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27/10/2017

Iraq - Passa per il kurdistan l'attacco israeliano all'Iran

di Michele Giorgio – il Manifesto

Iran, Iran e ancora Iran. Non si parla d’altro ai vertici politici e militari di Israele. Da quando Donald Trump non ha certificato l’accordo sul programma nucleare iraniano del 2015, il governo Netanyahu sa di aver un’occasione d’oro, forse unica, per vedere Tehran costretta a fare i conti con nuove pesanti sanzioni americane e, forse, anche internazionali. Senza l’esclusione dell’uso della forza. Il ministro per l’intelligence, Israel Katz, in visita in Giappone in questi giorni, ha detto perentorio che Israele è pronto a ricorrere a un attacco militare pur di «fermare» l’Iran.

Il problema di Israele è che l’Iran la bomba atomica non la possiede e le sue centrali nucleari per la produzione di energia sono soggette a controlli rigidi e costanti previsti dall’accordo del 2015. I suoi attacchi all’Iran perciò si concentrano su altri aspetti, le altre «forme di aggressione iraniane» di cui parla Trump, che, si augura Tel Aviv, potrebbero indurre la comunità internazionale a cestinare l’intesa sul nucleare, come, ad esempio, la produzione di missili balistici.

Sul tavolo sono finite anche le vicende nel Kurdistan iracheno, con i Peshmerga costretti ad abbandonare Kirkuk sotto la pressione dell’esercito governativo e delle milizie sciite dopo il referendum per l’indipendenza curda del 25 settembre. Per Israele ciò dimostra che l’Iran ha il controllo dell’Iraq attraverso l’impiego le milizie sciite sue alleate.

L’Arabia Saudita gioca ugualmente le sue carte in Iraq e così fanno la Turchia, il Qatar e lo stesso Israele che nel Kurdistan ha sempre avuto buoni amici, al punto da essere stato l’unico Stato al mondo a pronunciarsi il mese scorso a favore dell’indipendenza curda. L’attenzione tuttavia si concentra solo sui disegni di Tehran.

Il governo Netanyahu tace ma in Israele più voci denunciano «l’abbandono» da parte dell’Occidente del presidente curdo Masoud Barzani. Si sottolinea che i Peshmerga che sono stati decisivi per la sconfitta dello Stato islamico in Iraq, sono stati lasciati soli. E alcuni puntano l’indice contro i curdi del clan Talabani vicino all’Iran, al contrario dei filo-israeliani e filo-occidentali Barzani. 

Sul Jerusalem Post, Caroline Glick, analista cara alla destra, ha ricordato che Jalal Talabani, morto qualche settimana fa, si opponeva all’indipendenza curda. «Sabato scorso – ha scritto Glick , affiancato dai due comandanti sciiti iracheni, il generale iraniano Qassem Soleimani (capo della Brigata Gerusalemme nella potente Guardia Rivoluzionaria, ndr) ha detto ai Talabani di sostenere il ripristino del controllo del governo iracheno, cioè il controllo iraniano, su Kirkuk».

L’analista ha accusato Alaa Talabani, nipote di Jalal, di aver raggiunto un’intesa con Soleimani, per affossare l’indipendenza curda e isolare Barzani. Altre fonti israeliane parlano della costituzione di una autorità nella zona di Halabja-Sulaymaniyah-Kirkuk amministrata dal governo iracheno e dai curdi non indipendentisti. In linea, dicono, con gli interessi dell’Iran. Interessi da contrastare ad ogni costo, anche con la guerra.

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