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24/10/2017

Catalogna: un golpe targato Ue. Non si può rimanere indifferenti

“La crisi catalana, da qualunque parte la si guardi, è forse la peggiore della storia (dell’Unione Europea, ndr), ancora maggiore della Brexit”. Così scriveva pochi giorni fa il giornalista Alberto Negri, lucidissimo commentatore dei fatti mediorientali e al tempo stesso convinto europeista, sottolineando un aspetto che continua a sfuggire a molti.

Soprattutto a coloro che da sinistra, utilizzando un metro di giudizio libresco e ideologico, continuano a chiedersi ‘a chi giova’ un’eventuale secessione catalana, non cogliendo il carattere potenzialmente dirompente per gli equilibri interni al polo imperialista europeo del conflitto in corso tra Barcellona e Madrid.

La partita in corso non riguarda solo l’eventuale unità dello Stato Spagnolo, ma l’opportunità di mettere in crisi un processo continentale di integrazione e concentrazione del potere e della ricchezza che continua a generare crisi e contraddizioni, all’interno delle quali ogni forza realmente antagonista non può che incunearsi nel tentativo di allargare la frattura, e non certo ricucirla.

Nell’ultimo mese ogni mossa del governo e degli apparati spagnoli contro le forze indipendentiste in Catalogna è stata accompagnata e sostenuta da praticamente tutti gli organismi di governance dell’Unione Europea, senza eccezioni.

Prima la censura e gli arresti, poi la proibizione del referendum del 1 ottobre, poi il tentativo di impedirlo con la violenza di massa; ora l’Unione Europea avalla addirittura un colpo di stato ‘da manuale’ che mira, attraverso l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione post-franchista, a destituire il governo catalano democraticamente eletto e a mettere il bavaglio alla stampa per forzare elezioni condizionate da un vero e proprio stato d’assedio che riconsegnino il potere all’oligarchia centralista spagnola e a quella catalana anti-indipendentista.

Nessuna voce critica si è levata dall’establishment europeo a difesa del diritto all’autodeterminazione del popolo catalano e della democrazia. Gli stessi ambienti ed esponenti dell’oligarchia continentale che sostengono una maggiore autonomia delle regioni ricche del Nord Italia – perché funzionale ad un ridisegno dello spazio europeo in linea con le esigenze di maggiore integrazione con la filiera produttiva e politica tedesca – si schierano senza tentennamenti a difesa di Madrid.

Dalla vicenda catalana, così come da quella greca, la tradizionale narrazione autocelebrativa di una Unione dei popoli e dei cittadini all’insegna della democrazia, dei diritti, della tolleranza e della modernità esce di nuovo e irrimediabilmente delegittimata.

L’Unione Europea non solo continua a violare e a negare quella volontà popolare che ogni volta che può esprimersi su questioni dirimenti rigetta i diktat di Bruxelles, Francoforte e Parigi, ma recupera e rivaluta gli elementi e le caratteristiche più reazionarie dei singoli stati nazionali, come la monarchia spagnola erede diretta e continuatrice del regime fascista, pur di riuscire a puntellare l’attuale status quo. L’obiettivo è garantirsi un grado di stabilità e di coesione interna tali da permettere al polo imperialista europeo di poter competere ad armi pari con i suoi contendenti sullo scenario globale.
Per questo la “grana catalana” in seno all’Ue non può essere liquidata come una faccenda estranea, aliena agli interessi delle classi popolari e alla strategia dei comunisti e di tutti quei movimenti che si battono per la rottura dell’attuale status quo.

Inoltre la vicenda catalana riporta all’ordine del giorno alcune questioni fondamentali che non possono essere rimosse: quali possono essere le caratteristiche e i soggetti alla base di una rottura possibile, qui ed ora, all’interno di un polo imperialista nel XXI secolo? Date le condizioni di partenza, i rapporti di forza tra le classi, la mancanza di un polo alternativo anticapitalista e antimperialista sul piano internazionale e la debolezza estrema di una soggettività politica antagonista, è impensabile attendersi che la rottura con l’attuale ordine sociale, economico e ideologico nell’occidente capitalistico debba e possa avvenire sulla base di forme ed espressioni che hanno caratterizzato una composizione di classe spazzata via da decenni di processi di precarizzazione e atomizzazione sociale.


Chi, all’interno della contesa tra Repubblica Catalana e Spagna Reazionaria, pretende di riconoscere una “classe operaia” da identificare a partire da forme ed espressioni che essa non possiede più da decenni e che appartengono alla storia, farebbe bene a cercarla in una composizione di classe dinamica e contraddittoria ma pur sempre alla base di una mobilitazione popolare che non ha eguali nel resto del continente e che si scontra con gli apparati dello Stato, le sue istituzioni, la sua ideologia e la sua legalità.

Anni di gestione autoritaria e liberista della crisi economica da parte dell’Unione Europea e dei governi di Madrid e Barcellona, insieme al muro opposto al tentativo di riforma dello Statuto di Autonomia catalano, hanno prodotto in Catalogna un processo di politicizzazione e radicalizzazione di settori sociali di massa e delle loro rappresentanze politiche che è alla base dell’attuale sfida indipendentista, all’interno della quale la lotta di classe si esprime anche attraverso la rivendicazione nazionale.

Accanto ad una piccola borghesia radicalizzatasi a causa di potenti processi di proletarizzazione prodotti dalla ‘globalizzazione’ e dal feroce meccanismo di integrazione europea si muovono ampi settori popolari e proletari che nella lotta per l’indipendenza intravedono una possibilità di rompere gli asfissianti equilibri economici e sociali imposti e blindati non dal solo Partito Popolare ma da un vero e proprio regime, frutto dell’autoriforma del franchismo nel 1978 e che riunisce in un solo blocco monolitico anche i socialisti e la nuova destra modernista di Ciudadanos.

Al momento il movimento popolare catalano non costituisce sicuramente ancora un soggetto autonomo dal punto di vista organizzativo e dotato di una propria linea strategica indipendente, anche a causa delle ambiguità e delle complicità che contraddistinguono alcune forze della sinistra spagnola e catalana. Ma il suo ingresso sulla scena durante le proteste contro gli arresti del 20 settembre, il referendum del 1 ottobre e ancor più lo sciopero generale del 3 ottobre è stato imponente. E gli eventi di questi giorni costituiscono una ‘scuola’ ideologica e di coscienza da non sottovalutare.

Che il movimento popolare sappia organizzarsi rapidamente e prendere la guida del conflitto con Madrid evitando che si attesti su una sterile ricontrattazione tra elites spagnole e catalane (ad esempio sull’autonomia fiscale) e acquisisca caratteristiche di rottura sul piano economico e sociale è ancora presto per dirlo.

Sicuramente il ricatto delle imprese catalane e la mancanza di sostegni significiativi all’interno dell’Unione Europea e della cosiddetta comunità internazionale spingono i dirigenti della Generalitat, in primis Puigdemont, a rifuggire un’accelerazione e una radicalizzazione dello scontro che possa alimentare forme di organizzazione e contropotere popolare ostili in prospettiva agli stessi interessi della piccola borghesia catalana e quindi della sua rappresentanza politica. Puigdemont e i suoi collaboratori finora hanno cercato di mantenere il conflitto all’interno di un livello fondamentalmente civico e istituzionale, anche per non rompere definitivamente con quella media e alta borghesia catalana che sono ferocemente contrarie all’indipendenza e non hanno esitato a schierarsi con gli apparati dello stato contro il proprio popolo.

Ma l’intransigenza dello Stato Spagnolo e il sostegno totale da parte dell’Unione Europea alla strategia repressiva di Madrid potrebbero ulteriormente indebolire e condizionare Puigdemont – eliminando ogni spazio e possibilità di mediazione – e rafforzare così le spinte popolari e conflittuali all’interno del movimento indipendentista.

Il colpo di stato ‘costituzionale’ di Madrid in Catalogna può nei prossimi giorni estendere la base di classe dell’indipendentismo anche a quei settori popolari che finora si sono riconosciuti nella linea ‘equidistante’ di Podemos ma che di fronte ad un intervento apertamente fascista e colonialista delle istituzioni centrali potrebbero decidere di schierarsi come del resto hanno già fatto il 1 e il 3 ottobre scorsi.

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