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03/03/2017

Trump imbavagliato come Hannibal the Cannibal?

Nelle prove con assistenti ed amici voleva cestinare il testo del discorso e parlare a braccio. Irrompono nell’Oval Office i tutori Bannon e Miller che riportano alla ragione il Presidente. Il “New York Times” allude ad una destituzione per motivi psichiatrici.

Il demonio si nasconde nei dettagli e di dettagli nel discorso di Trump ce ne sono pochi, tali cioè da legare le mani ad un presidente ultraconservatore, inesperto e mentalmente instabile. È cambiato il tono dell’allocuzione rivolta alle due ali del Congresso, un tono moderato, un ritorno apparente e del tutto formale sulla falsariga tradizionale della politica estera e interna dei predecessori e un ottimismo di maniera sul futuro della nazione. Tutto il contrario del discorso inaugurale di trentasette giorni prima, articolato su catastrofismo, invettive contro Barack e Hillary, insulti a destra e a manca, aperture alla Russia di Putin e via dicendo.

Sull’instabilità mentale del Donald sono emerse le rivelazioni del New York Times concernenti le ore che hanno preceduto il discorso. Il presidente stava provando ad alta voce il testo (concordato o imposto da chi finora aveva cercato di controllare i suoi bollori), di fronte ad amici ed esperti, ma giunto al brano riguardante il bando all’immigrazione ha gettato le pagine nel cestino della carta straccia: “No, su questo tema cambio tutto e vado a braccio”.

Dopo la sentenza dei magistrati che avevano definito incostituzionale il bando ai migranti di sette paesi a maggioranza musulmana, in quanto non esistevano prove che da quei paesi fosse arrivato un solo terrorista, i compilatori del discorso, avevano consigliato termini moderati e “tempisti” per non entrare in un eventuale conflitto diretto con la Corte Suprema. Prontamente avvertiti, due “tutori” del Presidente, il temibile Stephen Bannon e il più cauto Stephen Miller, avevano fatto irruzione nella Casa Bianca riportando alla ragione il Capo dell’Esecutivo, imponendogli comunque la lettura del testo modificato qua e là sul teleprompter. Un vero bavaglio o “gag”, anzi una “muzzle” o museruola alla “Hannibal the Cannibal” per chi aveva basato la sua ascesa al potere su divagazioni, improvvisazioni, diatribe e populismo dei più beceri. Ed il Presidente ha obbedito. Ad esempio non ha menzionato la Russia di Putin verso cui aveva professato stima ed amicizia meritandosi il soprannome di “Manchurian Candidate”.

È qui d’uopo un’osservazione, marginale per un modesto giornalista italiano che per quattro decenni ha criticato la politica interna ed estera del grande impero d’occidente: ha provato e continua a provare disagio per la consonanza delle mie opinioni con quelle dei grandi mass media statunitensi schierati, anzi scatenati contro il Donald e furibondi per le sue invettive contro gli operatori dell’informazione.

Il problema è che questi operatori sono sotto libertà vigilata dalla fine della guerra nel Vietnam, quando reti televisive come la NBC, la CBS, la ABC, per non parlare di agenzie di stampa e di quotidiani come il New York Post, accusati di aver contribuito alla disfatta del paese nel sud est asiatico, sono state acquistate da grandi corporazioni quali la General Electric, la Warner Brothers e altre 48 compagnie manifatturiere, telematiche e finanziarie. Oggi in pratica l'establishment, i poteri forti, i “dark powers” come vengono chiamati dall’esigua se non inesistente sinistra americana controllano il 90% dei media e sono diventati paladini della libertà di stampa, attaccando quotidianamente un Presidente anomalo, iperpopulista ma pur sempre di estrema destra.

Come si spiega questa conversione improvvisa sulla via di Damasco? Secondo chi scrive queste note e pochi altri ben più autorevoli studiosi statunitensi ed europei, il perché trova risposta nel filo rosso che percorre e condiziona la storia della repubblica stellata dall’impiccagione dei quattro martiri di Haymarket nel 1886 a Chicago ai nostri giorni (il Primo maggio e cioè la festa del lavoro che celebra quell’evento in tutto il mondo è stato rimosso e spostato negli USA ai primi di settembre). È il filo rosso della lotta spietata alla giustizia e all’eguaglianza sociale, ai movimenti che hanno sostenuto quella causa, al socialismo in tutte le sue denominazioni, ai sindacati la cui repressione è stata la più sanguinosa di qualsiasi altro paese industrializzato e naturalmente all’Unione Sovietica e oggi alla Federazione Russa. La professata e a quanto sembra finanziariamente interessata amicizia di Donald Trump per Vladimir Putin da un anno a questa parte ha contribuito a cementare l’accanita opposizione della stampa benpensante e di tutti i mass media al presente inquilino di Pennsilvania Avenue.

Sarebbe questo il motivo per cui la Russia non è stata menzionata nel discorso al Congresso, la Nato fino a ieri obsoleta ed inutile è tornata il fiore all’occhiello del Capo dell’esecutivo, le sanzioni contro la Federazione sono state confermate e il bilancio della difesa USA già astronomico a 500 e più miliardi è stato aumentato del 10 per cento.

E poi in quel discorso il patriottismo come il prezzemolo, su tutti i temi trattati e qui non ci soffermiamo sulla citazione di Samuel Johnson secondo cui il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie.

Ora che la popolarità del Trump è in calo ed è circoscritta ai ceti esasperati dello anti-establishment e dei fanatici della Bible Belt, si incomincia a parlare dell’Impeachment.

Il New York Times è arrivato al punto di opinare che forse non ce ne sarà bisogno con un articolo di Richard Friedman del 17 febbraio dal titolo “È giunto il momento di definire Trump mentalmente infermo?”. Narcisismo, schizofrenia, bipolarismo, megalomania sono le ipotesi formulate con estrema cautela.

Non sarebbe necessario affrontare la complessa procedura congressuale dello Impeachment: basterebbe il ricorso al paragrafo 4 del venticinquesimo emendamento della costituzione che prevede la destituzione del Presidente nel caso non sia più in grado fisicamente o mentalmente di assolvere alle sue funzioni, che verrebbero assunte dal Vice Presidente. Nella fattispecie la diagnosi di psichiatri di chiara fama sostenuti da un certo numero di membri dell’esecutivo sarebbe sufficiente a rimuovere il Donald.

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