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14/07/2016

Il vero “errore umano” è incentivare il profitto privato

Puntuali come un tumore in un cementificio, ecco che i servi degli interessi aziendali – e governativi – si sono lanciati sul “colpevole”, sul solitario capostazione che ha commesso l’“errore fatale”. Finalmente, si dicono citandosi tra loro, ora “possiamo trasmettere tranquillità” a una popolazione sotto shock per la strage di Corato. Ed effettivamente la funzione dei media mainstream non si discosta poi molto da quella degli spacciatori d’eroina o altre sostanze “tranquillizzanti”.

23 morti e 24 feriti ancora ricoverati, otto dei quali in prognosi riservata sarebbero insomma “spiegati” da un terribile errore del capo stazione di Andria, Vito Piccarreta, che ha quasi immediatamente ammesso di aver alzato lui la paletta che ha dato il via all’ultimo viaggio per due treni carichi di pendolari.

I titoli dei giornali più importanti restituiscono unanimi questa sentenza: il sistema funziona, è “assolutamente sicuro”, i due capostazione (Andria e Corato, da cui erano partiti i due convogli) sono stati sospesi. Trovati i responsabili, potete riprendere a viaggiare senza timore né pensieri. Fino al prossimo incidente, che sarà comunque dovuto ad un altro errore umano. Il sistema funziona... è l’unica cosa che vi deve restare impressa nella mente.

E invece il sistema è un orrore che prepara le stragi. Lo sa bene il procuratore aggiunto di Trani, Francesco Giannella: “Non ci fermeremo assolutamente alle prime responsabilità. L’errore umano è soltanto il punto di partenza di questa storia”. Lo sa persino il ministro Graziano Delrio, che relazionando alla Camera ha definito il sistema di sicurezza adottato su quella linea (il “blocco telefonico”, ovvero una banale eventuale telefonata di conferma) “tra i meno evoluti rispetto alle tecnologie disponibili” e “maggiormente a rischio”, perché “si affida interamente all’uomo, nella fattispecie all’operatività dei capistazione”. Lo sanno anche gli investigatori: “Il problema è il sistema di controllo che ovunque è automatizzato tranne che qui”.

Le prime testimonianze dei lavoratori della Ferrotramviaria spa, azienda privata che gestisce la tratta, tracciano il quadro di una giornata di ordinaria follia, a 40 gradi all’ombra, con treni in ritardo, un convoglio supplementare infilato proprio a quell’ora, con il risultato di far partire in pochi minuti tre treni invece dei soliti due. Il tutto tra corse ad allestire altri treni sui binari morti (il che significa far muovere motrici e vagoni nei rari momenti di “ferma” tra un treno e l’altro). Tutto a voce, a occhio, sperando di non sbagliare nulla o che un collega si accorga dell’eventuale errore e possa metterci una pezza.

Un sistema che si regge sull’impossibile presunzione che nessuno, nella catena di controllo che presiede alla circolazione ferroviaria in un certo tratto, si distrarrà mai anche solo per un attimo, non avrà un malore, né qualsiasi altro problema comune a tutti gli esseri umani. Tanto più in una situazione – quella specifica delle Ferrovie del Nord Barese – sovraccaricata negli ultimi tempi da lavori in corso sulla linea, aumento del traffico come conseguenza del nuovo collegamento con l’aeroporto e, ovviamente, senza aumentare gli addetti al servizio.

L’elenco dei veri responsabili, in questo quadro, lo facciamo noi.

a) Ferrotramviaria spa, naturalmente. L’azienda privata che gestisce il servizio, peraltro con buona reputazione (al contrario di quanto avviene per la “gemella” che si occupa del Sud Barese), è colpevole di aver adottato come unico “sistema di sicurezza” il cosiddetto blocco telefonico, ovvero la comunicazione via telefono del via libera, tra la centrale di controllo e il macchinista. Se nessuno fa la telefonata, per un qualsiasi motivo “eccezionale”, il treno va.

Nessuna traccia di altri sistemi di controllo automatici, né particolarmente moderni né per nulla costosi. Per esempio quelli che “funzionano a blocchi”, come spiega Stefania Gnesi, ricercatrice dell’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione ‘A. Faedo’ del Consiglio nazionale delle ricerche (Isti-Cnr): “Ci sono sensori su tutta la linea ferroviaria che segnalano blocco per blocco se la linea e’ occupata. Man mano che il treno avanza si bloccano gli altri treni, c’è come una distanza di sicurezza. Se per caso un treno sfora, viene mandato il blocco automatico, che può essere il classico semaforo rosso oppure l’interruzione della linea elettrica sul treno, che quindi si ferma. E’ un sistema altamente sicuro – aggiunge Stefania Gnesi – perché tutte queste procedure vengono validate e testate prima di essere messe in uso, controllate via software e via hardware e devono rispettare delle regole di certificazione”.

Al contrario, ancora ieri il direttore generale di Ferrotramviaria, Massimo Nitti, andava garantendo che “Il regime di circolazione con consenso telefonico può dare un’impressione sbagliata ma in realtà è un regime che ha tutti i crismi della sicurezza”. Nessun giornalista che gli stava davanti a provato a fargli notare che avrebbe fatto meglio a tacere. Si può capire che uno dei potenziali indagati per la strage provi a dirottare su altri – i capistazione – ogni responsabilità, meno comprensibile che i giornalisti si siano ridotti a porgere il microfono senza fare domande banali come questa: “23 morti e 24 feriti gravi prodotti da quel sistema ‘con tutti i crismi della sicurezza’ non le sembra che abbiano dimostrato l’opposto?”.

b) I governi degli ultimi anni. L’unica cosa vera detta dai dirigenti della Ferrotramviaria è che quel “sistema di sicurezza” preistorico è stato autorizzato dalle autorità competenti. Dunque è lo Stato che porta la responsabilità sul piano delle regole ammesse per svolgere quel servizio. Se sul 98% delle linee di questo paese il “blocco telefonico” non è più ammesso, un motivo serio c’è sicuramente.

Si comprende, anche qui, che nel privatizzare il trasporto ferroviario per i pendolari lo Stato abbia voluto “facilitare” gli imprenditori abbassando le pretese per quanto riguarda gli standard di sicurezza. Un comportamento criminale che richiederebbe un’indagine altrettanto severa sul chi abbia firmato quelle autorizzazioni.

Non è una domanda peregrina. Il governo Renzi, proprio in queste ore, ha varato il provvedimento di dismissione delle aziende “partecipate” dagli enti locali (Regioni e Comuni), comprese le aziende di trasporto urbano e molti servizi pubblici di prima necessità. Una scelta neoliberista che si trasformerà certamente in maggiori costi per gli utenti senza alcuna maggiore efficienza nelle prestazioni.

Una scelta, oltretutto, che se nuovamente accoppiata a “liberalità” nel rispetto degli standard di sicurezza, metterà le premesse per centinaia di “incidenti”. E nessuno potrà chiamarli “errori umani”. L’errore vero lo stanno commettendo ora, con la privatizzazione. Con la liberazione degli spiriti animali del profitto privato nel bel mezzo dei servizi pubblici vitali.

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