Lo scorso 20 giugno è partita ufficialmente in Russia la campagna elettorale per le elezioni parlamentari del 18 settembre che, al momento, non sembrano dover riserbare grosse sorprese. Secondo molti osservatori russi, alla Duma il partito presidenziale “Russia Unita” dovrebbe persino rafforzare la prima posizione e il Partito Comunista di Gennadij Zjuganov sembra destinato a non salire oltre il secondo posto attuale o addirittura cederlo al LDPR di Vladimir Žirinovskij. All’altro estremo della scala “di grandezza”, nulla lascia pensare a qualche repentino balzo in avanti dei beniamini del liberalismo mediatico occidentale, quelli che, nel marzo scorso, si erano dati convegno in Lituania, per stilare i piani de “La Russia dopo Putin”. Gli osservatori non danno chance ai vari Kasjanov, Khodorkovskij, Kasparov o Navalnij.
A parere del politologo Konstantin Kostin, nel voto di lista, solo quattro partiti (sui 14 in lizza) riusciranno a superare la soglia di sbarramento del 5%. Quanto all’opposizione “democratica”, alcuni pronostici danno in ascesa forse il solo “Jabloko”, il partito di uno degli esponenti liberal più rappresentativi del periodo eltsiniano, Grigorij Javlinskij; ma, secondo Kostin, anche questo avrebbe buone probabilità solo nei collegi uninominali (dopo un lungo intervallo, i deputati verranno di nuovo eletti col sistema misto: 225 per lista di partito e 225 per collegio) sui quali, tra l’altro, puntano le formazioni minori, che aspirano a raggiungere almeno il 3% necessario ad accedere ai contributi statali. Per lo più, l’opposizione filo-occidentale, schierata per le sanzioni contro la Russia, ha minime possibilità nel voto di lista: il leader di “Parnas”, l’ex premier Mikhail Kasjanov, nota Kostin, è visto in Russia alla stregua di quanti in tempo di guerra collaboravano con gli occupanti. Quanto a “Elezioni aperte”, la lista sponsorizzata dall’ex oligarca Mikhail Khodorkovskij all’insegna del “in ogni caso le elezioni saranno truccate”, pare si possa dire che, quanto più si è venerati come “martiri” in occidente, tanto più si è screditati in patria. Così è anche per “Scelta occidentale” del magnate Konstantin Borovoj.
Jurij Gorodnenko scrive su Svobodnaja Pressa che il risultato di formazioni quali “Jabloko” e “Parnas” dipende da quali progetti strutturali intendano proporre: “con la sola critica al “regime” non si conquista la simpatia dei russi”. Da questo punto di vista, i loro programmi si riducono a “formare una società “veramente” democratica, assimilare le tradizioni e i valori occidentali e integrare la Russia nella UE”. Ciò, nota Gorodnenko, proprio “quando i paesi UE tendono a una reale e non immaginaria sovranità e cercano in ogni maniera di uscire dalla UE”. Inoltre, l’ingresso nella UE, significherebbe trasformare la Russia, nel migliore dei casi, in una confederazione, dividendo la parte asiatica (il 77% del territorio) da quella europea, come previsto dalla Carta UE.
Lo scrittore Zakhar Prilepin allarga il tema delle aspettative elettorali all’eredità sovietica della Russia che, afferma Prilepin, ancora oggi moltissimi media russi dipingono come il “mito nero” da esorcizzare. Ma, ecco che, se nel 1995 l’atteggiamento del 48% dei russi verso la figura di Lenin era negativo, ora le percentuali sono ribaltate: Lenin è l’antitesi dell’oligarchia e del glamour oggi imperanti; è il “fanatico” fedele alle proprie idee, una qualità pressoché scomparsa nell’élite politica attuale. E se nel 1989 il rating di Stalin era al 12%, nel 2012 era balzato al primo posto, col 42%. Nel 2015 il 52% (70% secondo valutazioni ufficiose) dei russi dichiarava che Stalin ha giocato un ruolo positivo nella storia russa. In Stalin si identificano la vittoria sul nazismo e l’industrializzazione ma, afferma Prilepin, Stalin, al pari di Lenin, è soprattutto sentito come un “asceta”, una qualità oggi scomparsa, sostituita dal “bottegaio” oligarca. Più in generale, il 40% dei russi reputa positiva l’esperienza sovietica, mentre più dei 2/3 giudicano negativamente i risultati della perestrojka e del periodo eltsiniano; ma, scrive Prilepin, “la parte prevalente dell’élite politica russa è figlia degli anni ’90: una generazione liberal-borghese, figlia di Boris” Eltsin. Riassumendo, dal 40 al 60% dei russi guarda “a sinistra”; le ideologie liberali o destro-nazionaliste non godono di alcun reale sostegno. “Il comunismo”, conclude Prilepin “è al tempo stesso la nostra tradizione e la nostra unica speranza di futuro”.
In parallelo alle considerazioni di Prilepin, i sondaggi del VTsIOM indicano che i russi vorrebbero eletti alla Duma politici professionisti, specialisti nei propri settori di competenza, conosciuti nei territori e non volti apparsi in tv, attori o campioni sportivi.
Ma l’attenzione generale un po’ di tutte le formazioni, più che sulle percentuali, sembra appuntarsi sulla “legittimità e trasparenza del voto”, anche se la situazione pare alquanto diversa da quella che, dopo la consultazione del 2011, diede luogo alle proteste dell’opposizione liberale di piazza Bolotnaja.
In apertura della campagna elettorale, il segretario del PC Gennadij Zjuganov ha dichiarato che “il valore di queste elezioni è estremamente alto. Se la crescita del PIL, nel 2011, era del +3,4%, oggi è scesa al -3,7%, con 2/3 del paese che ha stipendi di 15mila rubli o anche meno e una pressione esterna sulla Russia, mediatica, militare ed economica, da parte dell’occidente, mai vista prima”. Zjuganov, mentre condivide l’appello di Putin perché le elezioni si tengano in modo tale che i cittadini abbiano fiducia” nel risultato, ricorda come alle amministrative parziali del settembre scorso i media abbiano condotto una campagna denigratoria contro i comunisti: “Addirittura all’epoca di Eltsin, la stampa anticomunista veniva tirata in Finlandia in milioni di copie, ma non a Mosca, mentre oggi la stampa calunniatrice viene diffusa ogni dove. I comunisti sono pronti a collaborare pienamente col partito di governo e con la Commissione elettorale centrale” ha detto Zjuganov, ma “già nel corso delle primarie “Russia Unita” ha occupato i media 25 volte più del nostro partito. E’ assolutamente inaccettabile”. I comunisti denunciano la pubblicazione di numerosi giornali che, sotto false testate fiancheggiatrici del PC, ne alterano le proposte elettorali; si intimoriscono gli attivisti con metodi semisquadristici, come avvenuto pochi giorni fa a Krasnodar dove, a quanto pare, si fa sentire il vicino “spirito di majdan”. “Nel contesto di aspra contrapposizione internazionale” dichiarano i comunisti, “i nemici esterni possono approfittare dell’attività disgregatrice dell’oligarchia compradora interna. Tale situazione impone alla leadership del paese una specifica responsabilità per il rispetto del voto delle masse. I reati penali e amministrativi durante la campagna elettorale, le falsificazioni dei risultati, costituiscono perciò una minaccia diretta alla sicurezza del paese”. A dir poco curiosa la vicenda del candidato del PC per la regione del Kuban, Sergej Obukhov, che un giorno i media locali incitano a “pentirsi per i crimini di Lenin, la decosacchizzazione, la dekulakizzazione e il golodomor”, su cui, a quanto sembra, si ha la stessa visione dei banderisti ucraini e dei moderni majdanisti, salvo il giorno successivo essere accusato proprio di “nazismo” e di “banderismo”.
I comunisti del Fronte Rosso, in ragione delle difficoltà oggettive, per le piccole formazioni, di ottemperare la normativa – “scritta a uso dei soli partiti parlamentari”, affermano i comunisti del RKRP della vasta regione di Tjumen, che si estende dal Kazakistan al mar Glaciale Artico; una delle regioni energetiche più ricche del mondo, per le riserve di gas e petrolio – relativa alle elezioni per la Duma, hanno deciso di concentrare le forze per le sole elezioni alle assemblee legislative dei soggetti federali e di governo locale, con una lista di estrazione operaia.
In definitiva, se “Russia Unita” non pare doversi particolarmente preoccupare per i risultati del voto, sono le altre formazioni che paventano, forse non senza fondamento, che il colosso presidenziale voglia stravincere. Del resto, con gli “eroi” miliardari del liberalismo filoeuropeo che non rappresentano se non capi di spillo nel panorama politico russo, il grosso dell’oligarchia industriale e finanziaria è fermamente attestato, per ora, con il partito leader dello schieramento parlamentare.
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