Una delle caratteristiche decisive della nostra epoca è la mancata
relazione tra sviluppo tecnologico e progresso sociale. A differenza dei
decenni e secoli passati, siamo entrati in una fase in cui non tutto lo
sviluppo tecnologico si traduce in evoluzione, o meglio: non tutta
l’iperfetazione tecnologica di cui siamo circondati si associa ad un
miglioramento delle nostre condizioni di vita. E’ un fatto su cui si
ragiona davvero troppo poco, colmo di rischi interpretativi, di cadute
ideologiche, di chiusure reazionarie, di estasi post-moderne, eccetera.
Un piccolo esempio avvalora questo punto di vista: il mercato dei libri.
Dati per morti, confinati nel recinto bohemien dell’archeologia culturale, i libri di carta vedono in tutto il mondo una ripresa delle vendite: +3% negli Usa; +8% in Russia; +2,3% in Gran Bretagna; +2,3% in Italia, e via continuando.
Certo, sono dati estemporanei, che potrebbero non invertire una rotta,
se questa ci fosse, o al contrario potrebbero rappresentare la classica
eccezione che conferma la regola. Eppure la vicenda del confronto tra
e-book e libri cartacei è per certi versi paradigmatica. In Italia i
vari strumenti per l’e-reader sono utilizzati da un italiano su dieci.
Negli Usa, per la prima volta dall’introduzione dei supporti tecnologici
per la lettura, i libri in formato elettronico costeranno di più dei libri
su carta.
Contestualmente, Amazon sta avviando l’apertura di librerie fisiche
per la vendita di libri cartacei. Tre dati che confermano la sentenza
data da Umberto Eco sul libro come strumento definitivo della
circolazione del sapere umano: «il libro è come il cucchiaio, il
martello, la ruota, le forbici. Una volta che li hai inventati, non puoi
fare di meglio». Questo fatto non è dimostrato da qualche nostalgica
passione per l’odore della carta. Si tratta al contrario di svelare i
rapporti materiali che informano lo sviluppo tecnologico.
Il libro incorpora tre caratteristiche sociali che altri strumenti
che veicolano il sapere non possiedono: 1) è accessibile a tutti. Il
libro costa poco, consentendo potenzialmente a chiunque di accedere alle
idee che informano ogni grado della cultura, dalle ricette della Parodi
al teatro di Bertolt Brecht;
2) il libro basta a se stesso, non
abbisogna di altro supporto che non sia il libro stesso: è
contemporaneamente hardware e software, contenuto e contenitore;
3) non
deperisce, non scade, non è ad obsolescenza programmata. Possiamo
leggere libri di 30, 50 o 100 anni fa anche trattandoli male, nelle
nostre librerie casalinghe; possiamo leggerne di molto più vecchi, di
secoli e secoli, se conservati con minima cura.
Il libro è insomma una
di quelle invenzioni che materializzano un’idea concreta di progresso,
che consiste nell’abbattere le barriere economiche che impediscono alla
cultura di circolare davvero in ogni classe sociale. Certo, si tratta di
una materializzazione potenziale. Nella realtà, legge mediamente di più
chi proviene dalle classi abbienti, chi ha la possibilità economica di
comprare più libri, chi proviene da contesti familiari che stimolano
all’acculturazione, chi studia nelle scuole migliori, eccetera. Ovvio.
Ma quel dato potenziale non è un fatto marginale, quanto una conquista
per le classi popolari, che va difesa e rivendicata, e non seppellita
dalle retoriche del “tanto leggono solo i ricchi”.
Quali sono le caratteristiche, invece, dell’e-book?
1) Il supporto
costa caro, impedendo l’accesso estemporaneo alla lettura (per leggere
un e-book da 10 euro devi prima comprarti lo strumento e-reader da 50 o
100 euro (o anche molto di più). Non a caso, solo un italiano su dieci
possiede questi strumenti. Quale italiano su dieci sarà questo
possessore di e-reader? L’abitante di Tor Bella Monaca o quello di
Prati? (forse quello di Tor Bella Monaca che l’ha giustamente rubato a
quello di Prati, potrebbe darsi, ma a quel punto non saremmo di fronte
ad un’eccezione della regola, ma a un atto di giustizia);
2) il libro
online non basta a se stesso. C’è bisogno del supporto che, come abbiamo
visto, costa. C’è bisogno di una connessione per scaricarsi il libro,
che costa anch’essa. C’è bisogno del carica batterie. Eccetera.
3) Come
ogni altro strumento tecnologico legato all’informatica, ha una data di
scadenza molto ravvicinata. Un supporto all’ultima moda oggi, potrebbe
non leggere più software o applicazioni tra dieci anni. Esattamente come
successo coi floppy disc di vent’anni fa, o con i cd tra pochi anni.
Già oggi la maggior parte dei notebook non ha il lettore cd;
4)
anche si conservasse gelosamente il proprio lettore cd come reliquia
religiosa, sarebbe il cd (o il dvd) stesso ad andare incontro alla
naturale (e programmata) rovina. Dopo un tot di visioni, la qualità del
suono/video/testo registrato sopra deperirebbe ignominiosamente. Come
quelle dannate videocassette Vhs che contenevano i nostri film
preferiti. Anche dopo aver conservato con cura maniacale l’ultimo
videoregistratore scomparso dal commercio più o meno in contemporanea
col rigore di Baggio a Usa ’94, quei film sono ormai inguardabili.
Scomparso il supporto primario (il videoregistratore), deperito il
supporto secondario (la cassetta Vhs), cosa resta del contenuto? Il
ricordo.
Il libro si configura allora effettivamente come innovazione
tecnologica, perché abbatte (almeno una) frontiera all’accessibilità e
alla fruibilità del contenuto, in questo caso culturale. L’e-book, al
contrario, alza nuovamente una barriera economica alla fruizione della
cultura. Difficilmente allora potremmo definire l’e-book un’invenzione
tecnologica, quanto piuttosto una specifica applicazione di una più
vasta invenzione tecnologica (internet, ad esempio, o i computer, o
meglio: la relazione tra queste due invenzioni).
Per quante altre
applicazioni tecnologiche è possibile proporre un discorso analogo?
Difficile rispondere, perché cogliere in medias res il
significato sociale delle continue innovazioni o applicazioni
tecnologiche non è cosa semplice. Ad esempio, nel 2014 Luca Sofri sentenziava senza ritegno che:
1) Le
vendite dei libri sono in grande crisi, in Occidente e in Italia. Tutti
i maggiori editori italiani hanno perdite più o meno cospicue e grafici
in discesa. Questo, come abbiamo visto, è talmente falso che
persino Amazon, cioè il più grande distributore di libri online, ha
deciso aprire librerie fisiche per libri cartacei. E certo Amazon non
apre librerie per amore della cultura.
2) se c’è un posto dove
quello che scrivo “resta” e “raggiunge più lettori”, è internet. I libri
spariscono dalla vendita e dall’attenzione […] Mentre grazie
ai social network e ai link e a Google, cose pubblicate online anche
dieci anni fa continuano a trovare nuove attenzioni e tornare a essere
lette. In realtà è vero l’esatto contrario. In Italia, e in tutta
Europa, vengono editati sempre più libri di carta, molti più che in
passato. I siti online, se non gestiti pressoché quotidianamente e se
non pagato l’obolo annuale al server che ospita il sito, decadono
scomparendo dalla rete. Anche Google & soci lavorano per selezionare
le miliardi di notizie che appaiono ogni giorno nei propri motori di
ricerca. Quello che oggi è online tra sei mesi potrebbe non essere più
rintracciabile (anzi è praticamente sicuro per le notizie meno
rilevanti. Ma chi decide sulla rilevanza di questo o quel fatto?).
Mentre per un libro che va fuori commercio abbiamo la quasi matematica
certezza di poterlo trovare in ogni biblioteca pubblica, o quantomeno in
quelle più grandi. Chi seleziona le notizie da salvare da quelle da
cestinare? Nel caso di Google et similia, qualche insondabile algoritmo
gestito privatisticamente e che risponde a interessi commerciali non
sindacabili.
Dunque siamo tornati al punto di partenza: quale delle due
“invenzioni” (libro e e-book) contiene un margine di emancipazione
incorporato potenzialmente in se stessa? E quale invece lavora per
ricondurre la cultura al suo carattere elitario pre-moderno? E quante
altre applicazioni seguono la stessa traiettoria, spossessando le classi
subalterne di quella tecnologia che pure è servita anche al loro
progresso sociale?
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