanbul del dicembre dello scorso anno.
L’analisi della partecipazione al TAK,
difficoltosa in quanto non supportata da dati ufficiali sulla reale
estensione del gruppo, restituisce l’immagine di un partito dai numeri
ridotti, efficace nelle sue azioni e poco soggetto al controllo
capillare dello Stato proprio grazie alla fluidità delle sue cellule
armate. La mancanza di informazioni dettagliate sul TAK lascia,
inoltre, spazio a diverse teorie sulla collocazione politica del gruppo e
sui legami tra i Falchi e gli altri gruppi curdi e, in particolare, con
il PKK. Secondo fonti governative, il TAK deve essere considerato un gruppo organico al PKK, creato per azioni non rivendicabili dal Partito maggiore e, dunque, non delegabili alle sue avanguardie armate come il HPG.
Per quanto i punti di contatto tra PKK e TAK siano evidenti sia dal punto di vista teorico sia
per quanto riguarda i singoli partecipanti e, ad esempio, l’immagine di
Orhan Caner, morto in un attentato nel 2008 ad Hatay rivendicato dal
TAK, è presente nelle liste dei caduti del HPG, molte delle informative turche in merito hanno trovato la ferma opposizione di entrambi i gruppi.
In tal senso il presunto ruolo guida del curdo siriano Bahoz Erdal
(Fehman Hüseyin), a lungo comandante in capo del HPG e conosciuto per le
sue posizioni oltranziste, non è mai stato confermato e numerose sono
le distanze ideologiche evidenziate da entrambe le parti. Membri
del Consiglio direttivo del PKK come Murat Karayilan o il portavoce
dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), Cemil Bayik, hanno in
più occasioni precisato che non esistono rapporti di dipendenza tra i
due gruppi e che il PKK non condivide pratiche di attacco in luoghi dove
non è possibile ridurre al minimo i danni collaterali dell’azione e le
vittime civili.
Lo stesso TAK ha, dopo gli
attacchi di Ankara, affermato di non avere alcun legame con il PKK e ha
spiegato il proprio allontanamento da esso. Secondo i Falchi, dopo
l’arresto di Ocalan, il PKK avrebbe iniziato un percorso di
avvicinamento ad Ankara, ammorbidendo le sue posizioni e
scegliendo di non vendicare le vittime della repressione governativa e
il sentimento di rivalsa della popolazione avrebbe, dunque, trovato un
nuovo rappresentante nel TAK. Nonostante la contrarietà
ai negoziati, il blocco degli attentati durante il processo di Imrali,
sarebbe, dunque, stato possibile solo per il rispetto dovuto al
Presidente Ocalan e non per un’adesione alla linea di cessate il fuoco
della dirigenza PKK. Il TAK appare, dunque, come una realtà
strutturalmente ostile al compromesso, ideologicamente meno solida
rispetto al PKK, ma capace di attrarre giovani permeati di un forte
senso di vendetta rispetto al Governo centrale.
Quello che sicuramente unisce TAK e PKK è, invece, il contesto in cui si inserisce l’azione
e Amed Dicle, giornalista curdo, sembra chiarire bene questo retroterra
comune in un articolo per Kurdish Question. Così come Cemil Bayik, dopo
l’attentato di Ankara di febbraio, pur affermando di non conoscere gli
autori e condannando la presenza di vittime civili, ha dichiarato che
l’azione era da considerare una risposta alla repressione turca nel
Kurdistan turco, secondo il giornalista curdo la capacità attrattiva del
TAK aumenterebbe proporzionalmente al livello repressivo del Governo.
Le due realtà, affonderebbero, dunque, le proprie radici in uno stesso
contesto, ma ne deriverebbero pratiche e strategie differenti.
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