di Federica Iezzi
Più volte paragonata al
genocidio del Rwanda, la violenza etnica in Sud Sudan orchestrata dal
governo di Salva Kiir sta raggiungendo cifre vertiginose.
Nel terzo anniversario della guerra civile nel Paese più
giovane del mondo, non è più sufficiente l’enorme dispiegamento delle
unità di protezione ONU per separare le parti in guerra.
La violenza è scoppiata nel dicembre 2013, quando il presidente Salva
Kiir ha accusato il suo vice-presidente, Riek Machar, di essere a capo
di un colpo di stato. Il Paese aveva ottenuto l’indipendenza dal
Sudan nel 2011 a seguito di uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi
avvenuti in Africa.
Le tensioni etniche hanno fatto saltare in aria istituzioni deboli e inesistente identità nazionale.
Le tribù più popolose del paese, i Dinka e i Nuer, avrebbero dovuto
condividere il potere nel nuovo governo. Ma l’estrema povertà e la
mancanza di istituzioni ha relegato il Paese nella morsa di una guerra
etnica.
Decine di migliaia i civili che hanno perso la vita nei
combattimenti. Secondo i dati OCHA più di un milione di persone ha
lasciato il Paese e sono più di un milione e mezzo i rifugiati interni.
Il Programma Alimentare Mondiale stima che almeno 3,6 milioni di persone
hanno necessità di assistenza alimentare.
Le minacce di violenza hanno avuto solo una debole riduzione
quando i leader locali sono intervenuti per fermare le continue
espressioni di odio.
L’Ufficio del Consigliere Speciale delle Nazioni Unite sulla
Prevenzione del Genocidio, ha sottolineato l’importanza in questo
delicato momento di imporre un embargo sulle armi. “Il genocidio”
afferma, “E’ un processo che si instaura in un lasso di tempo
medio-lungo, e proprio per questo può essere evitato. Ci sono passi che
possono essere adottati, prima di arrivare vicini alla catastrofe”.
Solo nello scorso mese di luglio, a seguito di un aumento
della violenza nella capitale Juba, altre 4.000 unità sudanesi facenti
parte della missione dell’ONU in Sud Sudan (MINUSS) erano state reclutate per la protezione dei civili. Obiettivo mancato, visto che il governo sudanese ha accettato solo il dispiegamento di truppe straniere sul suo territorio.
Il costante processo di pulizia etnica in corso in diverse
aree del Sud Sudan tra le 64 diverse tribù che abitano il Paese,
annovera fame, stupri di gruppo e incendi di villaggi.
L’economia schiacciata del Paese ha il più alto tasso di inflazione
del mondo, arrivato a sfiorare più dell’800% nello scorso mese di
ottobre.
I servizi sanitari continuano il lento processo di deterioramento, la
crisi idrica nazionale è in crescita, il settore agricolo è in declino e
i tassi di malnutrizione sono tra i più alti al mondo. La repressione è
l’unico strumento di sopravvivenza per il regime nazionale.
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