di Michele Giorgio – Il Manifesto
La sottovalutazione,
se non il disinteresse, dell’Europa per la legge approvata lunedì sera
dalla Knesset che ha regolarizzato retroattivamente circa 4.000 case in
decine di avamposti coloniali, amplifica la soddisfazione del governo
Netanyahu e della destra religiosa alla guida del paese. Il ministro
Bennett, leader del partito dei coloni “Casa ebraica”, ha vinto la sua
storica battaglia in fondo senza penare troppo.
Ha solo dovuto aspettare qualche anno, l’uscita di scena di Barack
Obama (che in verità la colonizzazione l’ha solo frenata e mai fermata),
l’ingresso nella Casa bianca dell’alleato Donald Trump e la paralisi
della comunità internazionale messa a nudo il mese scorso dall’insulsa
dichiarazione finale della Conferenza di Pace di Parigi alla quale il
ministro degli Esteri italiano Alfano ha dichiarato con orgoglio di aver
dato il suo fattivo contributo.
«È una rivoluzione», ha commentato Bennett. Ha ragione. In due
settimane Israele ha autorizzato la costruzione di quasi 6.000 case
nelle colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme est, annunciato un nuovo
insediamento e legalizzato 4.000 case in decine di avamposti.
E il voto della Knesset apre la strada alla estensione della
sovranità israeliana alla Cisgiordania. Non su tutta, sulle colonie ma
non sui centri abitati palestinesi, per evitare uno Stato binazionale
con ebrei e arabi insieme, ha spiegato il ministro Ofer Akunis.
L’apartheid, avvertono anche diversi israeliani, è dietro l’angolo.
Ormai è solo cronaca giornalistica il clamore suscitato a dicembre dal
“colpo di coda” di Obama che non bloccò con il veto l’approvazione da
parte del Consiglio di Sicurezza Onu della risoluzione 2334 che ha
riaffermato lo status di territori occupati per Cisgiordania, Gaza e
Gerusalemme Est e condannato la colonizzazione. La leadership
palestinese intanto è debole, balbetta, non è in grado di elaborare una
strategia politica degna di questo nome.
«Questa legge israeliana è inaccettabile», dice Nabil Abu Rudeina,
portavoce del presidente Abu Mazen. Un po’ poco. Non sorprende
l’amarezza sul volto di Hanan Ashrawi, membro del Comitato esecutivo
dell’Olp e, più di tutto, storica portavoce palestinese durante la prima
Intifada e la Conferenza di Madrid. Scuote la testa Ashrawi: «Il colpo
più duro – ci dice – è l’atteggiamento internazionale verso tutto
questo».
Cosa potrebbero fare i palestinesi?
Dobbiamo ridefinire la nostra politica e ripensare alle relazioni con
Israele. Sappiamo che questo potrebbe costarci caro ma non possiamo
rimanere con le mani in mano. E se gli Usa e l’Europa non faranno la
loro parte per fermare l’escalation messa in moto dal governo Netanyahu,
la strada da percorrere è quella della giustizia internazionale e del
ricorso alla Corte penale dell’Aja.
Appaiono però rituali gli appelli che i palestinesi lanciano
ogni volta alla comunità internazionale. Non sembrano produrre un
granché.
Non possiamo che continuare a rivolgerci all’Onu e invocare la
giustizia internazionale. Non dobbiamo stancarci di reclamare i nostri
diritti anche se il mondo volge lo sguardo da un’altra parte. I nostri
diritti non sono meno importanti di quelli degli israeliani.
Alcuni dirigenti palestinesi hanno minacciato l’annullamento
del riconoscimento di Israele fatto dall’Olp venti anni fa. È una
possibilità che ritiene concreta?
Tutto è possibile, questa e altre opzioni. Dobbiamo mettere insieme
un piano che contempli le diverse possibilità a nostra disposizione e, a
mio avviso, dovranno essere discusse pubblicamente.
Queste opzioni includono la fine della cooperazione di sicurezza con Israele?
Anche questa è una possibilità, assieme a molte altre.
Quanto l’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca è stato determinante per l’azione del governo israeliano?
L’elezione a presidente di Trump è stato l’evento scatenante.
Netanyahu non parlava d’altro prima del 20 gennaio, nonostante Barack
Obama sia stato un presidente molto generoso con Israele, forse il più
generoso dal punto di vista politico, finanziario e militare. Il governo
israeliano si sente incoraggiato a portare avanti la sua politica da
Trump e dalle persone che il nuovo presidente ha scelto per determinati
incarichi. A cominciare dal nuovo ambasciatore Usa a Tel Aviv [David
Friedman, aperto sostenitore delle colonie israeliane, ndr]. Ora
abbiamo coloni nel governo israeliano e, di fatto, coloni in quello
statunitense.
Il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito di avvertimenti
dell’amministrazione Trump ai palestinesi: se denunceranno Israele alla
procura internazionale perderanno il sostegno finanziario degli Usa e
l’Olp tornerà nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. È vero?
Non sono in grado di rispondere. Ciò che so è che queste minacce fanno parte di una posizione adottata dal Congresso americano.
È delusa dalla Ue?
Sì, moltissimo. Ci sono voluti ben 30 anni solo per arrivare
all’etichettatura diversa dal Made in Israel per le merci delle colonie
ebraiche nei territori palestinesi occupati dirette in Europa. E nel
frattempo Israele resta un partner privilegiato della Ue, sotto tutti i
punti di vista, nonostante le sue politiche nei nostri confronti.
L’Europa parla ma poi fa molto poco per difendere concretamente i
diritti dei palestinesi.
AGGIORNAMENTO ore 11 – Il giorno dopo la bomba
dell’approvazione della legge che legalizza 4mila case in avamposti
coloniali (prima considerati illegali dalla stessa legislazione
israeliana) continuano ad arrivare reazioni. Il meeting tra Israele e
l’Unione Europea previsto per il 26 febbraio è stato rimandato a data da
destinarsi, dopo le critiche mosse da alcuni paesi europei. In
quell’occasione si sarebbe dovuto discutere di un ulteriore innalzamento
del livello di relazioni tra le due parti ma, secondo quanto riportato
dal quotidiano israeliano Haaretz, Francia, Svezia, Irlanda, Olanda e Finlandia hanno chiesto di rinviarlo a seguito del voto sulla “Regulation bill”.
Molto critiche anche le Nazioni Unite che ieri hanno definito la legge
il superamento della “linea rossa” verso l’annessione della
Cisgiordania. “Un pericoloso precedente”, lo ha chiamato l’inviato Onu per
il Medio Oriente, Nickolay Mladenov, mentre il nuovo segretario
generale Guterres ha parlato di “atto fuorilegge” che viola il diritto
internazionale.
Ieri, intanto, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese,
Mahmoud Abbas, ha parlato dell’intenzione – paventata da lungo tempo ma
mai concretizzata – di rivolgersi alle corti internazionali per una
condanna di Israele. “Continueremo il nostro lavoro – ha detto in
riferimento alla preparazione di rapporti sulle violazioni israeliani –
con le corti internazionali per proteggere la nostra esistenza e
sopravvivenza sulla terra di Palestina”. Restano comunque forti dubbi:
da tempo l’Anp minaccia di assumere simili misure ma ha sempre evitato
di farlo.
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