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19/10/2017

17 ottobre 1977 la strage di Stammheim – in Italia si torturava, in Germania si uccidevano i compagni imprigionati

Nel 1976 e nel 1977, lo stato della Germania dell’Ovest, per cercare di stroncare la guerriglia interna, assassinò nelle sue carceri i prigionieri della Raf: Ulrike Meinhof nel 1976; e l’anno successivo, nel carcere di Stammheim, Andreas Baader, Jan Karl Raspe e Gudrun Ensslin, i primi due a seguito di colpi di arma da fuoco, la terza impiccata. Irmgard Möller (a volte scritto anche Moeller), anche lei prigioniera a Stammheim, è stata l’unica sopravvissuta a quel massacro: fu ferita gravemente da quattro coltellate. (Da un’intervista alla Moeller di prossima pubblicazione su questo Blog)

Questa è la sua testimonianza su quella notte. La Moeller smentisce tutte le menzogne che hanno sostenuto la tesi di regime del “suicidio”. Tesi sostenuta anche da “pentiti” e “dissociati” in cambio di congrui sconti di pena. Queste falsità sono presenti nel bruttissimo film di Uli Edel “La banda Baader Meinhof” del 2007, e nel libro pieno di falsità del “pentito e dissociato” Peter Jürgen Boock “L’autunno tedesco” (vedi qui cosa ne dice il militante della Raf, Klaus Viehmann).

*****

Nel 1976 Ulrike Meinhof è morta in carcere. Come hai appreso la notizia?

Di mattina alla radio, con il supplemento che disse che si era suicidata. In quel periodo ero ancora ad Amburgo Holstenglacis ed avevo l’ora d’aria con Ilse Stachowiak o Christa Eckes o Margrit Schiller. Eravamo come elettrizzate. La notizia era identica a quella del BILD del luglio 1972 nel quale era corsa voce che Ulrike si fosse suicidata per tensioni nel gruppo. Per questo pensammo all’inizio “ non può essere vero”, lei viva, era poi stata da noi. Quando non ci furono più dubbi sulla morte avemmo la consapevolezza che fosse stata assassinata. Conoscevamo le sue lettere che fino all’ultimo aveva scritto ad ognuno di noi. Da esse si capiva la stretta relazione che aveva con noi e sapevamo altresì del suo lavoro sul processo di Stammheim dove si trattava di chiamare a testimoniare testi del governo USA, membri del governo e rappresentanti del pentagono, membri del governo RFT di tutto il decennio della guerra del Vietnam, ex membri della CIA, polemologi cioè tutti quelli che avrebbero potuto dire qualcosa sull’escalation e la partecipazione del governo federale tedesco alla guerra di aggressione contro il Vietnam.

Infine aveva lavorato ad una istanza per chiamare a testimoniare Willy Brandt e chiedergli del suo rapporto con la CIA. Era particolarmente ferrata e dirompente nella storia della repubblica federale.

Ulrike sapeva che c’era un azione di liberazione ma come noi non sapeva esattamente né quando né come. Si trattava concretamente di due azioni, l’una dietro l’altra ed entrambe preparate da più organizzazioni. La prima fu il sequestro aereo del giugno 1976 conclusosi ad Entebbe, azione che, per come si svolse, non ebbe il nostro assenso. La seconda per gli sviluppi in Libano saltò. Che un’azione di liberazione ci dovesse essere lo sapevano anche i servizi segreti. Il ministro Maihofer lo dichiarò pubblicamente per giustificarsi di fronte al caso Traube (è il caso del fisico Walter Traube, socialdemocratico collaboratore di una società di costruzione di centrali nucleari, che fu licenziato dopo un anno di controlli telefonici da parte del Verfassungsschutz – servizi segreti – per i suoi contatti con attivisti antinucleare). Dopo la storia di Stoccolma, il governo Schmidt era deciso a fare l’impossibile per evitare nuove azioni di liberazione. Il modo più efficiente è alla fine quello di uccidere i prigionieri. Dopo le torture nel braccio morto e il tentativo di psichiatrizzare Ulrike per impedirgli di pensare, sembrò essere la soluzione migliore. Sin dall’inizio Ulrike fu l’obiettivo centrale delle azioni contro la RAF. La sua storia particolare di vent’anni di resistenza antifascista, la sua rottura rivoluzionaria con le forme borghesi della politica comunista e il legalismo senza esito dell’opposizione alla guerra in Vietnam, il movimento studentesco, la sua notorietà internazionale furono le coordinate della trama e del calcolo per l’azione che, inscenando un “suicidio”, avrebbe avuto un effetto demoralizzante nei gruppi di guerriglia e nei movimenti di liberazione, ma anche che facesse apparire un’azione di liberazione inutile e che fosse “l’eliminazione dei capi per sgretolare il gruppo” per usare le parole del capo del Verfassungsschutz di Amburgo Horchem. Che con noi fosse diverso, è un’altra questione.

Ci fu una commissione d’inchiesta indipendente sulla sua morte nella quale si sono riuniti personalità internazionali. Nel resoconto finale arrivarono alla conclusione “ Non è stato prodotto un solo dubbio che superi tutte le prove che Ulrike non fosse più viva al momento dell’impiccagione. Al contrario si può dimostrare che fosse già morta”.

La procura ha sostenuto che Ulrike si fosse suicidata per le tensioni all’interno del gruppo, prima tra tutte Gudrun Ensslin

Come prova portarono bigliettini singoli forniti dalla procura e dal ministero della giustizia del Baden Württemberg tra Ulrike e Gudrun, ma risalivano a un particolare periodo nel 1975, quindi già vecchi. Inoltre non erano completi... La polemica interna era già stata risolta da tanto tempo al momento della sua morte. Quando fummo assieme a Stammheim ne parlammo a lungo, anche di come un prigioniero possa vedere la morte come unica possibilità contro la lenta distruzione. Eravamo sicuri che se Ulrike si fosse sentita così ce ne avrebbe parlato. Ad Andreas e agli altri. Non c’era motivo di nascondere questi sentimenti in una tale situazione, anzi il contrario.

Cronaca di quel periodo – L’autunno tedesco e le sue conseguenze

Il 1977 fu un anno di crisi. A febbraio lo Spiegel pubblicò i documenti del caso Traube titolando “stato di diritto o stato atomico?”. Si scoprì inoltre che nel biennio 1975/76 si erano effettuate intercettazioni nelle celle di prigionieri, soprattutto della RAF.

Il movimento antinucleare si trovò di fronte al confronto con la questione della violenza. Se a febbraio a Brokdorf c’era stata una manifestazione pacifica dove i manifestanti non si lasciarono dividere tra buoni e cattivi, a Malville in Francia la polizia fece un morto e numerosi feriti gravi.

Il 23 e 24 settembre si manifestò contro il reattore di Kalkar, 20.000 furono bloccati dagli sbarramenti della polizia con carri armati, elicotteri e un intero apparato militare. L’impreparazione a tale apparato militare venne definita “Kalkar Schock”. Il movimento antinucleare non fu solo indebolito dall’aspro confronto con la polizia, si era anche orientato in maniera diversa nei contenuti. Non si parlava più del significato militare della cosa, ma di quello ecologico, del pericolo di fronte ad una catastrofe nucleare.

La RAF intanto cercava di liberare i suoi prigionieri. Durante il 1977 si consuma la seconda offensiva della RAF. Il 7 aprile ‘77 a Karlsruhe il ”Kommando Ulrike Meinhof “ assalta l’auto dove viaggia il procuratore generale Sigfried Buback uccidendo a raffiche di mitra lui, il suo autista ed un poliziotto della scorta.

Il 28 dello stesso mese si conclude il lungo processo a carico di Baader, Ensslin, Raspe per gli attentati del 1972: tutti e tre vengono condannati all’ergastolo.

Il 30 luglio il presidente della Dresdner Bank, Juergen Ponto viene ucciso nella sua casa in un tentativo di sequestro.

Il 5 settembre ‘77 a Colonia il commando “Siegfried Hausner” della RAF sequestrò il presidente della Arbeitgeber Hans Martin Schleyer uccidendo i tre agenti della scorta e l’autista. In cambio della liberazione di Schleyer il commando chiedeva la liberazione di 8 detenuti della RAF e il trasporto in un paese a loro scelta, così come la somma di 100.000 Marchi ciascuno.

Due giorni dopo, 72 prigionieri vengono posti in isolamento con il blocco totale dei contatti sia tra prigionieri sia con l’esterno, radio tv e giornali vengono altresì proibiti. L’ operazione viene legalizzata da una legge ad hoc approvata il 29 settembre. Occorre far notare che con le due unità di crisi vengono uniti potere legislativo ed esecutivo e che gli ordini del tribunale che sanciscono l’incostituzionalità dei provvedimenti e che permettono un incontro tra prigionieri ed avvocati vengono ignorati.

A metà settembre il commando con l’ostaggio si trasferisce da Colonia a l’Aia per sfuggire alla pressione investigativa. Alla fine del mese il commando si divide: una parte si trasferisce con l’ostaggio a Bruxelles e gli altri membri vanno a Baghdad per incontrarsi con membri della resistenza palestinese con la mediazione di un membro delle R.Z. (Cellule Rivoluzionarie). Nella capitale irachena Abu Hani propone un dirottamento aereo a supporto del sequestro Schleyer.
Visto che le autorità non cedevano allo scambio il 13 ottobre un commando palestinese del S.A.W.I.O, con la supervisione di Abu Hani del PFLP/SC dirottò il Landshut, un Boeing 707 della Lufthansa della linea Maiorca – Francoforte, con 86 passeggeri a bordo chiedendo la liberazione di una lista di prigionieri politici, tra i quali il vertice della RAF.

I giornali reazionari come il BILD chiedono l’esecuzione di “terroristi” per rispondere a quella di ostaggi, pure sul giornale liberale FAZ si legge “non sarebbe il tempo di istituire un diritto d’emergenza contro i terroristi?” settori della CSU chiedono la pena di morte.

Il 17 ottobre verso la mezzanotte un commando delle truppe speciali tedesche, il GSG 9, assaltò l’aereo uccidendo tre dei quattro dirottatori e ferendo la quarta. La mattina seguente nelle loro celle di massima sicurezza del carcere di Stammheim (Stoccarda) vennero trovati morti Andreas Baader, Jan Karl Raspe e Gudrun Ensslin. I primi due a seguito di colpi di arma da fuoco, la terza impiccata. Irmgard Moeller invece era ferita gravemente da quattro coltellate al petto. La versione ufficiale parla di suicidi a seguito della notizia del fallimento del dirottamento aereo, senza però riuscire a spiegare come avevano potuto saperlo e come potevano avere due pistole e un coltello in un carcere di massima sicurezza, trovandosi inoltre in isolamento da due mesi. Per l’estrema sinistra furono omicidi di stato.

Oltre alla seguente testimonianza della Moeller ci sono numerose incongruenze nella versione ufficiale. Perché il mancino Baader teneva la pistola nella mano destra? Come ha fatto a spararsi da trenta a quaranta centimetri nella nuca? Perché il cavo elettrico con la quale la Ensslin si sarebbe impiccata si rompe al tentativo di sollevarla? Inoltre vennero rinvenute ferite che non avevano a che fare con l’impiccagione. Appare altresì strano che non ci fossero impronte sulla pistola di Raspe.

A seguito di questi avvenimenti venne ucciso Schleyer. Il suo cadavere fu scoperto dietro segnalazione, nel portabagagli di un Audi 100 a Mulhouse, in Francia.

Il mese successivo venne trovata impiccata nella sue cella, anche Ingrid Schubert, un’altra prigioniera della RAF di cui era stata chiesta la liberazione. Permangono gli stessi dubbi, tanto più che lei, a differenza dei tre che avevano preso da poco un ergastolo, sarebbe uscita nel 1982. Nei due anni successivi nel corso di operazioni di polizia, vennero uccisi altri tre membri della RAF: Willy Peter Stoll (a Duesseldorf il 6 settembre1978), Michael Knoll (24 settembre1978 presso Dortmund) ed Elizabeth Von Dyck (a Norimberga il 4 maggio 1979). Rolf Heissler scampò invece alla morte solo perché riuscì a ripararsi la testa con una cartellina che deviò il colpo mortale.

Nella società tedesca si assistette ad un operazione di massiccia censura di tutto ciò che mostrasse simpatia per i movimenti di liberazione, persino un pezzo teatrale come “Antigone” (di Sofocle) venne censurato. L’interdizione dall’impiego, la limitazione dei diritti della difesa e la censura furono criticati dal tribunale Russell.

Quando avete saputo a Stammheim che Schleyer era stato rapito?

La sera stessa dalla TV. Poco dopo venne un commando di polizia. Dovemmo spogliarci nudi, i nostri vestiti vennero vagliati minuziosamente e poi fummo chiusi in celle vuote ad aspettare la fine della perquisizione di sbirri e magistrati. Alla prima occhiata mancavano la radio, tv, giradischi e tutti gli accessori. A questo punto eravamo 4 nel braccio morto, Nina era stata spostata a Stadelheim il 18 agosto e doveva tornare subito da noi. Fino ad allora avevamo delle mensole davanti alle celle (nel corridoio) con degli oggetti che usavamo in comune come libri, roba da toilette ecc. il 6 settembre il corridoio venne sgomberato e tutta la roba fu messa sotto chiave. Da allora in avanti non potevamo usare più nulla in comune né consolarci a vicenda. Il blocco dei contatti era già stato attivato, non solo contro di noi, ma contro tutti i prigionieri politici nella RFT. Erano più di 90.

Prima del rapimento Schleyer avete vissuto in celle d’isolamento?

Prima la notte potevamo rimanere assieme, uomini e donne divisi. Da agosto ero assieme a Gudrun, anche perché era estremamente indebolita dagli scioperi della fame e della sete e pensavamo che non ce la facesse a sopravvivere. Nella notte fummo divise e rimanemmo tutti in celle d’isolamento.

Avete riavuto le cose confiscate nella perquisizione?

No. Dopo alcuni giorni riavemmo solo il giradischi. Ciò che poteva servire per l’informazione se lo sono tenuto.

Avevate saputo in anticipo che Schleyer sarebbe stato rapito? C’erano stati accordi tra di voi e le persone che formarono il commando Siegfried Hausner?

Non c’erano stati accordi col commando. È stato detto che i prigionieri gestivano le azioni dalla cella, ma non è così. Come avremmo potuto farlo? Avemmo però il presentimento che qualcosa sarebbe avvenuto. Il 7/4/77 il commando Ulrike Meinhof uccise il procuratore generale Buback mentre ci trovavamo in sciopero della fame per ottenere la revoca dell’isolamento e la riunione in un gruppo di 15 persone. Durante questo sciopero, dopo l’uccisione di Buback, fummo isolati per la prima volta, senza poter ricevere nemmeno gli avvocati, allora non c’era una base legale che lo permettesse. Per protesta siamo entrati in sciopero della sete. Il blocco dei contatti è stato rimosso, ma le nostre richieste non sono state accolte. In questo periodo ci fu un enorme solidarietà internazionale, teologi, giudici americani, belgi, francesi e inglesi avvocati e giuristi sostennero le nostre richieste di riunione. Il 30 aprile abbiamo ottenuto la promessa che altri prigionieri sarebbero stati trasferiti a Stammheim. Poi il 30 luglio venne ucciso Ponto (….). In quel periodo era chiaro che il processo di Stammheim si avviava alla fine e che ci sarebbe stata la sentenza. Era una fase nella quale è successo molto e l’atmosfera era tesa. Per questo ci aspettavamo che succedesse qualcosa, anche se non sapevamo cosa. Quando abbiamo sentito che Schleyer era stato rapito abbiamo pensato che potesse avere a che fare con noi. Le richieste furono divulgate il giorno successivo, allora fummo isolati completamente.

C’era comunicazione tra di voi?

Potevamo gridarci qualcosa. Principalmente la notte. Quando se ne sono accorti ci hanno inchiodato materassi di gommapiuma davanti alla porta. Inoltre le grida erano difficili da capire perché, dopo che il corridoio era stato svuotato, rimbombava assai

Oltre alla comunicazione a voce c’erano altre possibilità di comunicazione?

No, non avevamo nessuno a cui poter dire le cose.
[….]

Avevo dormito pochissimo nei giorni precedenti, anche di giorno; niente pisolini. Fisicamente ero esaurita per lo sciopero della fame, perché non mangiavo quella roba e ci era proibito l'acquisto di viveri. Non avevo più riserve per rimanere attiva, ma mi aiutava a stare sveglia. Poi ho chiamato Jan tardi in nottata. La cella dove allora stavo era abbastanza sformata e se ci si sdraiava si poteva chiamare da sotto la porta. Jan era davanti a me, a un paio di metri di distanza di lato. Mi ha sentito e risposto ho detto “He, um” per sapere che succedeva. Poi mi son messa sotto le coperte e mi sono addormentata. Quando non so dirlo, con esattezza , ma fu nelle ore successive.

La mia prima sensazione fu un rumore in testa, mentre qualcuno mi apriva le palpebre sotto la luce accecante del corridoio, molte figure attorno a me che mi hanno afferrato. Dopo ho sentito una voce che ha detto “Baader ed Ensslin sono morti”. Infine ho perso i sensi. Mi sono risvegliata completamente giorni dopo nell’ospedale a Tubinga. Un giudice sedeva accanto al letto e voleva sapere cosa fosse successo. Da lui ho sentito che anche Jan era morto. Da lui ho anche appreso che l’aereo era stato assaltato e che i dirottatori, tranne una donna, erano stati uccisi. La mia avvocatessa mi ha detto che ha tentato senza successo di arrivare a me per tutto il tempo.

Ma non potrei raccontarti il senso di quel discorso. Prova a immaginarti che dopo settimane di blocco totale, era il primo contatto con una persona di fiducia. Inoltre ero gravemente ferita ed avevamo solo un ora di tempo. Ero nel reparto ustionati e tutto era piastrellato e sterile. Ero attaccata ad una flebo che gorgogliava, avevo dolori terribili, c’erano sbirri ovunque, persino i dottori di questo reparto erano sorvegliati.

Inizialmente non seppi che ferite avevo. Me lo disse dopo un medico di fiducia. Di 4 coltellate al petto, una aveva colpito il pericardio e ferito un polmone che si era riempito di sangue. A Tubinga mi dovettero incidere la gabbia toracica e posizionarvi un drenaggio per aspirare tutto il liquido della ferita. Il corpo contundente doveva essere stato conficcato con violenza ed essere stato fermato da una costola che presentava un’incisione.

Nel reparto rianimazione rimasi una settimana, là una fisioterapista mi ha aiutato a recuperare la capacità respiratoria. Ho ricevuto forti dosi di tranquillanti e sedativi e mi ricordo poco di quel giorno. Ma un immagine mi è rimasta impressa: giorno e notte c’erano due o tre sbirri con i berretti, mantelli e soprascarpe sterili, mentre davanti alla finestra pattugliavano altri armati di mitra. Il fine settimana mi riportarono in carcere a Hohen Asperg con l’elicottero. Là rimasi 4 settimane per molto tempo non fui in grado di camminare ed ebbi dolori per anni a respirare, tossire, sdraiarmi di fianco e persino a ridere.

Hanno trovato l’arma con la quale sei stata ferita?

Nella versione officiale si parla del coltellino in dotazione, ma non quadra perché la ferita è piuttosto profonda. Quello era un coltellino che si utilizza per spalmare il burro e, assieme alle forbicine per ritagliare giornali che erano in un angolo, fu l’unico oggetto “da taglio” ritrovato in cella. Ma non si trattava di esse, loro dissero che era stato il coltello smussato.

Il tuo avvocato ha parlato con i medici per sapere se le ferite sarebbero state compatibili con un coltellino del genere?

Hanno provato a parlare con i medici e il personale d’assistenza, ma hanno sempre trovato porte chiuse. Gli era proibito parlare con il mio avvocato. Alcune infermiere hanno tentato di fargli arrivare notizie, ma non ha funzionato granché. Il personale aveva paura. Anche gli avvocati erano stati intimiditi. Vennero istituiti numerosi procedimenti disciplinari contro i nostri avvocati, non erano certo buone premesse per chiarire qualcosa. Io stessa ho provato ad avere gli atti e la documentazione, inutilmente. Le lastre non ho mai potuto vederle. Anche in seguito, quando ero a Lubecca ed avevo ancora dolori al respiro, il medico della prigione le ha richieste. Pensavamo che da prigione a prigione potesse funzionare. Ma nulla, le due prigioni non le hanno spedite (Hoheasperg e Stammheim).

Quando hai raccontato per la prima volta ciò che ti è successo?

Prima ho parlato con un avvocato, poi ho fatto le mie dichiarazioni davanti alla commissione di inchiesta. Era il 16 gennaio 1978. Avrebbero già voluto farlo nel dicembre 1977, ma ero troppo debole e mi trovavo in sciopero della fame perché volevo assolutamente essere raggruppata con gli altri. Fu tremendo. Giacevo in divisa carceraria sul materasso in terra ed ero sorvegliata continuamente. Venne poi un funzionario della commissione d’inchiesta e mi disse che ero tenuta a rilasciare una dichiarazione e di tenermi pronta per l’8 dicembre. La dichiarazione si sarebbe svolta a porte chiuse. Ma in questo modo mi sono rifiutata. Così hanno stabilito il termine per gennaio 1978.

Ci andai perché volevo dichiarare pubblicamente di fronte alla stampa. L’audizione si svolse nella sala dove c’era stato il processo. C’erano 200 posti ed erano tutti gremiti. Risposi alle loro domande. Il protocollo si può anche leggere. Gli atti della commissione non li ho ricevuti fino ad oggi. Non ho potuto correggere, cambiare o aggiungere cose al contenuto della mia dichiarazione perché nessuno me l’ha data. La versione stampata non è autorizzata e neppure completa.

Com’era la situazione per te? Quella notte ti sei alzata ed eri gravemente ferita. Che hai pensato?

Per me fu tutto confuso. C’era il dolore terribile che gli altri non fossero più con me. Non avevo però neppure il tempo di rattristarmi, dovevo chiarirmi la situazione. Riflettei ai segnali che c’erano stati di una tale escalation. Volevo chiarire un po’ di cose. Nel corso degli anni c’erano state minacce di morte contro Andreas, Ulrike era morta, avevamo pensato che tali omicidi potessero succedere, non ci siamo mai sentiti sicuri in galera. Questo era un motivo per il quale volevamo restare uniti e non lasciarci dividere, per proteggerci a vicenda. Ma sapere che questo può avvenire, è ben altro che viverlo in realtà. Da sola dovevo venirne a capo. Era un dolore totale che mi stordiva più della paura che qualcuno ci riprovasse.

Poi ho tentato meglio che potevo per arrivare alle informazioni. Ciò ha caratterizzato il corso dei miei giorni allora. Fu terribilmente difficile perché non avevo giornali, non avevo gli atti e non potevo avere visite. Gli avvocati venivano ma avevamo appena il tempo di discutere solo le cose più necessarie e urgenti. Non avevo nulla da verificare o controllare. All’Hohen Asperg hanno tolto il blocco dei contatti a fine ottobre. La radio non me l’hanno ridata perché dissero che avrei potuto usare il filo per impiccarmi. Con questa scusa mi hanno tolto tutto. In questo periodo, quando giravano la gran parte delle informazioni ed ho tentato con urgenza di sapere le cose. Non avevo accesso al mondo.

Non avevi neppure giornali? Con quelli è difficile impiccarsi...

Tagliavano tutto ciò che potesse aver a che fare con Stammheim o il Landshut nel senso più ampio. Li ho avuti 20 anni dopo quando sono uscita di carcere nella cassa dei “beni”. Allora dai giornali leggevo solo lo sport e forse un paio di articoli del Feuilleton.

Non hai potuto ricevere testi o informazioni per posta dai difensori?

Gli avvocati non hanno spedito nulla. Avevano paura che tutto fosse illegalizzato come sistema d’informazione. Di fronte al clima arroventato era anche un timore giustificato. In Germania due avvocati erano già in galera e Klaus Croissant era in Francia in attesa di estradizione.

Quando avesti di nuovo contatti con qualcuno del tuo gruppo?

Per lungo tempo non avvenne. Avevo voglia di essere riunita con gli altri, in particolare con Nina (Ingrid Schubert). A Hohen Asperg sentii da lontano un brano della radio: Ingrid Schubert si era impiccata a Hohen Asperg. Ero come tramortita. Era il 12 novembre. Si parlò subito di suicidio per quanto tutti i fatti parlassero contro. Ho letto molto più tardi le sue lettere dell’ultima settimana e descrive di come fu assalita il 18 ottobre e sottoposta a perquisizione ginecologica. I suoi piani per il futuro prossimo erano quelli di tornare con noi. Dalla pubblica discussione è uscita subito perché non è morta a Stammheim e perché nonostante le stranezze non ci fu nessuno che continuò le indagini. Gli atti furono chiusi nel 1978.
[…]

Altra domanda fondamentale è come avreste potuto procurarvi armi. K.H. Roth in un’intervista al “Konkret” sostiene che c’erano armi in cella e la cosa era risaputa dalle autorità senza che si sapesse però esattamente quali fossero.

Non avevamo armi. Dire che avessimo nascosto armi in cella ha poco senso perché durante il blocco dei contatti dovemmo spostarci più volte e non sapevamo in anticipo né quando né dove.
Se avessimo avuto armi ne avremmo fatto altro uso che quello di suicidarci. Ci saremmo difesi o tentato di uscirne e certamente non ci saremmo uccisi isolatamente.

Vista così avrebbe senso lo scenario ipotizzato da Schmidt a una conferenza: Baader avrebbe tentato di portare qualcuno della cancelleria da voi in prigione per prenderlo in ostaggio.

Ma non l’ha fatto! Se avessimo progettato un’azione di liberazione da Stammheim avremmo tramato ben altro. Scenari del genere sono, di fronte agli scenari che avevamo davanti, totalmente irrealistici. Siamo stati perquisiti continuamente, tutto era sorvegliato. Non avevamo armi. Come poi? Andreas, come risulta anche dalla documentazione del governo, aveva uno scopo politico. Non era un’azione mascherata. Certo di solito piace girarci intorno, ma porta poco lontano. La realtà del 1977 ha lasciato poco spazio a questi pensieri artistici. Vivevamo in una condizione estrema, il blocco dei contatti appunto.

Il fatto che avevate armi in cella non è sostenuto solo dalla commissione, ma anche alcuni testimoni che dicono di aver aiutato a imboscare le armi. A questa storia di Volker Speitel c’è anche una variante di Peter Jürgen Boock che sostiene di aver preparato più armi.

È sempre difficile dimostrare che qualcosa non è successo. Su Volker Speitel non posso dire molto perché io stessa non ebbi a che fare con lui. Ma Hanna Krabbe lo conosceva perché originariamente voleva partecipare all’azione di Stoccolma. Ma se l’è svignata un paio di settimane prima per riapparire poi nell’ufficio dell’avvocato Klaus Croissant. Dice di aver preparato armi ed esplosivi nella primavera del 1977 che sarebbero poi state portate da Arndt Müller nascoste in un coperchio degli atti e poi passate durante il dibattimento a Jan, Andreas e Gudrun che le portarono dal tribunale in cella. Chi sa come venivano controllati i nostri avvocati non può credere a questa versione. Ci fu fin dall’inizio la propaganda che gli avvocati fossero nostri corrieri, ambasciatori e galoppini. Per questo venivano perquisiti a fondo ed in maniera pignola. Ogni foglio veniva spiato, in queste condizioni introdurre armi sarebbe stata pura pazzia. Inoltre per come era fatta Stammheim sarebbe stato poco probabile uscirne anche se si avevano tre pistole e dell’esplosivo. Ci aspettavamo di essere liberati da fuori, dalla RAF.

Le storie di Speitel non sono per niente credibili. Inizialmente ha dichiarato di aver ricevuto le armi dagli illegali, tramite un corriere nel marzo del 1977, dopo ha sostenuto che gli illegali stessi gli avessero dato le armi, in ogni caso non ricordava chi fosse il corriere o gli illegali che gliele dettero. Dopo disse che fu Sieglinde Hoffmann a dargli una pistola e l’anno successivo si ricordò esattamente che erano due. Ricorda poi che potrebbe essere stato il Giugno 1977, ma in quel periodo il processo era alla fine e gli avvocati, anche se lo avessero voluto, non avrebbero più potuto introdurre le armi nel modo indicato dalla commissione. Le favole di Boock non sono migliori: Speitel, che sostiene di aver preparato le armi, non appare nel racconto di Boock e Boock, che sostiene di aver preparato le armi per il trasporto, non appare nel racconto di Speitel.

Ci sono altre due “interne” che dichiarano che voi vi sareste suicidati. Susanne Albrecht e Monika Helbing, che nel 1977 erano nella RAF e che in seguito andarono da fuoriuscite nella DDR hanno dichiarato che ci sarebbe stato tra i quadri della RAF un “azione suicida” nel caso che non ci fossero più state altre possibilità di uscire. Entrambe si riferiscono a Brigitte Mohnhaupt che fu rilasciata nella primavera del 1977 e che rientrò subito in clandestinità.

Entrambe hanno escogitato la cosa in un momento nel quale erano testimoni in un processo e volevano ottenere uno sconto di pena. Questo sui motivi. Posso dire che tra noi non c’era nulla del genere né come discussione né come piano.
[…]

Per voi quindi il solo sopravvivere era una vittoria?

Sicuro. Nel momento in cui devi essere schiacciato ma sopravvivi, qualcosa l’hai raggiunto e ci rimani attaccato. Ciò che avevamo in testa era di fare un ulteriore sciopero della fame per accelerare la decisione in quella settimana. Si trattava anche di prendere dalle mani del governo la decisione su di noi, come dicemmo in quei giorni, che non si tratta certo di annunciare il nostro suicidio come interpretarono avidamente governo e polizia. Perché poi avremmo dovuto annunciarlo? Per dargli la gioia dell’attesa? Sapevamo bene che ci avrebbero visto più volentieri morti che vivi. Inoltre era chiaro che fino a che eravamo dentro e vivi, ci sarebbero stati quelli fuori che avrebbero voluto liberarci.
[…]

Negli anni, hai riflettuto di un possibile scenario, di cosa poté essere successo in quella notte?

Ero e sono convinta che fu un’azione dei servizi. Il BND poteva entrare ed uscire liberamente da Stammheim ed aveva installato da noi le apparecchiature per le intercettazioni ambientali. Era anche risaputo che il personale del carcere non era ritenuto abbastanza degno di fiducia per un’azione del genere. Alcuni hanno sempre raccontato qualche nostra ridicola storia al “Bunten”, “Quick” o allo “Stern” e se qualcosa doveva succedere doveva essere fatta senza coinvolgerli. In relazione a ciò è importante che il personale fu cambiato, anche se non tutto, durante il blocco dei contatti. Le telecamere del corridoio poi non funzionavano la notte.

Pensi che il governo federale fosse coinvolto in quest’azione omicida o è solo opera autonoma dei servizi?

Penso che il governo fosse coinvolto e che anche all’interno della NATO se ne fosse discusso. Al tempo c’era l’unità di crisi anche negli USA, che si teneva in continuo contatto con Bonn. Loro avevano un grosso interesse che noi non ci fossimo più. Il metodo di far apparire un omicidio per un suicidio è proprio della CIA.

Nella discussione su Stammheim, c’è per lo meno da parte della sinistra la tendenza a non considerare importante la risposta alla domanda se si tratti di omicidio o suicidio. In ogni caso la morte dei tre è da attribuirsi allo stato che o ha provveduto direttamente o ha portato i tre a suicidarsi.

Le condizioni carcerarie erano terribili e nello sciopero della fame vennero uccisi prigionieri con la sottoalimentazione, Holger Meins per esempio. Ma è comunque una grossa differenza se qualcuno si spara, si impicca si pianta un coltello nel petto o se lo fanno gli altri. Si tratta dei fatti. Non volevamo morire, volevamo vivere.

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