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17/03/2017

L’Unione Europea? Una baracca pericolosa per chi ci vive dentro...

Non è semplice spiegare agli ideologizzati – “l’Unione Europea fa schifo, ma è meglio degli Stati nazionali, perché almeno così la classe operaia è unita” – le ragioni di una critica scientifica, oltre che politica e di classe, alle istituzioni sovranazionali a-democratiche che ci governano da 25 anni. Più facile spiegarlo ai lavoratori o alla gente per strada, che si deve fare i conti in tasca tutti i giorni e sa benissimo quanto potere d’acquisto ha perso da quando è stata introdotta la moneta comune, quanto welfare ha perso da quando il pareggio di bilancio obbligatorio ha annullato i margini di manovra di qualsiasi governo (centrodestra e centrosinistra pari sono, devono fare esattamente le stesse cose), quanto è cresciuta l’età pensionabile e quanto sono diminuite le pensioni, quanto sono aumentate le spese individuali per curarsi e quanto è invece calata la spesa pubblica per la sanità, quanto è cresciuta la disoccupazione, sono scesi i salari, diffusa la precarietà lavorativa e dunque esistenziale. Ci sembra perciò utile riprendere questo editoriale di Paolo Savona, apparso ieri su un quotidiano che non è né bolscevico, né troglodita-“sovranista”; ovvero Milano Finanza. Paolo Savona è stato del resto, tra le altre cose, direttore generale di Confindustria con Guido Carli presidente. Una delle poche teste pensanti dell’establishment italiano a criticare ancor prima dell’istituzione i parametri di Maastricht, perché privi di base scientifica e troppo rigidi per un'economia che richiede sempre flessibilità. Specie quella italiana, troppo debole e squilibrata per poter stare dentro quella gabbia. Non contento, aveva anche avvertito scientificamente sulla insostenibilità dello sviluppo del mercato dei derivati, prevedendo che le banche centrali avrebbero dovuto servire, come poi accaduto, la liquidità necessaria per impedire un collasso del sistema finanziario mondiale.

Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, né ignorante più ignorante di chi si rifiuta di analizzare il mondo che ha davanti; per quello che è, non per come ci piacerebbe che fosse. Anche a “sinistra”. Comprendendo in questa orrenda definizione tanto quelli che sono diventati “miglioristi dell’Unione Europea” per assoluta assenza di coraggio politico, tanto quelli che preferiscono ignorare la struttura del potere che ci governa, limitandosi – come i bambini nervosi – a manifestare “radicalità” agitando fumogeni.

Per tutti gli altri, e siamo certi che siano la stragrande maggioranza, l’invito a leggere la critica di un economista liberista all’ordoliberismo teutonico che pervade le politiche economiche europee.

Sono critiche scientifiche. Dunque valgono anche per i rivoluzionari...

In fondo, è una (piccola) parte delle ragioni per cui scendiamo in piazza il 25 marzo.

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LETTERA APERTA AI COLLEGHI ECONOMISTI

di Paolo Savona

Mervyn King (nella foto, ndr), stimato economista, già governatore della Old Lady, ha concesso un’intervista al vetriolo su Brexit e UE. È stata accolta da un assordante silenzio da parte della nostra Accademia, sempre pronta a scagliarsi contro i suoi membri che sostengono le stesse tesi di King, anche quando sono espresse con più moderazione.

Pur essendo il tema centrale delle prossime elezioni incombenti sull’UE, l’intervista è stata relegata a pagina 5 del quotidiano, senza richiamo in prima. Nei giorni precedenti lo stesso giornale si è cimentato con “grandi firme” per sostenere l’opposto di ciò che sostiene King. Poiché le tesi espresse nel loro giornale non sono semplici punti di vista, ma vere e proprie linee politiche dei gruppi dirigenti italiani, ci saremmo aspettati un minimo di reazione, anche perché King era molto stimato nella nostra banca centrale e nei circoli economici.

Meglio dare una dimostrazione di essere aperti al dialogo, facendo seguire il silenzio. Ancora una volta è la confraternita degli economisti italiani a essere passiva e, quindi, conformista: meglio ignorare King che discutere le sue idee, per il vago timore che siano giuste. Gli economisti italiani avrebbero meritato d’essere destinatari da parte del Presidente della Repubblica, l’equivalente della Regina inglese, del quesito rivolto da Elisabetta II ai membri della Royal Economic Society: come mai non vi siete accorti che stava arrivando una grave crisi?

Naturalmente l’oggetto del quesito sarebbe oggi l’Unione Europea nata a Maastricht e le scelte successive.

Solo un bravo giornalista, Mario Sechi, nel suo blog List, ha colto l’importanza della testimonianza e sollecitato i suoi colleghi e noi economisti a meditare sull’analisi di King, fornendo una sintesi delle tesi in essa sostenute nel caso in cui, in tutt’altre faccende affaccendati, non avessero il tempo di leggere le quattro colonne del giornale. Riporto anch’io la sintesi per tentare di vitalizzare l’attenzione (le parole sono quelle usate da King):

- “L’impatto della Brexit anche nel lungo periodo sarà molto limitato”;
- “La Gran Bretagna ha il diritto di governarsi da sé”;
- “Chi ha votato per la Brexit non è razzista, xenofobo o stupido”;
- “Le élite hanno perso il contatto con i bisogni della gente”;
- “È la Ue ad avere lasciato noi”;
- “La Sterlina debole è benvenuta”;
- “Draghi è in una posizione impossibile”;
- “L’Eurozona precipiterà di nuovo nella crisi senza un dibattito genuino e un reale cambiamento”;
- “L’unione monetaria è stata prematura senza l’unione fiscale, un terribile errore”;
- I “nuovi partiti politici che incolpano l’unione monetaria… vengono liquidati come populisti, ma le loro critiche sono basate su fatti economici, che le élite non capiscono”;
- L’unione fiscale costerebbe alla Germania “Il 5% del PIL indefinitamente. Perciò il conto sarà molto alto... e necessario per permettere ai Paesi del Sud di conservare la piena occupazione. Purtroppo i politici tedeschi sono contrari a spiegarlo ai loro cittadini”;
- “Stiamo andando verso il disastro”.

Visto che non volete rispondere al quesito che i pochi colleghi che la pensano più o meno come King vi rivolgono da tempo o, meglio, vi siete collocati in maggioranza nel solco tracciato dai gruppi dirigenti del Paese di pagare qualsiasi costo pur di rimanere nell’euro mal costruito e nei vincoli dell’UE, approfondendoli, vedetevela con queste affermazioni di un illustre economista, oltre che serio civil servant.

Invero in passato ci fu anche il documento firmato da sette Premi Nobel sull’insostenibilità dell’euro, che avete accantonato perché dava fastidio culturale o forse perché credete di capire meglio di loro come stanno le cose. Neanche la realtà che vi circonda fiacca le vostre posizioni precostituite.
Molti dei giudizi espressi da King sono stati oggetto da parte mia di pacate valutazioni e non devo essere io a rispondere. Mi soffermo solo su un punto, quello che l’attuale gestione dell’UE danneggi il Sud.

Da tempo sono costernato del sostegno che i Sindacati dei lavoratori danno alla tesi di stare nell’UE e nell’euro perché ritengono che uscire danneggerebbe i lavoratori, trascurando di valutare il danno ulteriore per tutti (dato che quello pagato dai disoccupati non basta) del restarci così com’è. Essi si accontentano di politiche compensative da parte di Governi che non sanno affrontare il problema, limitandosi ad affermare che non bastano: accettano infatti gli 80 euro ai giovani, i 500 euro agli studenti, i 450 euro ai poveri e i 200 euro per ogni nuovo nato e così via. Siete inoltre attratti da un salario di cittadinanza o termini simili senza collocarlo in una linea di azione di sviluppo e di compatibilità volta a rimuovere i problemi, non a perpetuarli. Perché avete chiuso la porta agli eredi di Ezio Tarantelli?

Cari colleghi, ritengo che la nostra professione abbia gravi responsabilità perché pecca di indipendenza di pensiero e di coscienza civile. Dovete quindi dare una risposta ai punti sollevati da Mervyn King.

Paolo Savona, Milano Finanza, 16 marzo 2017

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