Una sentenza annunciata dalla stampa il giorno prima che fosse emessa da una Corte Costituzionale opportunamente modificata nella composizione, tanto da consentire il ribaltamento della precedente sentenza del 2015, che considerava incostituzionale il blocco della perequazione imposta con il decreto Salva Italia. Tanto è che fior di giuristi nonché docenti universitari che si espressero contro la precedente sentenza di incostituzionalità oggi sono componenti della Consulta.
Secondo la nuova sentenza un rimborso parziale della mancata perequazione, come è avvenuto con il decreto Poletti, estingue il diritto dei pensionati a vedersi riconosciuto l’intero ammontare dell’integrazione, parliamo di 90 euro mensili per pensioni da 1500 euro lorde.
È evidente come l’operato della Consulta abbia considerato l’impatto finanziario sui conti dello Stato, giustificandolo con il pareggio di bilancio e altri vincoli legislativi, anziché evidenziare il sacrosanto diritto dei pensionati. Stiamo parlando di una platea di 5,2 milioni di cittadini aventi diritto a diverso titolo.
Siamo di fronte ad un processo di trasformazione del riconoscimento giudiziario dei diritti costituzionali ormai subordinati al pareggio di bilancio e alle compatibilità economiche del governo. È la negazione del diritto stesso.
Sebbene questo evento faccia cadere la fiducia nella via giudiziaria al ripristino dei diritti violati, proseguiremo tale battaglia con un RICORSO ALLA CORTE EUROPEA DEL DIRITTI DELL’UOMO, con l’obiettivo di smascherare questo processo di subordinazione del diritto alle politiche di bilancio.
Tuttavia, come da tempo abbiamo sostenuto, i diritti si difendono con la mobilitazione e la costruzione di un’opposizione sociale che ne imponga il rispetto. Lo sciopero del 10 novembre va in questa direzione e le iniziative di lotta provinciali che proseguiranno con la manifestazione nazionale del l’11 novembre, possono diventare il primo segnale di una giurisprudenza sociale di acquisizione di diritti universali.
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